Il Premio Giovani 2025 si rivela un’autrice matura, raffinata, con un pensiero politico libero dalle ipocrisie.
Buona parte dei tre giorni del Premio Ostana li passo nel salottino dell’amico Carlo Zoli, che ogni anno accoglie nella sua casa di Sant’Antonio un piccolo set che allestisco con l’amico Yalmar Destefanis. Di fronte alle nostre due videocamere si susseguono i premiati per delle interviste in cui raccontano il loro essere autori e autrici e il proprio rapporto con la lingua madre. È questa la ragione per cui mi perdo gli incontri pubblici del Premio Ostana, le conversazioni che si hanno qualche decina di metri più in là, presso Lou Portoun. Ed è questa quindi la ragione per cui non ho seguito l’appuntamento dedicato alla poetessa e scrittrice in lingua galiziana Berta Dávila, presentata dal suo tutor Guglielmo Diamante, presidente dell'associazione culturale DeVulgare, amico del Premio Ostana. A riprendere quell’incontro è stato Luca Percivalle, e prima o poi recupererò il girato perché Berta Dávila è una di quelle autrici che bisogna assolutamente conoscere, e approfondire.
Affermata e matura nelle sue scelte e consapevolezze artistiche, Berta Dávila ha un percorso tracciato e una strada di fronte a sé quasi inevitabile: scrivere per lei è come respirare, “è un’attività gioiosa”, non è un “processo tormentato legato alla retorica del genio solitario, isolato, che soffre davanti alla pagina”. “Per me scrivere un romanzo è una delle cose migliori che si possono fare nella vita. Come cantare in macchina, andare al mare con le amiche o viaggiare. Scrivere un romanzo è un’esperienza che consiglio”. Berta si allontana da una concezione elitaristica della letteratura, e arriva così a voler includere tutti in un possibile processo di scrittura, di creazione. Quando Mariona Miret, che ha condotto l’intervista, le chiede “lo stato di salute” del galiziano, la scrittrice sostiene di non avere le carte della sociolinguista per poter rispondere al meglio, ma rivela una posizione politica forte, accendendo un faro sulle condizioni politiche e sociali che influenzano la vitalità della sua lingua madre: “Il galiziano, se lo confrontiamo con altre lingue minoritarie del mondo, non si trova nella stessa situazione: è lingua ufficiale, è insegnata a scuola, è ancora molto parlata. Certo, ci sono conflitti trasversali che ne condizionano la vitalità: questioni di classe, di capitalismo e globalizzazione, di orientamento politico dei governi e del loro modo di concepire la lingua di un popolo. Persino le questioni di genere possono incidere sui contesti in cui si parla una lingua”. La lingua per lei non è qualcosa di accessorio, ma è così profondamente radicata nella società da essere influenzata dalla classe, dal capitalismo, dalla globalizzazione, dal genere. Se la questione della globalizzazione è una delle questioni che non si possono evitare quando si va a parlare delle lingue madri e di come sia cambiato il loro stato di salute negli ultimi anni, non è per niente scontato sentire parlare di classe e di capitalismo. Generalmente una critica al sistema economico in cui viviamo può apparire sotto traccia, come implicita, ma è un bene che qualcuno sia qua a ricordarcelo con più chiarezza, con più fermezza. Berta Dávila è chiara e non ammette ipocrisie. “Accettare un certo racconto sul conflitto linguistico – nei paesi in cui convivono due lingue e dove c’è diglossia – non significa sostenere che la convivenza sia pacifica o equilibrata. In realtà, sono pochissimi i luoghi al mondo in cui due lingue convivono in armonia senza tensioni. In Galizia ci sono molti castiglianofoni che sentono il castigliano come la loro lingua. Ma questo non vuol dire che sia una lingua propria della Galizia: la lingua propria della Galizia è il galiziano. E il processo per cui il castigliano è arrivato qui e ha iniziato a sostituirlo rapidamente non è un fenomeno naturale o meteorologico, ma un conflitto con radici storiche e politiche, molto doloroso per tante persone […] Nessun popolo ha una predisposizione naturale ad abbandonare la propria lingua. Quando un galizianofono inizia a parlare anche castigliano perché pensa che sia la lingua del progresso e del futuro, si tratta di un processo doloroso e complesso”. La scrittrice galiziana va dritta al sodo. È stufa di narrazioni semplicistiche, è stufa di vedere le lingue senza stato produrre opere solo di un certo tipo, e infine è stufa di una politica poco coraggiosa, incapace, impotente: “il problema è che quando la politica dice “vogliamo fare qualcosa per il galiziano, siamo orgogliosi del galiziano”, bisogna chiarire: lo si vuole relegare a lingua da museo? A simbolo identitario per cantare l’inno? Oppure si vuole una politica linguistica efficace, che aumenti davvero il numero dei parlanti? Credo che la questione richieda più franchezza e una politica linguistica onesta, con obiettivi chiari e dichiarati”.
“Una politica linguistica onesta”: lo sappiamo tutti, forse è proprio quello di cui hanno bisogno le lingue madri, le lingue senza stato. Ma uno stato-nazione può essere sempre veramente onesto verso le proprie minoranze? Sarebbe bello poter iniziare a pensare a nuovi sistemi democratici, in cui le minoranze smettano di essere schiacciate, oppresse, ma partecipino attivamente alla vita politica di un paese, di qualsiasi paese si tratti. I curdi, schiacciati dai regimi e frammentati in almeno 4 stati-nazione hanno dato vita al “confederalismo democratico” e nella Siria del nord-est portano avanti una vera e propria rivoluzione democratica, dove c’è spazio per ogni espressione, sia essa espressione linguistica, religiosa, culturale, politica. Si tratta di un esperimento potente, che dobbiamo continuare a osservare, perché contiene in sé strumenti e metodi che dovremmo apprendere. Iniziamo con l’essere onesti e pretendere una politica onesta, così come suggerisce Berta Dávila. Andate a leggervi i suoi libri, la sua penna sa essere profonda e delicata, poetica e evocativa, ma sempre precisa, puntuale, a volte forse anche chirurgica. In italiano troverete il romanzo “L’ultimo libro di Emma Olsen”, edito da Aguaplano. La casa editrice sostiene che sia “un romanzo breve, vitale e dolente. Un gioco metaletterario di proiezioni, simmetrie e punti di fuga sullo sfondo delle sterminate pianure americane, della polvere, delle cicatrici che ciascuno reca con sé”. Un libro scritto in galiziano e ambientato negli Stati Uniti, con una protagonista statunitense. Perché una lingua può e deve vivere anche al di fuori dei propri confini.
Intervista a Berta Dávila, Premio Ostana 2025, Lingua Galiziana, Spagna
Berta Dávila riceve il Premio Ostana 2025, Premio Giovani


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