Orfano di padre a quattro anni perde anche due sorelle in tenera età.
Da sempre cultore della parlata locale, moda Veno, traduce in parole le sue esperienze di vita, i sentimenti e l'amore per il suo paese.
Radicato sul territorio, contadino e boscaiolo presta la sua attività lavorativa per trent'anni come cantoniere per la Provincia di Torino
Lettore appassionato della settimana enigmistica, da quarant'anni la compila settimanalmente per intero.
Memoria storica della comunità Venausina collabora da sempre con la pro loco: ha scritto di storia, di racconti oltre a diversi componimenti poetici.
Piccolo Venaus
Brava gente lasciatemi dire
Voglio parlare del mio paese
Piccolo ma tranquillo
Da sembrare un paradiso
Ma se devo qui raccontare
Di Venaus la sua lunga storia
Non vi è molto da vantarsi
Di miserie più che gloria
Qualche mille anni addietro
Dove adesso vediamo la Piazza
Il cinghiale si abbeverava
I signori andavano a caccia
Si accudiva la montagna
Si portava la gerla
Si mangiavano le castagne
Per fortuna, Avevano il vino
Si facevano miserie nere
O partivano altrove
Parlare? Una maniera
Alla moda di venaus
Non sono più molti
A Venaus che lo parlano
Teniamo duro, stringiamo i denti
Il linguaggio dobbiamo serbare
Da allora per qualcuno
Una chiesa c'èra già
L'anno fatta nel settantuno
non grande come questa recente
Quando la chiesa di là del Dat
Era la tomba dei nostri vecchi
A quei tempi lo sa il mondo
Roma era catacomba
Una tremenda frana
A causato la morte subito
E per questo che le genti ora
Lo chiamano ancora il rio Supita
Ci va tempo per riprendersi
Sono passati tanti anni
Si capisce il perché
La chiesa ora è nel piano
Ma passati mille anni
L'hanno fatta ancor più grande
Erano aumentate le genti
L'han rifatta di sana pianta
L'ultima volta allora come anni fa
I venausini hanno lavorato
Le giornate? La gente ha fatto
Per la chiesa che c'è ora
Slavine e frane
Hanno fatto grandi disastri
Capitavano proprio tutte
Le sventure sono sempre una dannazione
O la nebbia, gli alemanni
Dire tutto è una parola
A far soffrire le nostre genti
Viene la peste poi la spagnola
Gli appestati
I malati, via da casa
Lontano li hanno sistemati
Nella grotta Contagione
Non lamentiamoci troppo
Le geremiadi lasciamo ad altri
Se malamente dobbiamo vivere
Non lamentiamoci
Bisogna pazientare
Le sventure fanno sangue cattivo
Tutto è bello guardiamo in alto
Moncenisio, Rocciamelone
Una culla non una tomba
E genti di Venaus hanno le case
Sono di Cenischia nella valle
Come perle incastonate
Ci piace vivere in mezzo ai fiori
Nei prati verdi del Vergero
Dai Berno al Parore
Con l'ombra dei castagni
Dallo Stadio alle Cugnette
Da Cornale all'Arpone
Se ci sono anche pietre
Ogni vita è canzone
Una cosa possiamo dire
Dalla terra non vi è oro
Ma siamo gente piuttosto tranquilla
Poca lingua, tanto cuore.

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