A Saluzzo nell’antico Palazzo Civico l’esposizione di pitture, dipinti e disegni.
Era un pittore un po’ strano, Matteo Olivero. foulard rosso al collo, cappello nero, barba lunga e affusolata, occhio attento, si ritraeva con sguardo burbero negli autoritratti, ma, nello stesso tempo, progettava carri per il carnevale saluzzese, sapeva essere semplice con le persone semplici della sua terra, talvolta un po’ bonario, sempre sensibile e modesto, allegro quando poteva parlare la sua lingua, quella occitana.
Nato nel villaggio di Acceglio, Val Maira, il 15 giugno 1879, in frazione Pra Rotondo, avrebbe potuto tranquillamente sovrapporre le sue evidenti qualità pittoriche con gli insegnamenti naturalistici che Grosso, Gaidano e Gilardi gli avevano trasmesso nel corso degli studi all’Accademia Albertina delle Belle Arti di Torino. Oggi, invece, lo ricordiamo non solo per la connotazione e i luoghi comuni di “pittore delle nevi”, di “tragico interprete delle sue montagne” o di “pittore poeta delle nostre Alpi” (espressi nelle recensioni dei critici d’arte per le presenze di Olivero a Grenoble e Roma, alla Biennale di Venezia e alle pluripremiate exposition di Parigi dell’inizio novecento), ma anche perché ha saputo intuire le idee originali, le tensioni e i fermenti tumultuosi che si facevano strada nella pittura a cavallo dei due secoli e farne oggetto di evoluzione nelle opere che hanno caratterizzato la sua breve vicenda artistica.
Due personaggi, in particolare hanno inciso sulla formazione e sugli indirizzi artistici di Matteo Olivero: Segantini e Giuseppe Pelizza da Volpedo (autore del famoso “Quarto Stato”, accanto al quale casualmente espose una sua opera alpina, intitolata “Ultime capanne” alla Quadriennale di Torino del 1902).
Il profilo dei genitori di Matteo Olivero conferma, nella dignitosa miseria di chi ha dovuto lasciare la terra occitana per cercare fortuna altrove, da una lato l’originalità delle scelte di apertura verso il mondo e dall’altro la caparbietà di chi sa intuire e credere nelle capacità del figlio. Il padre, anche lui di nome Matteo, per sbarcare il lunario e forse anche vedere il mondo, aveva accettato il mestiere di fuochista sui mercantili che da Savona salpavano verso il mare aperto: Matteo nacque durante uno dei suoi interminabili viaggi e, quando il padre morì di colera egli era ancora un bambino. La madre (Lucia Rosano) rimase per lunghi anni l’unica famiglia del pittore. Divenne paziente modella con la veste nera per molti quadri, abbandonò la casa di Acceglio per accompagnare il figlio negli spostamenti utili alla carriera artistica, da Torino (1906) a Calcinere (1896) a Saluzzo (1906) a Calcinere (1923/26). Quando la madre morì (27 marzo 1930) il pittore scrisse in un biglietto “Solo, mamma in paradiso”. Era stata l’unica donna della sua vita, riuscì a vivere due anni senza averla vicino, sino al 28 aprile 1932 quando decise di lasciarsi cadere nel vuoto di un abbaino.
Il Comune di Saluzzo ha inaugurato, venerdì 18 gennaio, nell’antico Palazzo civico di Saluzzo, la Pinacoteca a lui dedicata, un’esposizione permanente della collezione di opere che comprende 194 dipinti, 228 disegni, documenti vari e fotografie - acquistata dal Comune di Saluzzo nel 1932, alla morte del pittore, a cui si sono aggiunti i doni della Cartiera Burgo, di Pietro Girard e di Ippolito Bessone.
L’esposizione comprende 2 sculture, 67 dipinti e 17 disegni scelti tra i più significativi dell’intera collezione, suddivisi in quattro ambienti espositivi sulla base di altrettante tematiche: Il tempo del realismo sociale, L’adesione al divisionismo, Gli anni Venti, Il metodo di lavoro.
In apertura viene messa in luce la sensibilità dell’artista nei suoi anni giovanili per i temi sociali. Le opere della seconda sezione testimoniano le differenti ricerche e le riuscite dell’artista dai primi del Novecento fino alla grande guerra. Nella terza sezione, testimonianza degli anni Venti, Olivero, senza abbandonare l’ortodossia divisionista, ama esprimersi anche con una pittura di tocco o di delicate velature, riscontrabile in freschissimi paesaggi.
Caratteristica del Fondo saluzzese è tuttavia quella di offrire esempi del lavoro di preparazione per alcuni dipinti importanti di questi anni. Studi per Funerali a Casteldelfino (Cuneo, Museo Civico), per Vecchia Saluzzo e specialmente per L’attesa del 1926 (entrambi in proprietà privata), di forte autonomia comunicativa, nonostante lo status di ricerche preliminari. Trova qui posto Il Po a Calcinere, dipinto ancora sul cavalletto al momento della morte dell’artista, che appare come il testamento pittorico di Olivero. Un Autoritratto, il Ritratto in gesso colorato per la tomba della madre, di pungente realismo, un soggetto sacro e uno dei suoi celebri e controversi brani di parodia del futurismo, completano il panorama della multiforme attività di questi anni.
L’ultimo ambiente prosegue gli esempi dell’attività di ritrattista esercitata con continuità dall’Artista. Il centro dell’attenzione è tuttavia costituito dall’esteso dipinto divisionista Mattino: alta valle Macra esposto a Parigi nel 1910, che per le eccezionali dimensioni esige di essere esposto nello spazio più grande, con visibilità a distanza. La presenza di parecchi bozzetti e studi strettamente ad esso correlati permette di ripercorrere il puntiglioso metodo seguito da Olivero per giungere alla grandiosità di concezione unita alla finezza di scrittura pittorica che lo caratterizza.
Un nucleo di non secondario interesse della collezione è formato da circa 140 disegni, in parte studi per dipinti presenti nel Fondo o di altra proprietà, in parte eseguiti direttamente en plein air. La loro presenza è opportuna oltre che per il loro intrinseco interesse qualitativo anche per il significato di ulteriore esemplificazione del metodo di lavoro dell’Artista. Una parete – attrezzata con una vetrina su due ordini e con illuminazione adeguata alle norme di conservazione – potrà esporne una quindicina.
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