Tajarin al Söfran
Si cuociono in abbondante acqua salata dei piemontesissimi tajarin, preparati impastando 1kg di farina tipo 0 con 25 tuorli d'uovo, un cucchiaino di sale e acqua quanto basta ad ottenere una palla di pasta liscia ed omogenea. Questa lasciata riposare una mezz'ora viene stesa a mano, assottigliata con il mattarello, ad uno spessore di 2 mm. Arrotolata e tagliata con il coltello.
I tajarin, cotti al punto, disposti a nido nei piatti verranno decorati con fettine, tagliate con il tagliatartufi, di uovo marinato, ottenuto da tuorli d'uovo fresco disidratati per 6/7 giorni in un misto, in parti uguali di sale grosso e zucchero, ed arricchiti con dei riccioli di burro allo zafferano, ottenuto mettendo una ventina di stigmi di Söfran in 250 gr. di burro, poi colato in stampo e lasciato rapprendere.
Disposti i riccioli di burro aromatizzato sulla pasta, si cosparge leggermente il tutto con erba cipollina tritata, secca.
Si serve velocemente per regalare ai commensali la vista dei riccioli di burro che fondono sui tajarin ricoprendo e dotandolo.
Ricetta di Carlo Rocca, Osteria Paschera dal 1894 "i Culumbot"
Lo Zafferano di Caraglio e della Valle Grana deve la sua valorizzazione e la sua diffusione ad un giorno del 2005, in cui Mauro Rosso, neopensionato caragliese appassionato di coltivazioni, decide di realizzare un suo piccolo desiderio: coltivare nel proprio orto lo zafferano, spezia di cui andava matto. “Perchè non coltivarlo per conto mio?” dice Rosso, “Sapevo che in Italia poteva crescere, e non ci ho pensato due volte”. Il primo anno pianta i bulbi un po’ tardi, perché fatica a trovarli. Un solo fiore su un centinaio di bulbi piantati non è il massimo. Ma Rosso riprova, e l’anno dopo raccoglie ben un grammo di zafferano. Oltre ad usarlo nella sua cucina, in famiglia, Rosso regala lo zafferano a più parenti che abitano in diverse aree della bassa valle Grana. Passano gli anni. I risultati sono migliori delle aspettative, il prodotto è buono e quel che è nato come una passione ora viene visto anche come una possibile risorsa per il territorio della valle Grana. Lo zafferano può crescere in terreni poco estesi, e non ha bisogno di essere irrigato. Due condizioni diffuse localmente. Ma come procedere nella sua valorizzazione, nella sua promozione? Rosso propone di non accelerare troppo i tempi e di costituire un’associazione. Il suo entusiasmo verso il prodotto ha però contagiato non poche persone, e le più giovani tra queste hanno voglia di bruciare i tempi: tra queste c’è Manfredi Rosso, suo nipote. La coltivazione dello zafferano può essere vista come una forma di integrazione al reddito? Lucio Alciati, padrino dell’aglio di Caraglio e della valorizzazione della patata Piatlina e Ciarda, viene coinvolto nel processo decisionale e la sua presenza (la sua autorità in materia) persuade alcune aziende della bontà del prodotto e della possibilità di un futuro. Ma l’accelerazione è ancora più rapida quando lo stesso Alciati, durante delle ricerche su altri prodotti tradizionali locali, incappa in un documento che testimonia che un cittadino caragliese, tale Antonio del Puy, aveva portato in esposizione il suo zafferano alla “Prima esposizione agraria-industriale-artistica della provincia di Cuneo” del 1870 . Si sapeva inoltre che intorno al 1400 lo zafferano era diffuso sulle colline del Marchesato di Saluzzo, in un’area che comprende anche la zona caragliese, dove veniva coltivato principalmente per la realizzazione di tinture.
Galvanizzati dalla scoperta di questi riferimenti storici, Lucio Alciati e altri coltivatori di zafferano hanno una proposta chiara: è necessario formare un Consorzio. Manfredi Rosso media tra le visioni di Alciati e dello zio e nel 2015 il “Consorzio di Tutela, Promozione e Valorizzazione del Söfran – Zafferano di Caraglio e della Valle Grana” prende vita, e vi aderiscono una ventina tra appassionati e titolari di aziende agricole.
Una novità scuote un poco il mondo agricolo locale, così come era accaduto quando aveva iniziato ad affermarsi l’aglio di Caraglio. I fondatori della nuova realtà consortile avevano infatti davanti ai loro occhi l’esperienza e l’esempio positivo del Consorzio messo in piedi dai coltivatori dell’aglio di Caraglio. Un esempio forse anche scomodo, dato il successo del Aj d'Caraj. Ma per lo zafferano le premesse e le condizioni generali erano buone, non si poteva che essere ottimisti per lo sviluppo. Ed essere ottimisti significava anche saper attraversare indenni le critiche e le diffidenze iniziali, tipiche di un mondo agricolo immobile, “misoneista”, così come teorizzato da Lucio Alciati. “Sembravamo un po’ dei marziani che volevano portare chissà quale prodotto”, ricorda Manfredi Rosso, “noi avevamo l’obiettivo di fare un prodotto di eccellenza, ma dovevamo fare i conti con un territorio che da una parte sembrava entusiasta e si lasciava coinvolgere, e dall’altra dava vari giudizi. All’inizio eravamo visti solo come “piccoli hobbisti”, in un secondo momento veniva evidenziata la nostra scarsa numerosità, infine veniva criticata la quantità prodotta, giudicandola altrettanto scarsa. I coltivatori locali sono abituati a parlare di quintali e tonnellate e quindi non capivano il valore di un grammo, di un etto o di un kg di zafferano”. Se questo genere di critiche provenivano da un ambiente contadino che non conosceva affatto lo zafferano e le sue proprietà agricole, decisamente più gratuite e simbolo di una diffidenza locale le critiche all’organizzazione del consorzio e al suo funzionamento, presto smentite.
“Abbiamo lavorato molto alla costruzione del consorzio, mettendo su lo statuto, creando un disciplinare e facendo in modo che tutti i soci potessero avere una struttura e una bella associazione che permettesse lo sviluppo imprenditoriale di ognuno. L’organizzazione è stata decisa all’inizio nel modo più aperto e libero possibile da tutti i soci, una ventina di iscritti. È vero che c’era una bozza di statuto, ma fin dall’inizio è stato aperto questo testo e queste regole a tutti, per decidere quali mantenere, quali cambiare, quali eliminare. Tutti i soci hanno avuto modo di dare il proprio contributo”.
La dimensione per così dire orizzontale e trasparente del Consorzio sembra essere la sua forza: “Il bello è proprio questo”, pensa Mauro Rosso, “è di sperimentare tutti insieme la produzione di una spezia… Il consorzio ti dà fiducia nella coltivazione del terreno e fa sì che questo scambio di esperienze, il superare un po’ il modo di pensare che c’è in certe vallate (forse in valle Grana qualche esperienza di cooperazione c’era già stata), di mettere ad uso di tutti le esperienze. Spiegare che non è l’egoismo personale a portare ad un qualcosa, ma la condivisione del sapere. La condivisione del sapere porta sempre vantaggi”.
Manfredi Rosso riconosce che “L’esperienza non è ferma e bloccata al lato economico relativo al prodotto. L’aspetto culturale, sociale, umano, è che nel 2015 si sono trovate ad iniziare un percorso delle persone di tutta la valle Grana. Alcuni non conoscevano neanche l’esistenza di altri soci, è stato tutto un conoscerci, un incontrarci, anche grazie al “momento birra” dopo la riunione. È così che per esempio l’azienda agricola di Palazzasso conosce un’azienda agricola di Bernezzo di cui prima non sapeva l’esistenza, con cui ha degli interessi comuni, e di lì iniziano a trovarsi anche per altre cose. Bellissimo è quando ad esempio vai alla presentazione di una mostra al Filatoio Rosso piuttosto che ad una festa qualsiasi e ti ritrovi dei soci che si parlano, li vedi lì che chiacchierano, non perché ci sei tu che fai da tramite e che li presenti, ma proprio perché è nata un’amicizia”.
Il Consorzio dello zafferano è quindi riuscito a riunire in sé realtà lontane e diverse, mettendole in dialogo tra di loro, a partire da un elemento comune che non sempre viene valorizzato fino in fondo: il territorio.
Il percorso di valorizzazione dello zafferano può essere considerato recente, ma lo sguardo è attento al presente e rivolto al futuro: “Le prospettive di crescita sono rosee, abbiamo riscontri positivi ogni mese e ora guardiamo al futuro. Guardare al futuro vuol dire decidere se continuare il rapporto con il territorio o se dedicarci al tentativo di pregiarci di certificazioni pregiate. Ne abbiamo già parlato diverse volte. Serve sicuramente prima capire la propria identità e poi dopo valutare con calma ogni passaggio per non perdere quella genuinità che ad oggi abbiamo e che ci porta vincenti, anche sul territorio”.
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