Il giornale
Coumboscuro, che comparve per la prima volta nel 1961 e fu la prima testata dedicata alla lingua ed alla cultura provenzale, è oggi espressione dell'omonima associazione, il Coumboscuro-Centre Prouvençal con sede a Santa Lucia di Coumboscuro.

A differenza delle associazioni occitaniste nate negli anni Settanta, Coumboscuro non ha fini politici ma, spiega Sergio Arneodo - figura centrale dell'associazione e direttore del giornale -, è indirizzata "verso un modello culturale", sostenuto da una "filosofia in cui la visione religiosa dei valori ne fa parte integrante" (1)".

L'associazione rifiuta il glottonimo "occitano" preferendo ad esso il termine "provenzale" e sceglie la grafia mistraliana in contrapposizione a quella normalizzata usata da altri giornali e associazioni; come spiega Fiorenzo Toso, la scelta del glottonimo e della grafia non rimanda soltanto ad una discussione terminologica, ma ha implicazioni ideologiche che rivelano la determinazione di un'appartenenza sovralocale: nel primo caso l'orizzonte della "Nazione Occitana"; nel caso di Coumboscuro la Regione Transfrontaliera Provenzale (2).

Il legame con la Provenza ha secondo Arneodo radici antiche, rimanda cioè al secolo scorso quando

la gente delle nostre valli se ne andava in Francia per cercare lavoro (...). La nostra gente quando tornava indietro (...) portavano con sè non solo un gruzzolo di soldi, ma anche di lingua. Perciò per noi la lingua non è stata una costruzione da "malattia occitana", come avviene nei finti corsi di cultura linguistica, ma si parlava provenzale perché era strumento di rapporto con l'oltre frontiera, con la gente che ospitava e dava lavoro ai nostri valligiani (3).

L'associazione di Coumboscuro rinsalda il legame con l'oltre frontiera nei Rescountre Piemount-Prouvenço che si tengono ogni anno a partire dal 1961, anno della nascita dell'Escolo dóu Po alla cui fondazione partecipò anche Sergio Arneodo. Coumboscuro, essendo agli inizi degli anni Sessanta l'unico giornale dedicato alla lingua ed alla cultura provenzale, divenne il portavoce dell'Escolo dóu Po (4) fino al 1972, ovvero fino alla dissoluzione dell'associazione.

Nel 1987 l'associazione Coumboscuro firmò insieme all'associazione transalpina Union Prouvençalo la cosiddetta Carta di Coumboscuro, un "Progetto d'accordo transfrontaliero tra la Regione Piemonte a la Regione Provence-Alpes-Côte d'Azur concernente la Alte Valli Provenzali dei due versanti dell Alpi"; si costituì inoltre un Gruppo di Unione Provenzale con lo scopo di portare avanti proposte di cooperazione transfrontaliera e per il riconoscimento dell'insegnamento della lingua provenzale (5). Alcuni anni più tardi nacque la Consulta Provenzale, che unì Coumboscuro ad altri movimenti provenzalisti transfrontalieri nella firma, nel 2002, della Dichiarazione di Briançon, in cui si "afferma la volontà di perpetuare la lingua provenzale, di preservarne l'autonomia rispetto alle altre lingue dell'area linguistica d'oc e di rispettarnenla varietà"; la Consulta provenzale è inoltre promotrice di numerose campagne "anti-Occitania" (6).

Il periodico nasce nel 1961 come giournalet ciclostilato della scuola di Santa Lucia di Coumboscuro; Coumbascura - questo era il nome del giornale nel primo numero, modificato successivamente in Coumboscuro (N.2) - era inizialmente un luogo di scambio e di dialogo tra gli alunni della scuola elementare di Santa Lucia di Coumboscuro e gli alunni della Valle Stura (N.1, p.1): a questi ultimi è infatti dedicato il primo numero. Sono presenti sin dal primo numero testi scritti in lingua occitana, ovvero le poesie scritte dai bambini della scuola di Santa Lucia, alle quali si aggiungono nei numeri successivi poesie e testi inviati dagli alunni delle altre valli occitane d'Italia.

A partire dal N.2 , dedicato questa volta "alla gente di tutte le valli patoisantes", la redazione dichiara di voler scrivere tutte le pagine del giornale in provenzale (anche se in realtà il giornale alternerà l'italiano al dialetto locale):

Perché il patuà è sostanza di nostra gente, luce e tradizione, patrimonio spirituale unico e sommamente genuino, in cui si rispecchia la nostra coscienza di montanari e che vogliamo difendere, nobilitandolo di fronte a noi stessi e agli altri. (...) Questo il motivo che ci ha indotti a redigere interamente nella nostra parlata natìa il numero unico che la scuola di Santa Lucia va pubblicando da anni ed a dedicarlo alla gente di tutte le valli patoisantes. Perché in tempi di livellamento delle mentalità, di appiattimento dei costumi, di desolante spersonalizzazione e di pianificazione dei cervelli sotto l'egida del trionfante industrialismo, possa essere-sia pur per pochi- un modesto ma franco esempio di contraddizione al costume di massa ed all'assuefamento rinunciatario (N.2, p.3).

L'obiettivo del giornale è ribadito nell'articolo intitolato Per la glori dou terraire del 1962:

Aquest an troubé lou noste giournal scricc en patouà.Smaraviéu nin, porqué nous, se preiquén lou patouà, i nous sentén dapertout coumo ente nosto caso, ente nosto valado. (...) Apres tuci ensem, ciantén la ciansoun de "La coupo!" en prouvençau. I'es uno ciansoun facio da. Mistral, que ent al soun pais.al preicavo co empaupres coumo nous. Mistral es istà lou pu grant pouèto de la Prouvenço e un di pu grant de tout lou mount. Al à nin desdegnà de preicar la lengo de sa tèrro, lou prouvençau: na lengo ben difrent dal francés, e a là facc counouisse soun patouà ente tout lou mount, Lou soun pu gros travai es en pouèmo, "Mireio", que préico de na fiho de Prouvenço, na pauro fiho de la tèrro coumo nousiauti, qu'i'es anà murì ent al pin de la giouventù.

Nous voulén, coun aquest giournalet fa counouisse lou noste patouà ent i pais de la piano e mandà en salut d'afecioun a tuci aqui que ente i aute valade preiquen coumo nous. (...) Sabén nin coumo vai que ente toute i valade di mountagne lou preicà es scasi l'istess, dal moument qu'ià bele d'gun passage da uno a l'auto. Ma anén nin sercà! Nous sen countent d'acò, perqué parei nousiauti de mountagno se sentén tuci unì, tuci fraire e fourmén na grando famiho. La pu grosso, e magaro la souléto riquesso d'aquesto famiho es propi lou noste paure patouà (N.2, p.1).

Il patois, definito "provenzale", è il punto di unione fra gli abitanti di tutte le valli piemontesi che parlano la stessa lingua: in virtù dell'idioma natìo, essi sono tutti "fratelli" appartenenti alla stessa famiglia. La lingua è inoltre ciò che lega gli abitanti delle valli alla terra di Mistral, la Provenza.

Scrivere in lingua significa dunque difenderla, salvarla dall'oblio, ma non solo; è anche ritorno alle radici in contrapposizione ad una società omologatrice e spersonalizzante, è lotta tra due mondi che si fronteggiano: l'uno, corrotto e violento, per dominare, fagocitare e annullare ogni differenza; l'altro, quello autentico e genuino, per sopravvivere.

La memoria del passato è concepita come eredità e patrimonio ("una linfa di fresca spritualità") per "la sete di domani": i suoi valori sono proposti a fondamento della civiltà futura ("una civiltà troppo spessa dimentica di se stessa", N.4, p.3).

Il patois del paese e delle valli, strettamente legato alla "terra" e a quel mondo a cui la lingua natìa dà voce e corpo ("anche noi, come Mirèio, figli della terra. Perché l'odore della terra, quando viene di lì, è come un umore che ti si attacca e t'impregna carne e ossa, anche a distanza di qualche generazione", N.3, p.3), viene contrapposto alla parlata della pianura e al sistema di valori che essa rappresenta ("la parlata benestante di gente benestante", N.6, p.3); il patois, constata con rammarico Sergio Arneodo nel 1963, "oggi si trova inesorabilmente attanagliata tra il blocco omogeneo della lingua e della cultura francese e l'invadenza del piemontese che dalla pianura tende a risalire le valli"(N.6, p.2). Come osserva nel N.3 di "Coumboscuro", citando Mistral, "siamo rimasti in pochi a combatterla: «D'un vecchio popolo fiero e libero siamo forse gli ultimi!»" (N.3, p.3). Le poche persone rimaste a "salvaguardia delle tradizioni e dei patois provenzali" diventano gli ultimi custodi di un "patrimonio spirituale che è stato loro affidato dai vecchi, per essere custodito e salvato" (N.3, p.3).

Proprio per "tutelare le tradizioni e i patois alpini, di ceppo schiettamente provenzale, delle valli dell'arco marittimo, cozio e graio", fu creato "da un gruppo di umili appassionati" (N.3, p.7) il concorso di poesia in patois "Monviso 61" (8) che darà vita all'Escolo dóu Po; si possono leggere due delle poesie premiate al concorso sul N.2 di "Coumboscuro": La ciansoun de Varacio e Perdicioun.

La pagina dedicata al concorso è preludio allo spazio riservato all'Escolo dóu Po nel numero successivo (9); come si legge nell'editoriale del N.3:

a quest ann denen auspitanço ent i noste pagine a l'"Escolo dòu Po", qu'ies na coumpagnio de apaciounà ai patouà di noste valade e vol defende e ounourà entra nous la parlado provençalo, que i nou es arubà ent i temp passà de dareire di mountagne.

Acò es ente la secoundo part dal noste journalét. Ente la primièro butén i storie e i prouverbi que nous cuénten i viei de la valado. Ma scrivén co i noste pouèsie e i marminele que fen a l'escolo (N.3, p.1).

Questa sarà l'impostazione di "Coumboscuro": nella prima parte, denominata Nosto Pouèsío, i testi scritti o raccolti dagli alunni della scuola di Santa Lucia; nella seconda parte, denominata Escolo dóu Po, gli scritti dei "manteneire" (così vengono chiamati coloro che scrivono e che quindi tengono in vita la lingua e l'Escolo): poesie, proverbi, preghiere e testi vari prodotti o raccolti da autori provenienti da valli diverse.

Nel N.3, si possono ad esempio leggere le poesie ed i bozzetti degli alunni Pierin Rosso (Nebio), Marinella Pessione (I beule), Graziella Tangini (Lou fraisse), Nanà Rosso (Couro sen d'outourn), Remon Ristorto (En pasturo), Lucia Rosso (Na man que caresso), Silvia Damiano (Vià de l'outourn) e del maestro Sergio Arneodo (Fiet de mamà); nella seconda parte, suddivisi per valli, troviamo laChansoun popolare inviata dal professor Tron dalla val Pellice; una poesia di Antonio Bodrero (L'aiguio), una preghiera e gli indovinelli raccolti da Sergio Ottonelli (Preguiero); i Prouverbi della val Varaita; una cantilena inviata da Maria Olga Olivero (Cantinello) e un bozzetto di Pietro Antonio Bruna-Rosso (Nostalgio) dalla valle Maira; ed infine una poesia di Gabriele Giavelli dalla valle Stura (La fratelanzo es naturalo).

Gli articoli redazionali permettono di seguire gli eventi e le principali manifestazioni che hanno avuto luogo nelle valli piemontesi a partire dagli anni Sessanta: i vari incontri del gruppo dell'Escolo dóu Po, come ad esempio quello tenutosi ad Elva nel 1968 nel quale furono nominati "manteneire" Piero Raina e Beppe Rosso (Frairanço à Elvo); le diverse edizioni dei Rescountre Piemonte-Provenza, come ad esempio il IV del 1964 (Amis e fraire de Coumboscuro); gli incontri della Santo Estello, "festo de unioùn espiritualo ent'al noum de la lengo de Mistral e de l'amour à la terro d'i réire", in cui "la lengo e la freiranço oucitano soùbren la frountièro poulìtìco e arùben fin à noùsiauti, que ent'i valade italiane parlén la lengo prouvençalo de Frederi Mistral e creién ente la libro espiritualità de l'ome" (Santo Estelo '67); o il concorso di poesia di Roure del 1971 (Lou concours de prosa e poesia en lenga d'Oc), vinto ex-equo da Lucia Abello (Auro) e da Janò Arneodo (Roumiage), cui seguirono Brin de foujero di Maria Piera Rosso, Pount de Val Courto di Tavio Cosio, Acò que resto di Dante Giordanetto e Pavouno e Materin di Masino Anghilante (pubblicata successivamente sul numero 15 di "Ousitanio Vivo" nel 1976).

Frequenti sono inoltre i proverbi e non mancano le leggende (come ad esempio La legendo dâ Lauzoun), le cantilene e ninna nanne, le canzoni popolari; vi si trovano inoltre alcune preghiere.

Per quanto riguarda la letteratura, possiamo seguire i primi passi e le successive evoluzioni di quelli che oggi sono annoverati tra i principali autori della storia letteraria occitana cisalpina.

Il senso di appartenenza ad un'unica terra pervade le pagine di Coumboscuro; dalla prosa di Sergio Arneodo negli editoriali, l'invocazione diventa canto lirico nella poesia di Franco Bronzat Preiera eissubliaa; la preghiera, rinnovata umilmente "le chapel a la man, /sus l'autal de l'esperança", è rivolta alla "madre, dea, ragazza" Occitania:

Maire, deessa, mendia,

escot-me, ancuèi

adont pòl esser ier,

avem besonh de tu

chauda, bela, viosa,

libra mai que jamai,

parelh te volem: Occitania.

L'invocazione è rivolta invece alla Provenza, che seppur con nome diverso è comunque emblema dell'unione delle terre e della gente valligiana, da Masino Anghilante nella canzone Prièro dal Prouvençau:

Prouvenço

Prouvenço,

ma terro di flour;

per la mio

Prouvenço

te pregou, segnour!

Escouto lou bram - de moun cor mountagnard

prouteg la Prouvenço - ma terro, ma gent;

escouto la vous - de toun fi prouvençau!

Ciò che unisce persone di valli diverse e persino di Stati diversi è, dicevamo, la lingua: patois, nosta moda, occitano, provenzale, o comunque lo si voglia chiamare, il dialetto è reis (radice), patrimonio trasmesso dagli antenati e proprio per questo terra, casa, luogo familiare in cui si è nati e cresciuti.

Ad esso sono dedicate numerose poesie. Per Piero Raina di Elva "la nosto lengo" è "lengo de pas e d'esperanço /message d'amour, de frairanço" perché "jamai na dequiaracioun de guerro / es esta escricho 'nt la lengo et nosto terro" (La nosto lengo). Per Gabriele Giavelli di Argentera "es lou lengage de la frountiro, / que senso certo diploumasìo / manten unì gli nuostre paìs/ senso usar gli fragil papiirs", tanto da rendere "la fratelanzo naturalo" (La Fratelanzo es Naturalo). Per Pietro Antonio Bruna-Rosso "nosto lengo es la pu belo"; come disse anche Mistral, "et pu bèi patouà n'avìo pa gaire"; capito anche in "Prouvenzo e Languedò, din ent l'Ouvergne", esso non deve però essere dimenticato: "Oublién mai nost bèl patouà / emparà da nostes maire" (Nost parlar).

L'idioma del paese natìo diventa per molti l'ultimo bastione di difesa delle piccole comunità che si stanno dissolvendo per l'emigrazione verso la pianura la quale porterà al progressivo spopolamento dei paesi delle valli, e soprattutto delle borgate, fino all'attuale abbandono.

L'abbandono delle meire (o granje), delle case degli avi, dei paesi e delle borgate è uno dei temi più ricorrenti. Un senso di nostalgia e di disfacimento pervade la poesia di Remigio Bermond (La plaou tristese), che vede le case dei vecchi crollare, pezzo dopo pezzo:

La plaou tristése su lâ mizoun dâ vei,

toc aprê toc lou mùrs von bazaquiô

e d'cò lâ vauta d' peire que tenìon lou tèi

i soun dzò presta a digringoulô....

Tristése la plaou enqueou s' lou vèi cazèi
dount notri sègni i soun itô abricô

ma notri coeurs i soun toudzourn plu frèi

e clâ mizoun volon pa mai gardô.....

L'ée tou finì: su lâ mountagna nìëra

plouron lâ rotza dë ligrùmma amôra

e lou brìou d'l'aure il on la vou d'la mort,

aboù coulére i fouton en l'ère la porte,

lou fetri ibouron aprê aguée rout lâ bôra

que digringollon a sol, din lâ tzarìëra.....

Anche la meira dell'infanzia di Antonio Bruna-Rosso, nella quale è nato, "avouro i coumenço ana en rouvino" (Ma granjo); lo stesso autore constata con rammarico che non soltanto il paese, ma anhe la gente è cambiata (M'a fach peno al veire moun pais) :

m'a fach peno al veire moun pais, que vai areire. Fin lou caratère de la gent ai trouba chambia: desacordi en tra cantoun, qui vòl la vìo dal Col, qui aquelo dal Valloun... A ma ment es vengùo la "Battaglia perduta" e sìou ista pensierous, perque se SE CHARAMAIO SUS I PAIRE, LA CHALANCHO ES PER I FI.....

Giovanni Antonio Richard, che guardando il paese ricorda "i sacrifici di reire e d'aqui da uro que lou laissoun mourir" (Stent), immagina borgate che si ripopolano, per poi constatare con rassegnazione, nel finale, che la sua visione era soltanto un sogno (En suegn):

Ai en suégn

L'es ruà que s'empìou de vito (...)

di reire, de lour vito

di temp pasà,

d'es miseries, de la fam

de la jai que regnavo eilamoùn.

L'ei en sugn...

Anche la visione di Mauro de Pracistel, guardando i casolari degli antenati e camminando solo "per l'antica via", si configura come sogno (Retournen plus):

Pantai: vou cercou, vous que sè esta,

pantai: vou quèrrou, vous qu'avè estrema

lou marenq sout la peiro

e i bodi din la reho senço fin.

............................

Se dins un séro

d'uvèrn viharéi i lume

avisq ai vuèste méire, tramolen pa

i man que cerquen tramès i cénre.

Sarai mi soulament

sus la viho de moun pantai.

Franco Bronzat, invece, dice di non voler essere l'ultimo a veder divenire i campi incolti, le case cadere, le genti scappare, con il rimpianto d'aver perduto la terra "perquè sien un pople /oblijà a esubliô" (Sien oblijà a esublio).

La perdita della terra, emblema dello sradicamento degli abitanti delle valli ("avevo un'anima, me l'hanno anche presa") per i quali essa costituiva la fonte principale di sostentamento, ritorna nella poesia Quouro la sero di Ines Cavalcanti:

Avihou de tero

i me l'an pia,

avihou na caso

i me l'an pia,

avihou n'animo

i me l'an decò pia.

Avuro daluégn d'ilamoun,

quouro la sero

m'estrégn la goulo

e grimes de rabio

pougnoun mi uéi,

voularihou bramàr

à lou mounde

qu'es pa just ço que m'an fach;

voularihou que tuchi

fouguéssoun en jai,

voularihou mi dran

èsse jaiouso;

ma quouro la sero

m'estrégn la goulo

véu murir ma gent ilamoun

e mi pui rèn,pui rèn

èsse jaiouso.

La protesta dell'autrice contro l'ingiustizia subita ("vorrei gridare al mondo / che non è giusto ciò che mi hanno fatto") è destinata a restare senza risposta.

Anche la canzone di Sergio Arneodo assume i toni aspri della contestazione quando accusa che, insieme alla terra, si sono presi anche la loro vita (Nous an pres la vido):

Lou pra-sabè-qu'i aviho dareire,

tout just daréire de meisoun?

Ero un gran pra 'bou doùe ou tres méire,

que n'aute n'aviho rèn 'ci-amoun.

.........................................

Me après quarqui arlatàn

i an planta bèn al mès

tres palais d'ounse mian.

N'an fach un pra bourgués,

n'an fach 'bou soun argent

un pra per gent da bèn:

neon, vedre, cement...

Ié fasèn pus lou fen!

..........................................

Nou-an près la terro e la bastido,

nou-an près la mort, nou-an près la vido:

quatre fourèst bourra de sòu

tiren bounur dal noste dòu!

La protesta contro un turismo che non rispetta l'ambiente e la cultura locale sarà un tema ricorrente della rivista "Ousitanio Vivo" e delle lotte politiche degli anni Settanta, insieme ai temi dello spopolamento delle valli e dell'abbandono delle terre dovuti all'emigrazione dei valligiani verso la pianura in cerca di lavoro.

Gli "operai di montagna" di Tavio Cosio assumono le sembianze di fantasmi, simbolo della spersonalizzazione del lavoro nelle fabbriche. Fermi nella notte, sotto la luce dei lampioni, "figure nere / sbiadite da un turbinio di farfalle di neve", aspettano la corriera che passi per scendere verso "le fauci spalancate / delle fabbriche della pianura / in un saliscendi senza fine" (Sout i lampioun):

Tuchi 'n réou, senço vueio de parla,

un charounta de pé sus la mourdanho

enchaniné dal fré,

fià que se mesquien soubre 'nt uno tubo

din la feble lumiero di lampioun,

oubrié de mountanho,

cach a speta que la couriero passe

charja 'quihi vostri sonh coupa da i maire,

vosti silenci d'Indios, vostre forse,

vosti pourmoun coulounisa da i dusou

d'un mounde qu'es pa vost.

Tout de vousautri en vers i goule ouberte

di fabrìque dla piano

ent' uno calo-mounto senço fin;

me vosti cor issì a speta i retourn,

grimpa ai guindal, ai fount, ai piasse vuide

d'aquisti paiset

coundana a avé pus degune speranse.

Non tutti gli scritti sono pervasi di nostalgia e rassegnazione.

Molti dei testi raccolti parlano ai lettori di una natura incontaminata, abitata da animali, masche e sarvan e di una vita umile fatta di piccole gioie quotidiane. Riporto come esempio la poesia di Antonio Bruna-Rosso di Elva (Ma riquesso) :

Ma riquesso es la mountagno
lou ciel biou, i pra fiourì;

e d'uvern, quant charamàio,

proumename sus i'esqui.

Ma riquesso es l'ario puro,

que respirou a pien poulmoun,

abou es vacches anàr en pasturo

a1 tapage di roudoùn.

Ma riquesso es bizo, es auro

que lou ciel vai escoubàr:

e la nebio, pauro pauro,

al souléi laisso lou quiàr.

(...)

Ma riquesso i'es la peiro

que s'assetavo ma mamà:

al m'esméo encaro et véilo

a paìsse ses minà.



NOTE.



(1)Sergio Arneodo nelle interviste riportate in Laura Pla-Lang, Occitano in Piemonte: riscoperta di un'identità culturale e linguistica?, p.157 e 159.

(2)Cfr.F.Toso, Dalla glottonimia alla glottopolitica: la scelta tra "occitano" e "provenzale" dalle motivazioni storico-culturali alle polemiche ideologiche (2007).

(3)Di nuovoSergio Arneodo nell'intervista di L.Pla-Lang, op.cit., p.156.

(4)In un'intervista, alla domanda se ci fu una rivista per l'Escolo dóu Po, Sergio Arneodo risponde: "No, non è mai uscita, non si è mai fatta. Buratti ha detto: "Bon, c'è la rivista Coumboscuro che sostituisce tutto ciò che manca all'Escolo dóu Po". Quando siamo arrivati all'Escolo dóu Po, abbiamo avuto la fortuna di avere già il nostro giornale, era uscito il secondo numero", in Sano Naoko, Una lenga en chamin, Chambra d'òc, Saluzzo, 2008, p.72.

(5)Cfr.Domenico Canciani e Sergio De La Pierre, Le ragioni di Babele, Francoangeli, Milano, 1993, p.53.

(6)L.Pla-Lang, op.cit., p.76.

(7)Nel N.5 del 1963 Sergio Arneodo invita i bambini delle altre scuole ad inviare i loro scritti: "Se pouésse decò mandanou quarcoso di voste valade, nous sarìo ben agradì, e si numre que anarén pareisse farìen dco na pichoto ou grando piasso a i voste coumpousicioun. Tout acò perché lou noste e lou voste bel patuà, que i soun fraire e igual, vassen nin muère. Sabén que "Coumboscuro" ies arubà a i escole de mountagne, de Val Vermenagno a Val de Suso e al sarìo enteressant que coun l'an nouvel al pourtesse dco i vuèsti scric en patuà, que sarìen la vous di vuèsti pais, di voste valade".

(8)Sergio Arneodo scrive: "L'han chiamata la festa dei patois. E veramente è stato per la nostra parlata montanara il giorno felice in cui essa ha toccato la luce della poesia, con una efficacia lirica e una sincerità di commozione che ne testimoniano in modo certo la validità espressiva e l'intima dignità", ivi, N.3, p.8.

(9)"Da questo numero facciamo posto alla «Escolo dóu Po», il giovane sodalizio sorto nell'agosto dello scorso anno ai piedi del Viso, nel convegno piemontese-provenzale di Crissolo, per valorizzare e restituire alla loro vera luce, nel nome del grande Federico Mistral, le parlate di origine provenzale delle nostre valli", ivi, N.2, p.2. Nel numero successivo Arneodo spiega: "Il 14 agosto dello scorso anno, a Crissolo, in alta Val Po, i poeti provenzali Rostaing, Jouveau e Bonnet, con seguito di costumi e tambourinaire, avevano donato al Po l'acqua di Sorga e Rodano e patrocinato la nascita dell'«Escolo dòu Po»", ivi, N.3, p.7.