È ladina di Urtijëi/Ortisei in Val Gardena, una vallata delle Dolomiti, dove ogni anno viene organizzata la famosa gara di sci di discesa libera per la coppa del mondo. Anche lei si dedica fino all’età di 19 anni a quello sport, frequentando il liceo dello sci a Stams in Tirolo (Austria) e partecipando alle gare agonistiche con la squadra azzurra B dell’Italia.
Già durante gli anni scolastici però si accorge di amare i libri e la letteratura più dello sci, quindi, dopo la maturità decide di frequentare l’Università di Innsbruck per studiare lingue romanze concludendo con la Laurea in Linguistica e Letteratura Francese.
Nell’ambito dello studio trascorre un anno a Bordeaux in Francia come insegnante di tedesco in un liceo classico. Successivamente lavora tre anni al progetto linguistico “Handbuch des Rätoromanischen” presso l’università di Zurigo per l’elaborazione di un dizionario etimologico e le varianti dialettali degli idiomi romanci del Grigione.
Ritornata a casa a trent’anni si trasferisce a Tluses/Chiusa, cittadina medievale all’entrata della Val Gardena dove vive tuttora. Insegna in diverse scuole ladine la materia “ladin” e assume incarichi d’insegnamento della lingua e cultura retoromancia alle università di Zurigo, Innsbruck, Monaco di Baviera e Bolzano.
All’epoca del suo rientro in Italia si sta progettando l’elaborazione della lingua scritta ladina unitaria Ladin Dolomitan e Bernardi, forte anche dell’esperienza linguistica nel Cantone dei Grigioni, lavora dal 1994 fino all’ anno 2000 per
il progetto linguistico SPELL ad Ortisei, dove fa anche innumerevoli traduzioni in lingua ladina e nel 1995 con il testo letterario “dedite”, scritto nella lingua unitaria, vince il primo premio “Term Bel” ai “5. dis da litteratura rumancia”
a Domat/Ems nei Grigioni (Svizzera).
Il suo grande interesse per la letteratura la motiva a realizzare trasmissioni culturali per la radio e la televisione della Rai TV Ladina, in particolare dal 1997 al 2009 ogni sabato cura la trasmissione “L liber - da piz a cianton” (“Il libro - in lungo e in largo”). Come collaboratrice esterna realizza anche vari programmi televisivi e nel 2001 e 2002 viene assunta dalla Rai a tempo determinato nella redazione ladina dei giornalisti durante i mesi estivi. Nel frattempo diventa pubblicista e, come freelance, scrive articoli scientifici per vari giornali.
Contemporaneamente continua a scrivere “letteratura” in lingua ladina e viene invitata a presentare i suoi testi e parlare a convegni sulla letteratura in Italia e all’estero (sopratutto in tedesco). Pubblica il suo primo romanzo in proprio e seguono libri di poesie, sonetti e un’antologia con testi in prosa con traduzioni
in tedesco prodotti da varie case editrici.
La sua opera Gherlandes de sunëc / Sonettenkränze (60 sonetti in ladino con traduzione del significato in tedesco) ottiene il “Premio per la migliore prima pubblicazione di un’autrice di una casa editrice austriaca del 2003” dal “Bundeskanzleramts
der Republik Österreich - Franz Morak”,
la Cancelleria Federale della Repubblica Austriaca.
Grazie allo stipendio letterario offerto del “Österreichisches Bundesministerium für Bildung Wissenschaft und Kultur”, Ministero Austriaco per l’Educazione, Scienza e Cultura trascorre l’anno 2003 a Vienna dove scrive testi teatrali e lirica, ed ha modo di confrontarsi con il mondo letterario austriaco.
Nel 2004 ottiene il premio di sostegno e riconoscimento per l’opera svolta “Förderpreis Walther von der Vogelweide” del “Südtiroler Kulturinstitut”, l’Istituto Culturale dell’Alto Adige a Bolzano.
Ma il sogno che ha accarezzato da molti anni si sta realizzando ora, a 51 anni. Nell’autunno del 2013 infatti verrà presentata un’ampia Storia della letteratura ladina alla quale sta lavorando dal 2009 presso la Libera Università di Bolzano, sede di Bressanone, sotto la direzione del professore Paul Videsott.
Attualmente tiene lezioni di lingua e cultura ladina alla stessa all’Università di Bolzano per il corso di Studio Generale e a Bressanone alla facoltà di formazione.
Traduzione italiana di Cristina De Grandi (*1976, La Ila/La Villa in Val Badia)
Lettere nel silenzio
Un libro deve dissotterrare ferite. Deve addirittura provocarne di nuove. Un libro deve essere un pericolo.
(E.M. Cioran, Ecartèlement)
Dal capitolo 5:
Subito dopo dicevate: “A lei manca qualcosa”, e non vi siete mai accorti che alla mia anima non mancava proprio nulla, e che io, per me stessa, non avevo bisogno del parlare, o più precisamente, del vostro parlare. Al contrario, il mio mondo era di molto più largo e ricco, proprio perché non mi lasciavo inchiavardare in una delle vostre lingue.
Le lingue vi hanno ingannato e intrappolato. E voi non vi rendevate neanche conto di questo. O è una fortuna non rendersi neanche conto della limitatezza della propria lingua? Non sono le vostre parole, la vostra lingua soltanto simili a un vestito, bello o brutto, per alcuni dei vostri pensieri? Questo vestito cela qualche pensiero che avrebbe un mucchio di forme differenti. Voi credevate alla bugia, per cui sotto allo stesso vestito ci fosse sempre lo stesso pensiero. Credevate di riconoscerlo a seconda del vestito. Intanto il vestito vi intrappolava. Non potrete mai giungere a quelle migliaia di milioni di pensieri, se li nascondete sempre dietro ai vostri vestiti che restano noiosamente gli stessi. Se li aveste lasciati andare almeno qualche volta a spasso nudi.
Io provavo compassione per la lingua e la lingua per me. Non la usavo con violenza come voi e perciò non mi aveva rinchiuso nella sua gabbia di parole. Io ero libera. Voi, vi ha catturato tutti. Vi ha riempito con significati, suddiviso in contrasti e contrari, disposto in liste, inchiavardato in nomi, forme e figure. Ha fermato e piantato nei vostri cervelli tutto ciò che oscillava tra una forma e l’altra. Ma, ogni tanto, nella testa di qualche artista, vedevo ancora una fluttuazione, un muoversi qua e là di qualche significato. E il vostro maggior boia era la grammatica. Con la sua frusta, rinserrava nelle sue regole ogni pensiero. La parola per una cosa e la cosa stessa erano tutt’uno per voi.
Dal capitolo 6:
Ad ascoltarvi così, pensavo spesso che, in fondo, eravate voi ad essere incapaci di parlare. Le vostre voci avevano sempre il medesimo suono, e quanto poco eravate capaci di dire. Invece di fare esperimenti con la voce e con le parole, parlavate sempre alla medesima maniera e usavate sempre le medesime parole. Non andavate mai su o giù con la voce e non avevate mai il coraggio di comporre o di creare parole nuove. Neanche per cose nuove o sconosciute provavate di inventare qualche forma nuova. Che paura che avevate. Io vi facevo pena e nello stesso momento, eravate voi a farmi pena. Se aveste saputo quante parole nuove che creavo ogni giorno nei miei esperimenti con la mia voce. Ogni giorno, quando parlavo nel mio profondo, riempivo la mia lingua muta con parole nuove. Non aveva nessuna fine ed era la sola possibile per me. Soltanto la mia lingua, capiva tutte quelle creature con quel certo sentimento più profondo. Solo voi non comprendevate. Voi eravate i sordi. A mio avviso, parlavo chiaro, differenziato e forte. Che voi non mi udivate e non mi comprendevate, non era colpa mia. Il problema eravate voi e non il mio essere muta.
Adesso vi chiederete sicuramente come appariva e come suonava quel parlare nel mio profondo. Se allora, da me, non lo avete mai udito, è anche adesso difficile spiegarvelo. La maggiore differenza era quella per cui io non potevo costringerlo nelle parole di una lingua. E per poter comunicare con voi, non avevo altri mezzi che queste povere parole. Perciò volevo provare ad avvicinarmi alle parole. Quel mio parlare non aveva alcun suono o tono che si fosse potuto udire dal di fuori. Soltanto io, nel mio profondo, l’udivo ogni tanto. Anche solo ogni tanto, poiché la maggior parte di questo mio parlare non aveva neanche un suono. Era tutto un mondo di quadri di fantasia senza fine. Quadri di mille colori e forme. Quadri, che diventavano storie aggrovigliate e complicate. Quando si mettevano in moto, non potevo più fermarli. Aumentavano e aumentavano.
Dal capitolo 8:
I miei compagni di classe mi facevano pena e li avrei anche aiutati volentieri se non fosse stato per quelle madri che esortavano i figli a non giocare con me e a evitarmi il più possibile. Se avessero saputo quante cose avrei potuto mostrare ai loro bambini! Tutto un mondo così incredibilmente ricco. Forse sentivano che se i loro figli avessero saggiato la libertà e la contentezza di questo mio mondo fantastico, non sarebbero più tornati indietro. Chi ha assaporato una volta la libertà dei pensieri senza confini, non può più lasciarsi rinchiudere in quel piccolo mondo ristretto delle lingue. Soffocherebbe.
E come sapeva la maestra sempre dire quando qualcosa era giusto o sbagliato! Di ciò mi ero sempre meravigliata molto. In quel modo, rinchiudeva ancora di più i miei poveri compagni. Quando c’era qualche alunna o qualche alunno che avrebbe avuto un po’ di fantasia e arrischiate raccontare ogni tanto qualche storia, riprendeva sempre prontamente: «No, così non si dice. No, questo è sbagliato, non si deve dire così, ecc.». Non si rendeva nemmeno conto che una lingua nella quale non si ha più il diritto di commettere errori è una lingua morta.
commenta