Un tempo, dalle Valli, si partiva per svolgere lavori stagionali. Il paese si svuotava. Restavano le donne e i bambini ad accudire i vecchi, gli animali e fare tutto ciò che era necessario. Merciai, arrotini, acciugai, venditori di capelli emigravano. I bambini non erano esenti dal dovere di contribuire all’economia familiare e, con l’arrivo della primavera, venivano portati alle fiere d’oltralpe per essere ceduti ad altre famiglie, che li assumevano come pastori. Erano le “mainaas fitaas”, i bambini affittati. “Li portavano a gruppi dalla Val Maira, il fardello di un chilo in un sacchetto, degli zoccoli nei piedi”. Seguendo il sentiero in salita, si attraversavano boschi e pietraie “in un deserto di rocce bianche e nere” fino al Colle Sautron per andare alla fiera di Barcelonnette, nel vicino Ubaye, cercando di allocare i bambini già in grado di lavorare. “I più giovani avevano solo sette anni” e bisognava essere convincenti. Ma “i padri di un tempo sapevano mercanteggiare”: “Affittatelo a trenta franchi il mio ragazzo, ascolta e lavora notte e giorno, dategli un pezzo di pane e se non ne avete della segatura!”. Non sempre era dignitoso il soggiorno, generoso il compenso, né a fine stagione facile il ritorno. A un certo punto il sentiero spariva nel bianco o nella nebbia, il vento entrava nelle ossa, la cresta era lì, “ma il colle era sempre lassù”.
Questo mi raccontavano del bel tempo passato
i poveri vecchi di una volta;
e quasi piangevano perchè loro l’avevano provato.
Un tempo che oggi appare lontano, raccontato nella poesia “A la fiera de Barceloneta”, viva testimonianza e memoria storica di fatti che riemergevano spesso nelle occasioni d’incontro o narrati durante le veglie. Ogni parola è un passo che schiaccia la neve, ogni verso un vento gelido penetrante. Nella lingua, al di qua come al di là delle Alpi, parlata nella società in cui ciò è accaduto e si è narrato, prima che l’emigrazione verso la pianura piemontese a partire dagli anni del boom economico producesse un fenomeno non meno tragico, l’abbandono, una migrazione senza ritorno, con il conseguente e progressivo sfaldamento del tessuto sociale di generazione in generazione.
Sempre finivano così:
“Che avete da lamentarvi, che avete da rimpiangere?
Non vi hanno portati, su per il Colle Sautron
alla fiera di Barcelonnette.
Nostro Signore ve ne guardi!”
La poesia, presentata al concorso di Sampeyre nel 1972, pubblicata su giornali e volumi e recitata in eventi e spettacoli, nel tempo è divenuta parte della memoria collettiva fra la popolazione delle Valli. Il suo autore, Costanzo Cucchietti, si è spento il mercoledì del 25 dicembre 2024, all’età di 82 anni. Originario di Stroppo, in Val Maira, del quale ha ricoperto per alcuni anni la carica di sindaco, è stato docente e direttore didattico. In suo ricordo, proponiamo di seguito il testo della poesia e la sua lettura.
ALLA FIERA DI BARCELONNETTE - di Costanzo Cucchietti
In aprile, sulla piazza di Barcelonette
alla Fiera del Grand sande de Ramèu
centinaia di bambini attendevano di essere affittati per l’estate.
Li portavano a gruppi dalla Val Maira,
il fardello di un chilo in un sacchetto,
degli zoccoli nei piedi.
Di notte, nella neve, nelle pietraie, zitti, stanchi morti e mezzi gelati,
salivano pian piano il Colle Sautron,
ma il colle era sempre lassù
e i piedi sanguinavano sulle pietre taglienti.
In un deserto di rocce bianche e nere
la luna dal cielo gli rischiarava
forse aveva pietà.
Ma presto, sulla piazza del mercato
i bambini erano svegli e arditi,
i più giovani avevano solo sette anni...
la roba da vendere deve fare bella figura!
E i padri di quel tempo
sapevano mercanteggiare....
“Affittatelo a trenta franchi il mio ragazzo,
ascolta e lavora notte e giorno,
dategli un pezzo di pane
e se non ne avete della segatura!”
Questo mi raccontavano del bel tempo passato
i poveri vecchi di una volta;
e quasi piangevano perchè loro l’avevano provato.
Sempre finivano così:
“Che avete da lamentarvi, che avete da rimpiangere?
Non vi hanno portati, su per il Colle Sautron
alla fiera di Barcelonnette.
Nostro Signore ve ne guardi!”


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