charamalhar [ ʧaramajar Blins, Chastel Dalfin, val Maira, val Grana; ʧaramaʤar San Michèl de Prats -val Maira-]; occitan alpenc: chèiȓ néä -Salbertand (Baccon 1987), ʧaere neó -Vialaret Roure, ʦajrë new – Prajalat, vënî néou – val San Martin ( Genre-Pons 1997), vrī new -L’Envers de Pinascha (Griset 1966), vní neou Angrogna (Sappè 20) duno new – Ostana, toùmba nèou – Ubaia (Arnaud-Morin 1920 /1973), tomba de neu -Ardecha ( Dufaud, 1986)
Le forme più diffuse nelle valli per indicare il nevicare, francese “neiger” sono particolari, trattandosi di locuzioni verbali attraverso un verbo transitivo di movimento come cadere , venire, dare, uniti a neve nelle varie forme locali -neu ( new)/ nea (neo, neó, néë, néä )-.
L’occitano conosce pure forme come neva [nevá],nevia, neua (Mistral) o nevar (Alibert) che ritroviamo nelle valli:nouár -Limone(Glossari 2011), nëvâ -Vernante (Jordan 2010), nëvàa – brigasco ( Massajoli-Moriani 1991). Le basse valli ormai sono state conquistate dalla forma pan-piemontese fjuké > fjuká già presente nelle valli in tempi antichi essendo presente nelle colonie valdesi del Würtemberg (Boger e Vogt 1930) dove era in uso la forma la floko ancora utilizzata oggi nelle parlate occitane del Gran Dubbione, Podio di Pinasca e Talucco (Menusan 1973/74) in bassa val Chisone, luoghi da dove proveniva una buona parte dei rifugiati del villaggio tedesco di Serre.
ʧaramajar, rilevata dagli Atlas linguistici1, da C. Grassi e nel corso delle mie inchieste in val Grana, val Maira e Varaita, mi era stata segnalata da alcuni informatori come una stravaganza linguistica presente nelle valli.
Per questo verbo impersonale, al quale possiamo aggiungere altri verbi collegati come – charamuzear ( Lou Saber 1977 ) e ʧaramajulear Torrette di Castel Delfino – col valore di nevicare debolmente, dalla forma presente a San Michele di Prazzo ʧaramaʤar, si può pensare ad una forma originaria charamalhar.
G. Tuaillon (1985), trattando delle forme verbali indicanti il “ nevicare”, in base ai materiali dell’ALEPO, definisce la forma raccolta a Bellino - ʧaramajar -come “ néologisme vraiment original”.
L’Atlas Linguistique et Ethnographique de Provence, alla carta 60 “ il neigeote” segnala in alcuni luoghi della Drôme e precisamente ai punti 11 ( La Chapelle en Vercòrs) śarmayo; 16 (Vassieux) ʦarmaʎo; 25 (Romayer) ʦarmajo; 33 (Glandage) ʦaramiʎa; 32 (Saillans) ʦarmeʎo; 41 (St. Nazaire le D.) ʦarmiʎo. Così l’ALJA ha rilevato al punto 82 ( Prebois), luogo tra l’Isere e la Drôme, la forma ʧarmiʎo.
Le Trésor du Diois di H. Schook riporta le forme charmèiar e charmilhar, mentre non è presente nelle principali raccolte lessicali dell’area tra Drôme e Isere.
La famiglia lssicale di charamalhar, che non è mai stata oggetto di studio da parte dei glottologi, potrebbe appartenere al substrato prelatino mediterraneo in analogia con quanto esaminato da G. Alessio che analizzando la voce spagola garapiña “ stato di liquido che si congela formando grumi” e le forme port. carapinhada “ sorbetto”, francprovençal ʦarapegne “ brina, brinaa”, it. carapigna “ sorbetto” e carapignare “ far congelare il sorbetto” e i calabresi carapigna “ bevanda ghiacciata” e carapegna “ sorbetto cattivo”, premettendo che l’origine di queste voci è completamente oscura, ricostruisce una base comune * karappinia/g.. “ che parrebbe un derivato dall’iberico carappo” incrostazione calcarea” corrispondente al egeo carabo”.
Sempre G. Alessio (1935), in un ampio lavoro dedicato alla base indoeuropea kar(r)a/ gar(r)a “ pietra” tratta dell’elemento derivato -AL, -ALIA avente funzione di collettivo nel dominio ibero-romanzo que a una foncion de collectiu dins lo domeni ibero-romanç.
In base ad alcune forme attestate in catalano quali caramell “ ghiacciolo” e caramull “ quantità di sostanza solida che fuoriesce dai bordi di un recipiente” si potrebbe postulare una base kar(r)ama col valore di cosa solida, a grumi, ghiacciata: avremo dunque kar(r)ama + ALIA > kar(r)amalia col valore di neve.
La forma charamalhar in ultima analisi doveva occupare un’area assai più vasta di ciò che ritroviamo oggi tenendo conto delle due aree che conservano queste forme, una sul versante italiano delle Alpi e l’altra tra Drôme e Isere.
Franco Bronzat
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