Triora è un caratteristico borgo medievale di circa 400 abitanti, che si sviluppa su più livelli lungo il crinale del Monte Trono. L’ampio territorio comunale (67,74 km²) occupa la parte terminale dell’Alta Valle Argentina e abbraccia una serie di insediamenti sparsi, abbarbicati su ripidi pendii rocciosi o immersi nel verde, tra boschi secolari e ampi pascoli, che fecero di Triora un fiorente centro agricolo e pastorale.
Abitato fin dall’epoca preistorica, divenne dal secolo XIII feudo della Repubblica di Genova, ambito per la sua posizione strategica al confine con i domini sabaudi e quale punto di convergenza dei percorsi di transumanza alle pendici del Monte Saccarello e dei transiti provenienti da Briga, Saorgio, Pigna, Buggio e Castelvittorio e dall’Alto Tanaro.
Di probabile origine romana, Triora è citato nel XII secolo come Tridoria, e deriverebbe il suo nome dal participio passato trītum del verbo latino terere ‘macinare’, col suffisso –orio, inizialmente aggettivo, attributo del plurale neutro loca, poi sostantivato, ad indicare l’importanza che rivestì anticamente l’attività molitoria della zona (1).
Secondo la tradizione locale, il toponimo ricondurrebbe al latino tria ora, le tre bocche del mostruoso Cerbero di dantesca memoria, o alle tre gole dei tre torrenti Corte, Capriolo e Argentina, o ancora ai tre prodotti agricoli principali: vino, grano e castagne. Nome comunque misterioso e affascinante, come lo è la storia del borgo.
Il comune comprende, oltre al capoluogo di Triora, alcune frazioni disseminate tra le impervie montagne, che vigilano nella loro immutata bellezza sul vasto territorio circostante: il piccolo centro agricolo di Cetta, Loreto, antico punto di scambio del sale verso il Piemonte, Goina, posto a 1043 m di quota nell’Alta Valle del Capriolo, affluente di sinistra dell’Argentina, Bregalla, ove anticamente “bregallavano”, ossia belavano, i numerosi greggi di pecore e capre, il borgo di Creppo, protetto dalla graziosa chiesa settecentesca dedicata alla Natività della Beata Vergine Maria, Monesi, unica frazione di Triora situata in Val Tanaro e gli abitati brigaschi di Realdo e Verdeggia.
Allontanandosi da Triora e superati gli abitati di Loreto e Creppo, il paesaggio improvvisamente cambia, introducendo il visitatore in un ambiente alpino in cui le strette gole scavate dalle acque si alternano alle imponenti rupi, sovrastate dal Monte Saccarello (triplice punto di confine tra Liguria, Piemonte e Francia). Si è giunti nell’area brigasca ligure, coincidente con il territorio di Realdo e Verdeggia, raccolti insediamenti montani che hanno saputo conservare le proprie specificità culturali e linguistiche.
La Terra brigasca si configura come un’area culturale omogenea coincidente con l’antico territorio di Briga Marittima, florido centro medievale appartenente alla Contea di Tenda, passato poi dal XIV secolo sotto la giurisdizione dei Savoia, ai quali fu legato storicamente e politicamente fino alla fine della seconda guerra mondiale. Da sempre vocato alla pastorizia, come testimoniato dalle ripetute contese con la Repubblica di Genova per lo sfruttamento dei pascoli a Viozene, il comune era costituito dal capoluogo Briga e da sette masàgi (villaggi legati alla transumanza dei pastori), sparsi su un territorio di circa 150 km² che copriva la parte terminale di tre valli (Argentina, Roia, Tanaro) confluenti sul Monte Saccarello. Questi erano Morignolo, nell’Alta Valle Roia, Realdo e Verdeggia, nell’Alta Valle Argentina, Piaggia, Upega, Carnino e Viozene, nell’Alta Valle Tanaro. Questi caratteristici insediamenti, arroccati a guardia degli spazi circostanti, erano collegati da una fitta rete di comunicazione che li apriva ai transiti, ai commerci con la zona costiera e alle secolari rotte della transumanza. Ciò permise, nonostante il loro isolamento geografico, di assimilare tratti culturali delle confinanti aree ligure e provenzale, che contribuirono alla formazione di un’unità socio-economica, culturale e linguistica specifica della regione brigasca in grado di conservarsi per secoli, anche dopo la cessione di Briga alla Francia e il frazionamento del suo territorio.
Nel 1947, a seguito del trattato di Parigi, che ridefinì i confini territoriali di Francia e Italia, il territorio di Briga, con l’eccezione di Verdeggia, già sotto il comune di Triora (IM) e Viozene, già frazione di Ormea (CN), fu smembrato: Briga Marittima (La Brigue) e Morignolo (Morignole) divennero francesi, Piaggia, Upega e Carnino rimasero al Piemonte, in Provincia di Cuneo, e presero il nome di Briga Alta, Realdo passò dal Piemonte alla Liguria divenendo una frazione di Triora.
L’abitato di Realdo si presenta in tutta la sua spettacolarità dall’alto di una rocca strapiombante, dominando dai suoi 1007 metri di altitudine tutta la valle. Antico possedimento sabaudo posto al confine con la podesteria genovese di Triora, sorse probabilmente come avamposto sabaudo, come il suo antico nome Cà da Roca farebbe supporre. Protetto a sud da un precipizio di 300 metri, il borgo, una volta raggiunto, appare quasi sospeso a mezz’aria, serrato intorno alla chiesa, tra gli stretti carruggi e i caratteristici edifici delle Cae Sutane, delle Case del Batëndée (ovvero luogo riparato dal vento) e dei Bricchi.
Nel territorio circostante, incastonate tra i monti e le strette vallate, si incontrano le numerose “morghe” di Realdo: Carmeli, detto anche “i Pastorelli”, dal cognome degli abitanti, il piccolo centro di Borniga, a 1300 m, adagiato su uno sperone roccioso terminante con il Bric di Corvi, il Pin, l’Abenin, disposto su un’ampia conca verdeggiante a 1430 m di quota, i Cravitti, la Cabana, il Teris, Vesignana, villaggio sparso dedito all’allevamento, e Colombera, piccolo baluardo piemontese a controllo della vicina Verdeggia, presidiato da una piccola guarnigione militare che disponeva per le segnalazioni di una stazione di colombi viaggiatori.
Risalendo il vallone di Verdeggia, linea di demarcazione tra i due paesi brigaschi e antico confine politico tra Stati Sabaudi (e prima ancora Contea di Tenda) e Repubblica di Genova, si raggiunge l’abitato di Verdeggia, ultimo paese della Valle Argentina, protetto in un abbraccio dai monti Fronté (2152 m), Saccarello e Collardente (1777 m s.l.m.). Verdeggia si trova a 1100 m di quota e si sviluppa in verticale lungo un ripido e solatio pendio, circondato da terrazzamenti coltivati. La sua origine risalirebbe al XVI secolo, per opera di una famiglia di pastori, di nome Lanteri, che provenienti da Realdo ivi fondarono una “morga”, poi divenuta un piccolo insediamento stabile dedito all’allevamento e all’agricoltura. Sorsero in seguito piccoli nuclei sparsi, strategici per le rotte della transumanza, perlopiù oggi abbandonati: Cae dë Grulée, Cae dë r’Airetta, Cae dë Cuin, Cae dë Punta Reunda e Cae dë Barbun, la morga più grande di Verdeggia, adagiata su un promontorio a 1312 m di quota, su cui veglia la piccola edicola della Madonna Miracolosa di Taggia, di recente restaurata.
Estremo baluardo genovese, Verdeggia è rimasta per secoli separata da Realdo, e solo negli anni ’70 fu costruita una strada carrozzabile che li liberò dal loro apparente isolamento. I due abitati condividono in realtà radici culturali comuni e una lingua pressoché identica, nonostante le sfumature lessicali e fonetiche.
La parlata brigasca conserva a Realdo e a Verdeggia un carattere ancora piuttosto vitale, sebbene venga utilizzata da un gruppo sempre più ristretto di parlanti (perlopiù anziani), ciò a causa del progressivo spopolamento dei due abitati e dell’uso sempre più frequente dell’italiano in ambito famigliare.
(1) Riferimenti in Dizionario di toponomastica, cit., p. 670.
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