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Una cosa è sicura: per le elezioni europee il mio impegno di cittadina che va a votare è terminato.E’ un’azione di dissenso che non cambia le sorti dell’Europa ma cambia quella della mia coscienza. Credo che François Fontan, fondatore negli anni 70 del Partito Nazionalista Occitano, presente soprattutto in Francia, e del Movimento Autonomista Occitano, presente nelle valli del Pîemonte, fervente e arciconvinto anti europeista avesse come al solito ragione. Quella che lui vedeva formarsi non era l’Europa dei popoli, sognata da idealisti come Altiero Spinelli e i padri fondatori ma un’Europa degli Stati e dei poteri forti, implacabile verso chi non sta alle sue regole.

In un’articolo pubblicato sul n. 5 di Ousitanio Vivo di giugno 1977 titolato “L’Europeisme ch’es acò”, allora organo del Movimento Autonomista Occitano, in vista delle prime elezioni europee veniva fatta un’analisi interessante che voglio condividere nella sua parte più originale e legata alla visione etnista di Fontan : “cercare la realtà sotto il mito Europa significa chiedersi che cos’è l’Europa.Prima di tutto l’Europa è una nozione geografica, si tratta di un continente che si estende dall’Artico al Mediterraneo, dall’Atlantico agli Urali; ma, se la divisione del mondo in continenti può essere comoda, bisogna stare attenti a non trarne a priori l’esistenza di una comunità umana europea omogenea.Dal punto di vista etnico-linguistico l’insieme indoeuropeo, comprende anche tutta la Siberia, l’India, l’Iran, gran parte del continente americano, ma esclude in Europa i Paesi Baschi, la Finlandia, l’Ungheria e le regioni del Caucaso. Pensiamo poi al solo fatto che l’etnia anglosassone si estende in quasi tutta l’America del Nord, nell’Australia e nella Nuova Zelanda, quelle spagnola e portoghese; in gran parte dell’America Latina, quella Russa in Siberia; ecc. …Dal punto di vista economico –politico vi è un’opposizione totale tra l’Europa dell’est tradizionalmente totalitaria ed ora socialista, quella del nord-ovest, democratico-capitalista e quella del sud, sottosviluppata e semi-coloniale. Parlare di una storia comune dell’Europa è un non senso. Si intende in generale con ciò la storia di alcune nazioni vicine le une alle altre, aventi avuto dei rapporti tra loro più o meno stretti e soprattutto la storia della dominazione di alcune nazioni sulle altre. In ogni caso la storia non può in alcun modo essere intesa come giustificazione di un fatto attuale o di un progetto.Essa permette semplicemente di spiegare dei fatti. E’ dunque evidente che un’entità europea omogenea non esiste, ma essa serve unicamente da pretesto per degli interessi economici e politici ben precisi. E’ altrettanto evidente che quando i nostri politici parlano di Europa unita non pensano minimamente a quella che abbiamo più sopra considerato….”.

Eppure se andiamo a ben vedere gran parte delle nazioni che aspirano all’indipendenza in Europa sono europeiste, basti per tutte citare il caso della Scozia. Ha anche una sua logica perché le nazioni senza stato sanno che lo stato al quale appartengono non intende assolutamente trattare la questione,ne tantomento cercare risoluzioni ragionevoli. Sta nella negazione del problema la loro forza. Pensiamo alla Francia e alle posizioni di Macron, ma che non sarebbero cambiate di nulla se al suo posto ci fosse stato un altro Presidente.Sotto il mito dell’egalitè e fraternitè sono messe a tacere le rivendicazioni di baschi, corsi, catalani, occitani, bretoni, alsaziani, .anche le più elementari come il loro formale riconoscimento che semplicemente esistono.

A fronte di queste difficoltà con i loro rispettivi stati e illuse dai finanziamenti che sono arrivati su linee europee –che non si può negare alcune volte sono servite in modo egregio a risolvere problemi territoriali legati allo sviluppo sostenibile- le nazioni senza stato si sono illuse che l’Europa potesse diventare interlocutrice.