Enti in rete L.482/99   

"Cóntias" - Racconti OC

"Cóntias" - Racconti OC

I tamburi dell’Assietta

Los tamborns de l’Assièta

Racconto e audio lettura in lingua occitana a cura di Luca Poetto

I tamburi dell’Assietta
italiano

Negli anni quaranta del 1700 le Alpi si agitavano sotto il peso delle guerre e della Storia. Sulle alture del Gran Serin e tra le valli del Chisone e della Dora, un manipolo di uomini si preparava a combattere non solo per un re, ma per qualcosa di più antico: una patria perduta.

Erano i gli uomini degli ex Escartons, veterani e fieri montanari. Un tempo cittadini del Delfinato francese, nati nei villaggi liberi delle alte valli, cresciuti sotto la protezione della “Grande Carta delle libertà Brianzonesi”, avevano assaporato la libertà di quelle antiche comunità alpine dotate di autonomia, in seno alla corona francese. Ma nel 1713, con i Trattati di Utrecht, la politica fece ciò che la guerra non aveva osato: cedette le valli di Pragelato, di Oulx e di Casteldelfino al Ducato di Savoia, in cambio di una pace, che tuttavia, sarebbe stata effimera.

Fu un tradimento silenzioso, scritto con l’inchiostro sulle carte dei diplomatici. Gli uomini delle valli, da un giorno all’altro, si trovarono sudditi di un altro Stato. Le vecchie autonomie svanirono, e con esse le proprie libertà. Alcuni accettarono, altri resistettero, altri espatriarono. Tra questi, molti rimasero fedeli al capitano Daniel-André Bourcet, capo della compagnia franca dell’Escarton di Pragelato, composta quasi esclusivamente da uomini degli di quella piccola patria alpina. Uomini che, più che soldati, erano montanari armati di amore per la propria terra.

Quando, la tragica spartizione delle vallate delfinali venne compiuta, la compagnia si smembrò anch’essa a seguito di una gran parata tenutasi sul Champ de mars, davanti alla cittadella di Briançon, tra ricordi e lacrime di commozione.

Passarono gli anni ma il tradimento della diplomazia internazionale non venne mai perdonato da quelle comunità che per secoli avevano saputo gestirsi da sole tra le aspre cime di quei monti.

Così che dopo la morte dell’amato capitano Daniel-Amdré, fu suo figlio, Pierre-Joseph Bourcet, a sognare la liberazione di quell’angolo di Alpi finito in mano ai Savoia.

Pierre-Josepf, nato anch’egli a Usseaux, di fede valdese, educato fin da fanciullo in seno alla compagnia franca e successivamente a Grenoble, dove ricevette un alto grado di istruzione. Ebbe una brillante carriera come cartografo e stratega della guerra in montagna. Pierre-Joseph era cresciuto ascoltando e vivendo da vicino le avventure del padre e dei suoi uomini. Non dimenticò mai le parole del padre udite da bambino a seguito della presa del Forte di Fenestrelle da parte dei piemontesi:
“un re straniero ha preso la nostra terra, il nostro re sta per venderla, ricorda che una patria libera da sovrani può contare solo sull’amore dei suoi figli per non essere depredata.”

Quando agli albori della guerra di successione austriaca irruppe in quello stato di calma apparente, Pierre-Joseph ebbe un ruolo di punta nella pianificazione della campagna alpina contro i Savoia. Grazie alla perfetta conoscenza del suo territorio egli tracciò con mano decisa un itinerario ardito, un colpo di mano attraverso le alture del Gran Serin. Era necessario evitare la fortezza di Exilles nella valle della Dora e il neo nato forte sabaudo a fenestrelle per colpire al cuore le forze piemontesi e riaprire un passaggio verso la pianura del Po. Ma era più di un piano strategico: era una marcia per la restituzione della propria terra, l’ultimo tentativo disperato di redimere il proprio paese.



Pierre-Joseph decise di andare personalmente a perlustrare quei pendii per avere una chiara visione sulla possibilità del suo piano.

Quando fu il momento di nominare le gli uomini per la missione di ricognizione, con sua grande sorpresa notò che i volontari che si presentarono non erano semplici truppe regolari. Erano titti vecchie conoscenze, alcuni provenienti da Usseaux con cui da bambino aveva giocato. Vi erano i figli dei soldati che componevano la vecchia compagnia franca di Pragelato, con immensa commozione trovò anche qualche anziano veterano in pensione che aveva servito sotto il comando di suo padre Daniel, altri erano ex cittadini dell’Escarton esiliati a Briançon. Portavano ancora, cucito nella mente, il ricordo delle loro case, delle leggi comunitarie, delle assemblee nei borghi di alta quota.

Il giorno della battaglia non era lontano e, così una mattina partendo da Grand Puy, anche i soldati dell’ex compagnia iniziarono la marcia tra i boschi e le cime severe. Il rullo dei tamburi rompeva il silenzio. Bourcet camminava in testa, con le mappe al petto e il canocchiale di suo padre sempre nella mano destra.

Iniziarono le manovre di rilevamento del terreno e subito Pierre-Joseph si rese conto che con quelle forti pendenze l’artiglieria non sarebbe riuscita a risalire gli erti pendii.

Come aveva ben studiato capii che la vittoria nella guerra di montagna sta nella strategia di utilizzare la posizione occupata a proprio favore.

Realizzò l’impossibilità di poter avanzare su quelle alture se il nemico si fosse appostato in alto.

Decise che gli elementi raccolti fossero sufficienti e ordinò agli uomini di rientrare passando per un sentiero non ancora esplorato.

Fu li che avvenne il disastro.

Quel terreno era stato riempito di mine e quando la truppa attraversò il pianoro si innescò il fatale meccanismo.

L’esplosione fu devastante. I corpi della compagnia si dispersero tra le rocce. I tamburi si spezzarono. Pierre-Joseph fu l’unico sopravvissuto come per miracolo.

Strisciò sull’erba, in silenzio. Aveva perso i suoi uomini, ma soprattutto la speranza di redimere la terra dei suoi avi poiché aveva realizzato amaramente che non sarebbe potuta ne dovuta esserci mai una battaglia lassù.

Il prezzo di questa consapevolezza era stato pagato caro con la perdita dei suoi compagni.

Il dolore fu insopportabile.

Bourcet tornò nel Delfinato, e incontrate le più alte cariche dell’arma, compreso il generale Belle-Isle fece il suo rapporto.

Consigliò ardentemente di abbandonare quella strategia spiegandone le ragioni ma oramai il dado era tratto.

L’ambizione aveva reso avidi quegli uomini che non erano animati tanto da un sentimento di redenzione della propria terra quanto di fama, potere e gloria.

Uomini distanti da quelle terre, culturalmente e sentimentalmente e che sicuramente non avevano una chiara lettura del territorio montano.

Arrivò così quel fatidico 19 luglio del 1747, e la tragica storia della battaglia dell’Assietta si compì esattamente come previsto dal grande stratega-cartografo.

Fu una carneficina per l’armata francese e per le valli cedute fu il canto del cigno.

Ogni speranza di essere liberate svanì lassù.

Solo il silenzio nel vallone che chiamano “dei morti”. Solo il silenzio, che tuttavia, dalla scomparsa degli uomini della compagnia franca veniva interrotto ogni notte da rulli di tamburo che echeggiavano incessantemente lungo la valle.

Nelle notti d’estate si mescolavano ai campanacci delle mucche in alpeggio e il loro rumore sordo penetrava nelle stalle durante le veglie invernali facendo temere i montanari che la guerra non fosse mai finita e entrando nei sogni dei fanciulli svegliandoli nel cuore della notte.

I compagni del Bourcet lo cercavano. Lo aspettavano per dar ancora battaglia e riprendersi la terra perduta. Quegli uomini non potevano darsi pace, che dopo tante glorie assieme al capitano Daniel-André Bourcet e successivamente seguendo le orme del figlio Pierre-Joseph non fossero riusciti a difendere la loro patria, la loro gente dalle conquiste di un esercito straniero.

Molti anni dopo, ormai vecchio, Pierre-Joseph morì in Francia ma alcuni giurarono di averlo incontrato una notte con mappe alla mano per le vie di Usseaux e dopo essersi fermato un momento davanti alla sua vecchia casa di famiglia, davanti al forno comunitario, con passo lento e solenne, lo videro incamminarsi lungo la strada che sale al Gran Serin, portando con sé solo una mappa, un tamburo logoro e uno stendardo consumato. Quello stesso stendardo che riportava il blasone del Delfinato con il motto cucito sopra” Vive, Vive le Capitaine Pierre Bourcet” donato da Luigi III di Francia a suo nonno per le glorie passate.

I montanari sussurravano: “È tornato a cercare la compagnia franca dell’Escarton di Pragelato”.

Quella notte, una valanga scivolò dalla montagna come un sudario, si levò un tonfo sordo che fu quasi come se i monti si confidassero tra loro qualche antico mistero.

Da allora il rullio di tamburi tacque per sempre.

La marcia era finita.

Gli Escartons erano ancora perduti e smembrati ma i suoi baluardi, riuniti, avevano finalmente trovato la loro pace.

occitan

Dintz los ans quaranta dal 1700 las Alps èron acablaas dessós lo pes de la guèrra e de l’Istòira. Sus las auturas dal Grand Serin e entre las valeás dal Cluson e de la Dòira, un escabòt d’òmes s’aprestava a un combat pas ren que per un rei, mès per qualquaren de mai veire: sa patriá perduá.

Ilhs èron los òmes dals velhs Escartons, de veterans e de fièrs montanhards.

Un viatge ciutadins dal Dalfinat francés, naissuts dintz de libres vielatges de l’auta valeá e creissuts dessós la protecion de la “Granda Charta de las libertats Briançonesas”, aquí ilhs avián gostat la libertat d’aquèlas vèlhas comunautats alpenchas faitas d’autonomiás, en fauda a la corona francesa.

Totun dintz lo 1713, abó los Tractats de Utrecht, la politica a fait çò que la guèrra èra pas eitaa capabla de far: al donava las valadas de Prajalats, d’Ols e de Chastèl-Dalfin al Ducat de Savòia, contra una patz, que malurosament, ilh seriá duraa pas gaire.

Ilh es eitaa una frauda silenciosa, eicrita ‘bo l’encra sus los papièrs dals politics.

Los òmes d’aquèlas valeás, de randon, ilhs se sion retrobats eiclaus d’un autre Eitat.

Las vèlhas autonomiás desparessián, e ‘bo èlas sas libertats particulièras. qualques’uns an aceptat, d’autres resistavo e d’autres encara ilhs movavon alhurs.

Al mèi d’èlos, la nen i aviá qui sobravon fidèus al capitani Daniel-André Borcet, cap de la companiá francha de l’Escarton de Prajalats, compausaa quasi meiquè d’òmes d’aquèla pechòta patriá alpencha. D’òmes que, mai que de saudats, ilhs èron de montanhards armats d’amor per sa meima tèrra.

Quand, la tragica division de las valadas dalfinenchas ilh a agut eitaa liuraa, tanben la companiá s’èra eicarçaa après d’un grand deifialat al Champ de Mars, drant de la citadèla de Briançon, entre sovenirs e eigremas e d’eimocion.

L’es puèi passat d’annadas mès la traison de la diplomaciá internacionala l’es qualquaren que aquèlas comunautats que per de siècles las avián sabut se gardar soletas al bèl mèi dals brics, las an jamai pogut zo perdonar.

L’es eitat com’eiquen qu’après la mort dal ben aimat capitani Daniel-André, l’es puèi eitat lo moment de son filh, Pèire-Josep Borcet, a pantaisar de la liberacion d’aquel caire de las Alps sobrat dintz las mans dals Savòias.

Pèire-Josep, naissut el tanben a Ussiau, de fe valdesa, educat da puèi son enfança ‘bo la companiá francha e puèi, apres a Grenòble, dont al a agut chança de recebre un aut nivèl d’istrucion.

Al a fait una carrièra bilhanta coma cartografe e stratega de guèrra en montanha. Al aviá grandit en eicotant e vivent da pè las aventuras de son paire e de sos òmes.

Al a jamai pogut exobliar las paraulas que son paire que li aviá dit quand el èra encara mainaa tot de suèita après de la presa dal fòrt de las Fenestrèlas per los piemontés:
“un rei eitrangièr a pres nostra tèrra, nostre rei vai la vendre, sovena-tè qu’una patriá libra e sobeirana ilh pòt confiar ren que sul’amor de sos filhs per pas èsser sacatjaa.”

Quand l’alba de la guèrra de succession austriana ilh a caçat aquel eitat de chauma efimera, Pèire-Josep al a puèi agut un ròtle central dintz la planificacion de la campanha alpencha contra los Savòias.

Graça a sa perfèita conoisseça dal territòri el anava en marcant abó man segura un itinerari ardit, un còlbe de man al mèi dals serres dal Grand Serin.

L’èra necessari evitar lo fòrt d’Exilhas dintz la valada de la Dòira e lo novèl naissut fòrt sabaud a las Fenestrèlas per poguer anar prèner lo cuer dal Piemont e ubrir un passaor vèrs la plana dal Pò.

L’èra mai qu’un plan estrategic: l’èra una marcha per reprèner sa pròpra tèrra, lo darrièr tentatiu desesperat per rèimer son país.

Pèire-Josep s’èra decidat de li anar personalament a patrolhar aquèlas ribas per aguer una clara vision de las possibilitats de son estrategiá.

Quand lo moment de nomar los òmes per la mission de patrolhatge, al èra arribat abó grand meravelha al s’avisava que los volontaris qu’anavon en se presentant ilhs èron pas de tropas regulièras.

Ilhs èron tòtas de vèlhas conoissença, certenes ilhs venán eigalament d’Ussiau e al s’èra amusat abó èlos quand al èra mainaa. La lh’aviá los mòcis dals saudats qu’ilhs avián compausat la vèlha companiá francha dals Prajalats, al s’èra meime eimogut quand al veiá qu’eiquí anavon en se presentant tanben de velhes veterans en pension qu’avián servit dessós lo comand de son paire Daniel.

D’autres èron de velhes ciutadins de l’’Escarton exilhats a Briançon.

Ilhs gardavon encara, eichalpat dintz l’esperit, lo sovenir de sos casèis, de las leis comunautàrias, de las assemblaas dintz las autas borjaas.

Lo jorn de la batalha al èra pas luenh e, com’eiquen un matin en movent dal Puei, los saudats de la vèlha companiá reviscolaa, ilhs se sion betats en marcha al mèi de bòscs e pèiras. Lo tambornear caçava lo silenci. Borcet chaminava a la tèsta, totstemps abó sas mapas dintz la sachièra e lo lonja-vista de son paire a la man drèita.

Las èron començaas las òbra de relèu dal terren e Pèire-Josep de suèita al s’èra ja avisat las riba las èron tròp rautas e l’artilheriá seriá pas arribaa èsser charriaa per aquèlas poaas.

Coma al aviá ben eitudiat al arribava comprèner que la victòira dintz la guèrra de montanha l’es tòta dintz l’estrategiá de coma se servir de la posicion occupaa.

Al compreniá l’impossibilitat de poguer avançar sus quèlos serres si l’enemic aguèsse gaanhat la posicion eiquí-aut.

Al aviá pro d’elements e renjaas sas cartas e sos aises, en s’adreçant a la tropa, al li a ordenat de se nen tornar passant per un viòl pas encara relevat.

L’es eiquí que lo desastre se seriá complit.

Aquel terren èra eitat borrat de minas, chasca garavòla eicondiá un explosiu e quand l’escabòt es passat dessús aquèl clòt, l’enginh enfernal s’es activat.

L’eicraban es eitat enòrme. Los còrps de la companiá ilhs èron eiboleats als mèi de las ròchas. Los tamborns tuts eicrasats. Pèire-Josep èra lo solet en vita coma per miracle.

Al avançava sus sos cobdes, abó ‘l ventre al sòl, per intz de l’èrba, chut.

Al aviá perdut sos òmes, mès sobretot l’esperança de rèimer la tèrra dals rèires per amor qu’al aviá compres amarament qu’adurre l’armada eiquí-aut la seriá jamai pogut ni degut li arribar.

Lo pretz d’aicèsta deicubèrta l’èra eitat paiat char abó la perta de sos companhons.

La dolor èra insoportabla.

Borcet, ben si nafrat, al èra arribat se nen tornar dintz lo Dalfinat, e una vetz rencontraa las mai autas personalitats de l’armada, d’onte li aviá lo general Belle-Isle tanben, al a puèi fait son rapòrt.

Al a cherchats en tuts los biais de conselhar l’abandon d’aquèl’estrategiá en explicant sas rasons mès totun la machina de la guèrra èra moguá.

L’ambicion aviá avueglat aquèlos òmes, qu’ilhs èron pas gaire animats per lo nòble èime de redempcion de sa patriá mès de l’enveá d’amolonar richeça e glòira.

Òmes luenhs d’aquèlas tèrras, culturalament e eimocionalament e que segurament ilhs avián pas una clara leitura dal territòri montanhard.

L’i arribava lo triste jorn dal 19 julhet dal 1747, e la tragica istòira de la batalha de l’Assièta ilh anava en se realizant exactament coma previst per lo grand estratega-cartografe.

L’istòira nos cóntia que per l’armada francesa l’es eitat un chaple e per las valadas cedaas lo chant dal cigne.

Tòta esperança d’èsser deiliuraas ilh es mòrta eiquí-aut.

Ren que lo silenci de la comba, qu’encuèi ditzon “dals morts”.

Ren que lo silenci, que totun, da la despareicion dals òmes de la companiá francha al veniá caçat a la bass’ora per l’eicrabantear dals tamborns qui retonavon arrès tot lo long de la valeá.

Dintz las nuèits estivalas ilhs se meiclavon al son dals rodons de las vachas sobraas a l’alp e son bruit intrava dintz als tèits tot long de las velhaas uvernenchas en fatzent crènher als montanhards que la guèrra ilh fosse pas enca feniá e al intrava tanben dintz los suèimes dals mainaats en los revelhant a serrat nuèit.

Los companhons dal Borcet lo cherchavon. Ilhs l’atendián per possar encara batalha e reprèner sa tèrra perduá. Quèlos òmes poián pas s’apatzear, per amor que après tantas aventuras ensemb al capitani e après en seguent las peaas de son filh Pèire-Josep, ilhs fosson pas arribats de rèimer sa patriá, sa gent de las conquèsta d’aquèla armada eitrangièra.

Ben d’ans après, velh, Pèire-Josep muriá en França, cubert de merits, mès certenes an jurat de l’aguer vist una nuèit, mapas a la man, per las charrièras d’Ussiau e après se plantar un moment arrent a sa vèlha maison de familha, dapè lo forn dal vielatge, e après reprèner son chamin abó pas suau, s’enchaminar vèrs la viá qui mena al grand Serin, en gardent abó el ren qu’una mapa, un tamborn frust e un velh drapèl.

Aquèl meime drapèl qu’al aviá cosut dessús l’armorial dal Dalfinat e l’eicrita “Viva, Viva lo Capitani Pèire Borcet” donat de Loís III de França a son sènher per las glòiras passaas.

Los montanhards ditzián planot: “Al es tornat quèrre la companiá francha de l’Escarton de Prajalats”.

Aquèla nuèit, una chalancha se seriá puèi deitachaa de la montanha coma un blanc linçòl, e lo sombre tron en se levent l’èra coma si los monts se confiesson entr’èlos qualque velh misteri.

Da puèi lo tambornear s’sèra quesat per totstemps.

La marcha èra feniá.

Los Escartons èron encara perduts e eiquarcelats mès sos valhents, assemblats, ilhs avián en fin finala trobat sa patz.