Finalmente è uscito!. È la traduzione de “Il Piccolo Principe” di Antoine Saint-Exupéry, in occitano alpino.
Diego Corraine, di Papiros, un giorno a Ostana, mi aveva chiesto se fossi disposta a fare la traduzione in occitano alpino, visto che l’aveva già pubblicato in tante lingue emergenti, anche in franco-provenzale e che ci sono molti che collezionano le differenti versioni. Gli ho detto di sí, con piacere. Ma ho impiegato molto tempo.
Ora è uscito, l’ho finito! Vi assicuro che non è stato affatto semplice, non propriamente un gioco. Vi racconto qualcosa in più sull’opera.
Ho dovuto innanzitutto decidere che tipo di “lingua” usare. Dunque, orientativamente, è la varietà delle Valli alpine centrali, ma a volte, ci sono parole diverse, provenienti da zone differenti perché mi sembrava rendessero meglio ciò che volevo dire. La forma è volutamente una forma un po’ semplificata, adatta per chi vuole avvicinarsi alla lingua.
Per questo, ho usato, per esempio, i pronomi clitici solo dove e quando era strettamente necessario e non in forma così copiosa come nel parlato.
Ho fatto delle scelte che possono essere discutibili, tuttavia per me tradurre vuol anche dire interpretare, vivere il testo e cercare di adattarlo a espressioni più vicine alla nostra esperienza.
Ma voi sicuramente vi chiederete che senso ha tradurre in una lingua minoritaria.
È una bella domanda.
Potrei essere tentata di dirvi semplicemente “Perchè no?”
Ma è un argomento interessante.
Quando si traduce, soprattutto un libro importante, si chiede alla lingua di mettersi in gioco, di congiungere passato e presente, di abbandonare il conosciuto per avventurarsi, qualche volta, in un mondo nuovo e sconosciuto.
E per un lingua minoritaria, per tanti anni usata quasi esclusivamente a livello orale, la grande sfida è dimostrare che è perfettamente adatta a qualsiasi argomento, che trasmette sentimenti e emozioni, che può tradurre anche i classici. Dunque è una lingua come le altre, come quelle dominanti.
Sicuramente la traduzione eleva le lingue, dà loro un valore diverso e contribuisce alla loro conoscenza e divulgazione.
Questa mi sembra un’ottima ragione per tradurre dei libri nella nostra lingua.
Come dicevo prima, questa traduzione non è stata semplice, mi ha dato un gran da fare.
Io avevo già fatto delle traduzioni, piccoli pezzi, racconti, parole per i dizionari, e, infine, il libro di J. Giono “L’uomo che piantava gli alberi”, ma ho quasi sempre lavorato con Dario Anghilante. Questa volta ho scelto di lavorare da sola, ma quando ero un po’ disperata ho chiesto aiuto e consulenza a Dario e a Luca Quaglia e ho consultato ricerche di altri linguisti.
Tradurre a quattro mani comunque mi soddisfa maggiormente, perché nasce un confronto sulla lingua molto produttivo e divertente.
Tuttavia anche mettersi in gioco da soli non è male!
Corraine ultimamente mi ha chiesto in quale traduzione mi cimenterò ora, ma gli ho risposto che mi risposo un po’.
Dunque, ecco Lo Principet, un libro famoso ma anche complicato soprattutto perché incentrato sui dialoghi, un messaggio forte e attuale, un invito a pensare alla cose fondamentali, a ciò di più importante nella vita.
E allora vi lascio alle parole della volpe.
“Ecco il mio segreto. È semplice: si vede bene solo con il cuore. L’essenziale non è visibile con gli occhi”.
commenta