"La Beidana", sottotitolata "cultura e storia nelle valli valdesi", iniziò ad essere pubblicata nel 1985.

La rivista è edita dalla Società di Studi Valdesi e si propone di "promuovere studi e ricerche sulla storia e sulla diffusione del movimento e delle Chiese valdesi, sui movimenti di riforma religiosa in Italia e sull'ambiente delle Valli Valdesi" (1)

"La Beidana " nasceva per colmare un vuoto nell'ambito di questi studi: "Mancava uno spazio e un mezzo che (...) permettesse di presentare ricerche in preparazione o finite, di tipo storico, geografico, linguistico... riguardanti le nostre zone" (2)

Il nome rimanda ad un antico strumento agricolo che serviva a disboscare il sottobosco, un attrezzo che tra il XVI e il XVII secolo fu usato dai valdesi delle valli Pellice, Germanasca e Chisone come arma di difesa durante i sanguinosi scontri con i Savoia, avendo questi ultimi vietato loro il porto d'armi (3). La beidana rappresenta dunque in queste valli molto di più che un semplice strumento agricolo: essa è il simbolo "dello scontro fra una dinastia regnante e un popolo di contadini protestanti del Piemonte", "di un popolo contadino che si ribella e si batte per la sua libertà"; nel contesto valdese, le beidane acquistano quindi un particolare significato "soprattutto in quanto sono diventate strumento di guerra e come tali hanno giocato un ruolo, sia pur secondario, nella battaglia per la fede riformata (...), per il contributo che hanno dato a salvaguardare quella identità che è caratteristica della comunità valdese nel contesto del mondo riformato" (4).

Il riferimento alla cultura agricola ed il successivo passaggio ad arma diventa nella reinterpretazione della redazione il simbolo di una ricerca storiografica in cui "la vita quotidiana è parte della storia" e "il quotidiano si fa tessuto storico":

Questo significa che la storia come campo d'indagine non si può restringere allo studio dei grandi avvenimenti, delle battaglie, delle conquiste, ma si allarga sino a comprendere tutto ciò che nel passato ha fatto parte dell'esperienza e della vita degli uomini.

(...) Nostra intenzione è di attuare un programma di ricerche di questo tipo nell'area in cui siamo da secoli inseriti, le valli valdesi, o quelle in cui la presenza evangelica ha già i caratteri di una componente della vita locale. Applicare, dunque, più di quanto si sia fatto sin qui, la ricerca storica all'ambito del quotidiano (5).

Questa visione costituiva già il programma originario della Società di Studi Valdesi, con il quale "La beidana" si pose in continuità (6):

Non solo documenti del passato e le grandi pagine della nostra storia saranno oggetto del nostro studio, dicevano cento anni fa i fondatori, ma la botanica e la zoologia, i dialetti e l'irrigazione, le poesie e l'artigianato, la salute e l'architettura.

Tuttavia, se è vero che il programma riprendeva quello originario degli studi valdesi, la rivista rappresentava comunque una novità, soprattutto per quanto riguarda il metodo di ricerca:

permettere a tutti di dare dignità storica alla propria vita nel valorizzare le sue esperienze, i ricordi famigliari, le indagini compiute sia pur modeste, gli oggetti raccolti. Una singola beidana, presa a sé, non ha alcun valore ed è priva di significato, lo acquista però quando è inserita nella vicenda delle guerre di religione. (...)

Ogni frammento di vita e di esperienza non costituisce che un tassello nella vasta raffigurazione della storia, ma ogni tassello - per quanto piccolo - è essenziale per la composizione del quadro generale (...)

Le beidane sono oggetti di storia ma hanno fatto la storia. Il problema per noi è questo: in che misura la vita quotidiana è stata, nelle nostre vallate, in relazione con la vicenda religiosa e culturale che le ha caratterizzate? Che relazione vi è stata fra i livelli di vita, gli ambienti, le realtà; fra la teologia dei predicatori e l'immaginazione popolare, le prediche e la morale quotidiana, la fede riformata e la visione della vita, la sensibilità, la mentalità del popolo. La beidana è stata usata ovunque, solo nell'area valdese è assunta a dignità di strumento perché solo qui ci fu una guerra per la libertà di coscienza (per usare un termine forse improprio per il tempo) in cui essa si inserì giocando un ruolo attivo (7).

Si tenga inoltre presente che il termine "valdese" intende indicare, come spiega l'editoriale del N.50, "la chiave di lettura del territorio e non l'appartenenza confessionale (ecclesiastica)":

Quei "contadini protestanti del Piemonte" dei quali l'attrezzo-arma scelto a simbolo della rivista rappresenta lo scontro con il potere sabaudo sono senza dubbio i valdesi. Tuttavia, occuparsi soprattutto di storia valdese non è stata fin dall'inizio una dichiarazione di principio esaustiva o una deformazione ottica da parte dei fondatori, ma piuttosto la coscienza che per parlare di quest'area, intrecciando la geografia e la storia, era impossibile non trovarvi una specificità nell'impronta della presenza valdese e della sua particolare vicenda storica. (...) Certamente la rivista nasce con un ambito di reclutamento di collaboratori e lettori soprattutto valdese (nonostante la caratterizzazione laica e non ecclesiastica della Società di Studi Valdesi). Tuttavia, fare una rivista che individui nel "fattore valdese" la specificità storica di questo territorio non significa proporre una lettura valdese della storia. Né significa per questo produrre una rivista religiosa o di storia religiosa. (8)

"La beidana" ospita interessanti ricerche sulla storia, la lingua e la cultura delle valli valdesi, scritte per lo più in lingua italiana.

Vi si trovano inoltre molti testi in lingua francese (9) e, rari, in lingua occitana; la presenza preponderante della prima è dovuta al fatto che essa fu lingua di culto e di cultura fino all'inizio del Novecento, mentre l'uso dell'occitano era circoscritto all'ambito del quotidiano.

Daniele Tron spiega che la popolazione valdese era in realtà quadrilingue:

la popolazione della val Pellice, almeno a partire dagli inizi del secolo XVI (ma forse anche da molto prima) fu trilingue o anche quadrilingue, intendendo e parlando con maggior o minor correttezza l'italiano, il francese , il patouà e, in molti casi, il dialetto piemontese. Tutto ciò, ovviamente, con forti differenziazioni al suo interno, a seconda della collocazione sociale e territoriale degli abitanti, con un impiego esclusivamente orale per le parlate occitaniche (nell'uso quotidiano) e piemontese (nei contatti con la vicina pianura), e un utilizzo misto di oralità e scrittura per le lingue di erudizione francese e italiana. Nell'uso liturgico, a seconda dei luoghi e dei tempi, prevalse or l'una or l'altra, come stanno ad attestare gli atti dei sinodi e svariata altra documentazione ecclesiastica. Certamente, a partire dalla fase iniziata con il rientro dei valdesi dall'esilio in terra Svizzera (1687-1690) il francese si affermò per due secoli come lingua nettamente predominante, usata dalla maggioranza della popolazione, specie nei comuni della parte più alta della valle (10).

Secondo Tatiana Pivaro, l'affermazione del francese come lingua di cultura è da datarsi tra il 1710 e il 1848, periodo in cui i valdesi furono relegati nel "ghetto" delle valli piemontesi:

L'intenzione del potere sabaudo era infatti quella di emarginare la componente valdese, escludendola da un contesto di carattere nazionale; il risultato fu però opposto a quello desiderato, poiché la segregazione ebbe come conseguenza primaria il rafforzamento di una vera e propria identità valdese. Impedito l'accesso a Torino a causa delle leggi restrittive cui erano soggetti, i valdesi si recarono a Ginevra, Amsterdam, Londra, dove non incontrarono difficoltà nello studio e nel lavoro poiché la lingua europea praticata e diffusa nel XVIII secolo era appunto il francese (11).

La lingua italiana iniziò ad imporsi a partire dalla fine del XIX secolo e divenne predominante nel secolo successivo, relegando sempre più ai margini sia il francese che l'occitano; le cause furono molteplici: l'obbligatorietà dell'insegnamento dell'italiano a scuola, la pressione della stampa periodica e dei mezzi di comunicazione di massa, l'ostilità del fascismo a qualsiasi parlata straniera o minoritaria (12), l'emigrazione dei lavoratori verso la pianura piemontese e il conseguente spopolamento delle valli.

Il movimento valdese delle valli Pellice, Germanasca e Chisone è rimasto ai margini della storia dell'occitanismo e del provenzalismo, ad eccezione dell'attività di alcuni personaggi isolati - come Gustavo Malan, Osvaldo Coïsson, Teofilo Pons e Arturo Genre -, e della presenza de Lou Cantoun dî Patouà su "Il Pellice" nei primi anni Sessanta (13).

Questo fenomeno si può forse spiegare, come fa Enrico Lantelme, con la storia del movimento religioso valdese la quale avrebbe contribuito a creare un "nucleo culturalmente omogeneo" (14), facendo sì che la popolazione locale riconoscesse come elementi identitari la religione ed il francese (lingua di culto e lingua scritta, oltre che orale) piuttosto che il patouà (lingua della quotidianità e lingua esclusivamente orale).

A partire dal XVIII secolo, ovvero con la fine della persecuzione armata contro i valdesi nelle valli pinerolesi, si sarebbe così creato quello che la storiografia valdese definisce "un popolo-chiesa",

un piccolo ghetto sulle montagne piemontesi, che vive segregato ed autosufficiente ai margini della vita sociale, come i ghetti degli ebrei sparsi nelle città europee (...). Se per ricostruire occorre forza, per sopravvivere occorrono ideali ed ancora una volta sarà la fede riformata a fornire le idee, i comportamenti, quello che occorre al ghetto per sopravvivere (...). In questo contesto i pastori non provvedono solo ai servizi religiosi, ma costituiscono la struttura portante della società valdese: sono consiglieri, amministratori, ispiratori del costume (...). In un gruppo sociale che sta giocando la sua battaglia a livello di cultura, come quello valdese, è evidente che l'intellighenzia occupi un posto di primaria importanza. (15)

Negli ultimi anni si assiste tuttavia ad un progressivo interessamento del mondo valdese all'occitano inteso come lingua minoritaria (definito nelle valli Chisone, Germanasca e Pellice nella maggior parte dei casi patouà) in quanto elemento caratterizzante della storia collettiva di queste valli.

"La Beidana" rappresenta un passo importante del mondo valdese in questa direzione: fu proprio il nascente gruppo di ricerca storica che faceva capo alla Società di Studi Valdesi sotto la presidenza del pastore Giorgio Tourn – ovvero il gruppo che poi fondò la rivista – ad incontrare gli occitanisti negli anni Settanta e ad affrontare il dibattito sulle lingue di minoranza (16).

La rivista affrontò apertamente la "questione occitana" sul N.29, nel tentativo, spiegava la redazione, "di aprire una nuova pista, che speriamo risulti degna di essere proseguita nei prossimi numeri":

Mentre normalmente "La Beidana" si occupa in primo luogo di ricerca storica, in questo caso abbiamo voulto riflettere intorno ad una parola che ha sì una radice storica, ma che pare di largo uso (e forse talvolta di abuso) soprattutto nell'attualità: Occitania. Per compiere questa riflessione abbiamo pensato di mettere a confronto opinioni e persone diverse così che il quadro complessivo venga formato da tessere difformi, come in un mosaico. Anche da questa novità di contenuto e metodo qui presentata si potrà sviluppare la proposta di una rivista che non disdegni la trattazione di temi culturali all'ordine del giorno, naturalmente con l'ottica data dall'impianto storico e dall'uscita quadrimestrale, che permette di evitare i dati effimeri dell'attualità. Una rivista più militante, insomma (17).

Dopo una presentazione generale, seguivano le opinioni di alcuni occitanisti e di alcune persone appartenenti al mondo valdese; essi erano stati chiamati in causa mediante una lettera nella quale erano state poste loro quattro domande:

1)Cos'è l'Occitania? É un'area in cui si parla una lingua comune e basta? È un'area che possiede un'unità storica, linguistica, culturale e dovrebbe organizzarsi coma Nazione o come regione europea autonoma in un quadro di Stati Uniti d'Europa? È un'invenzione recente, inutile o addirittura dannosa? È un'idea minoritaria, ignota alla maggioranza di coloro che dovrebbero farne parte? È un mito romantico?

2)A cosa è dovuto il suo successo attuale? È una semplice moda? É una mania di identità come altre che si diffondono dopo la "caduta delle ideologie"? È il frutto della sensibilizzazione da parte di una élite che raccoglie i risultati di anni di lavoro?

3)è positivo o negativo? È una positiva ricerca di radici? È un bel divertimento, positivo in sé? È un pericolo che può portare a idee di purezza etnica?

4)Come si collocano le valli valdesi? Sono una parte integrante dell'Occitania? Sono una cosa diversa? Da un punto di vista valdese ha senso parlare di queste cose? La croce occitana e la croce ugonotta possono convivere? L'una deve soppiantare l'altra?

Dalle domande sopra riportate, si evince che verso la fine degli anni Novanta il mondo valdese iniziò un percorso di rinegoziazione della propria identità linguistico-culturale ripensando alla propria collocazione in rapporto all'Occitania e agli altri movimenti occitanisti/provenzalisti.

Una parte degli interpellati si schierò a favore dell'"occitanità" delle valli valdesi; tra questi Diego Anghilante, redattore di "Ousitanio Vivo", secondo il quale " soprattutto la valle Germanasca dimostra una diffusa coscienza linguistica e una disponibilità a far proprio il sentimento occitano" (18). Anche Bruna Peyronel, assessore alla cultura della Comunità Montana Val Pellice, sottolinea che, tra le valli valdesi, la Germanasca fu l'unica ad accogliere con entusiasmo il "risveglio" occitanista degli anni Settanta (19). Quest'interesse era d'altronde stato dimostrato sulle pagine de "La Valaddo" – rivista delle valli Chisone , Germanasca e alta Dora –, la quale aveva pubblicato nel corso degli anni numerosi articoli di autori valdesi originari della valle Germanasca (si vedano ad esempio i Salmi tradotti in patouà da Arturo Genre e le poesie di Emile Pons (20)).

Tuttavia, come osserva Riccardo Gay, ricercatore di musiche e danze tradizionali di Torre Pellice, "differenze sensibili hanno contraddistinto sia le due valli principali, Pellice e Germanasca, sia, al loro interno, il fondo valle dalle valli laterali o dalle zone più alte". Egli prosegue spiegando che

il patois (occitano) era la lingua madre dei ceti meno abbienti e parlato soprattutto nelle zone più alte (il francese era conosciuto, ma considerato lingua colta), mentre il francese era considerato lingua madre dai borghesi e diffuso maggiormente a S.Giovanni, Torre, Pomaretto e S.Germano. Ciò che è certo è che la Bibbia di Olivetano fu tradotta in francese e non in occitano, i salmi furono sempre cantati in francese, salvo nelle ricorrenti occasioni in cui l'italiano venne introdotto nella lingua della Chiesa. I valdesi si sentono occitani? Le donne che portano la croce ugonotta si rendono conto che essa è si può confondere con la croce che campeggia nelle bandiere occitane? Sarebbe interessante fare un sondaggio al riguardo. Personalmente sono scettico sulla diffusione e su una meditata consapevolezza di concetti come "Occitania", autonomia occitana, cultura occitana.(21).

Simile a quella di Gay è l'opinione di Aldo Charbonnier, sindaco di Bobbio Pellice, secondo il quale "se ci riferiamo al patois, la parte più montana fa riferimento sicuramente, per il resto sarebbe bene un dibattito specifico su cosa sono le valli valdesi" (22).

Per Alexis Berton, redattore de "La Valaddo", il territorio delle valli valdesi fa parte di quell'area in cui si parlava - e si parla ancora - il provenzale alpino; egli crede inoltre che "la storia valdese leghi culturalmente più alla realtà d'oltralpe che alle realtà piemontesi della pianura", e sottolinea che "la lingua francese è un altro forte legame" (23).

Osvaldo Coïsson, uno dei pochi personaggi appartenenti al mondo valdese che si interessò attivamente all'occitanismo, ritorna con la mente alla Carta di Chivasso del 1943, un precedente importante per i movimenti occitanisti in quanto per la prima volta fu firmato un manifesto nel quale si rivendicava un'autonomia politica, culturale e amministrativa per tutte le minoranze linguistiche dell'arco alpino:

Quando il 19 dicembre 1943, in piena occupazione nazifascista, ci siamo riuniti a Chivasso, due valdostani e quattro valdesi, per redigere quello che è ora conosciuto come il "Manifesto di Chivasso", non pensavamo all'Occitania in particolare, ma all'autonomia di tutte le minoranze linguistiche dell'arco alpino, nel quadro di una federazione europea. Ma proprio per queste rivendicazioni autonomiste ci siamo riconosciuti, noi rappresentanti valdesi, appartenenti alla minoranza occitana, che sul nostro versante orientale delle Alpi era di una dozzina di vallate lambite al loro sbocco dalla pianura piemontese, ma che sull'altro versante alpino si estendeva a cinque regioni della Francia meridionale e, oltre ai Pirenei, anche in una vallata spagnola. È certo che ci sia in questa vasta "Nazione Proibita", per usare una definizione dello scrittore Sergio Salvi, una lingua comune (...). Le valli valdesi sono parte integrante dell'Occitania, basta tener conto della parlata locale, sicuramente occitana e della tradizione che vuole i valdesi giunti qui da oltralpe. Anche se, a causa della persecuzione religiosa, sono stati confinati in questo "ghetto alpino", il contatto con le vallate limitrofe, di qua e di là delle Alpi, c'è sempre stato, nel passato (24).

Per Gianpiero Boschero, redattore di "Novel Temp", le valli valdesi "sono una parte integrante d'Occitania, caratterizzata da una religione diversa da quella romano-cattolica e da tratti culturali e linguistici propri (come l'uso del francese)"; egli si fa tuttavia da parte, sostenendo che "la risposta deve essere data principalmente dagli abitanti delle valli valdesi" (25).

Per Mauro Durando, musicista di Pinerolo, "le valli valdesi sono parte integrante dell'Occitania, con delle proprie specificità storiche e culturali" (26).

Luigi Sapone, musicista di Luserna San Giovanni, e Sergio Degioanni, autore nel 1986 di una tesi di laurea intitolata Nascita e affermazione di un movimento autonomista nelle vallate di lingua occitanica del Piemonte, collegano il fattore religioso e quello linguistico alla luce delle crociate e delle persecuzioni che hanno avuto luogo in terra occitana, affermando la convergenza tra valdesi e occitani (27).

Anche secondo Roberta Peyrot, animatrice nei corsi di danze popolari di Luserna San Giovanni, occitanità e valdismo non entrano in conflitto ma possono coesistere:

Non esiste un punto di vista valdese per parlare dell'Occitania. Essere valdese riguarda la fede e anche la storia di un popolo, essere occitano significa un'appartenenza linguistica e cultural-montanara: ci possono essere tradizioni e caratteristiche occitane che sono anche dei valdesi, altre no (...). Quindi una/un montanara/o può essere valdese, italiana/o e occitana/o oppure solo italiana/o e occitana/o. Del resto l'area valdese è sempre stata caratterizzata dalle quattro lingue: francese, piemontese, patuà (occitano) e italiano (28).

Per Marcella Gay, insegnante di Pinerolo, il fattore religioso e quello linguistico sono entrambi significativi ma su due piani diversi:

le valli valdesi fan parte dell'Occitania, ma sono anche un'altra cosa, cioè il ghetto storico di una comunità religiosa. Quindi sono parte integrante, ma hanno anche diversità, come l'ampiezza dei contatti internazionali, la positività del rapporto con la cultura francofona. Bisogna distinguere tra valdesi nel senso di appartenenti ad una comunità religiosa e nel senso di abitanti delle valli. Nel primo senso l'Occitania non conta, ha un vago interesse storico; nel secondo, è costitutiva della propria identità personale. Simbolo di questa distinzione sono le due croci: quella ugonotta è un riferimento di fede, richiama il "résisté" della Tour de Constance, la seconda ha solo un valore storico e culturale, perciò non sono in contrapposizione, ma su due piani profondamente diversi.(29).

Diversa è invece l'opinione di Bruna Peyrot, assessore alla cultura della Comunità Montana Val Pellice, secondo la quale l'Occitania appartiene sì ai valdesi, perché inscritta nella terra che i valdesi abitano da secoli, ma non può essere fondante di un'identità collettiva, in quanto nelle valli valdesi già esiste un'identità forte e sedimentata (30).

Polemica è invece la risposta della redazione di "Valados Usitanos", la quale traccia una ironica e breve storia di quelle che sono state le posizioni della comunità valdese nel corso degli ultimi decenni in risposta alle iniziative promosse dai vari movimenti occitanisti ("Mai, in vent'anni e più di percorsi di ricerca, che hanno spesso toccato anche località delle valli valdesi, c'era successo di avvertire aperture verso Occitania e occitanismo da parte di un frammento "ufficiale" della comunità valdese") (31).

Le posizioni sull'"occitanità" delle valli valdesi sono dunque diverse; la redazione de "La Beidana" si espresse al riguardo e successivamente iniziò a concedere sempre più spazio anche al patouà, componente importante del patrimonio culturale delle valli valdesi e in quanto tale da salvaguardare.

Già nell'editoriale del N.26 la redazione affermava che "la questione lingua/dialetto nei suoi vari impieghi" è oggetto di studio "per una lettura più critica e più ampia" della realtà storica e culturale valdese".

Venne infatti pubblicata su questo numero Una ricerca sulla situazione linguistica nelle valli Chisone e Germanasca, ovvero uno studio sulla situazione linguistica delle giovani generazioni valligiane messa a confronto con quella dei genitori e dei nonni rispetto alla lingua nazionale, alla lingua francese, al patouà, al piemontese.

Segue Chantoummo ën patouà, una raccolta di traduzioni di Salmi in patouà effettuate da Arturo Genre (alcune delle quali erano già state pubblicate su "La Valaddo" nel 1983, nel 1984 e nel 1989).

Il N.51 è interamente dedicato al tema "lingua e dialetto"; in esso sono stati pubblicati alcuni degli interventi tenuti in occasione del corso di formazione sulla lingua e sulla cultura occitana organizzato tra ottobre 2003 e gennaio 2004 dallo Sportello linguistico del Servizio delle Lingue occitana e francese della Comunità Montana Val Pellice.

Nel frattempo, nel 1999, è stata approvata la legge 482 ed il francese rientra tra le lingue minoritarie tutelate, insieme all'occitano; alcuni paesi delle valli valdesi si sono dichiarati occitani:

Il 15 dicembre 1999, è stata approvata la legge 482 Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche (...). In base all'art.3 della medesima legge, che sancisce il principio dell'autodeterminazione delle popolazioni e dei loro rappresentanti, in val Pellice, i comuni di Angrogna, Bobbio Pellice, Luserna San Giovanni, Rorà, Torre Pellice e Villar Pellice, hanno dichiarato la presenza di popolazioni parlanti il francese e l'occitano, Lusernetta di parlanti l'occitano.

In seguito alla pubblicazione del Regolamento attuativo della suddetta legge, la Comunità Montana ha presentato una richiesta di contributi per la realizzazione di un progetto articolato in tre punti volto a mettere in atto una serie di iniziative di promozione e di tutela delle lingue diffuse localmente ai sensi della legge. Tra le iniziative sinora promosse dalla Comunità Montana, ricordiamo le più importanti: il servizio di sportello linguistico, la festa delle lingue minoritarie a Villar Pellice e un corso di formazione organizzato in due cicli, il primo sulla lingua e sulla cultura occitana e il secondo sulla didattica in relazione alla diffusione della lingua occitana (32).

Seguono gli interventi di coloro che hanno presieduto ai vari incontri del corso di formazione: Cenni sulla storia della val Pellice di Daniele Tron; Il patouà, una lingua viva di Jean-Louis Sappé, recentemente autore di un dizionario del patouà di Angrogna (33); Occitano, provenzale: nominalismi? di Tullio Telmon, che esamina dal punto di vista linguistico i termini lingua, dialetto, patouà, provenzale e occitano; Come si scrive il patouà di Matteo Rivoira, un'analisi delle diverse grafie utilizzate nelle valli piemontesi per trascrivere l'occitano, e, del medesimo autore, La toponomastica in val Pellice; Le parole dell'agricoltura in val Pellice di Enzo Negrin; I canti tradizionali delle valli pinerolesi, che, come recita il sottotitolo, tratta dell'Uso del patouà occitano e del francese in relazione alle vicende storico-religiose delle valli Pellice, Germanasca e Chisone (per i testi delle canzoni in occitano si veda: La maire e la filho; La fënno louërdo; Gran Diou, ma maire plouro; E ma vaccho mallho; Me séou chata 'n marì; Li tréi soudà; Revei a-ti dounc); ed infine lo studio di Cesare Milaneschi Memoria storica e lingua occitana a Guardia Piemontese.

Nei numeri seguenti, ritroviamo Matteo Rivoira con un interessante studio sulle parole per indicare la neve nelle valli Chisone, Germanasca e Pellice e, nel medesimo numero, il saggio di Claudio Tron sulla neve, il quale riporta anche alcuni proverbi sull'argomento (34); ancora di Matteo Rivoira l'articolo sull'Insegnamento delle lingue minoritarie e rapporto con il territorio (35); nel N.66 I Lavori della donna nei modellini della "Collezione Ferrero", una tesi di Sara Tron e Tatiana Pivaro realizzata nell'ambito del Master Universitario in Lingua, cultura e società nella tutela delle minoranze linguistiche del Piemonte presso l'Università di Torino.

Lo spazio crescente dedicato da "La Beidana" alla questione del dialetto conferma l'impegno del mondo valdese per la salvaguardia dell'occitano.


NOTE.



(1)"La Beidana", N.1, 1985, p.3.

(2)Ibid.

(3)"La Beidana", N.2, 1986, p.3. Il N.46 della rivista è dedicato in parte alla storia di questo attrezzo/arma; per un approfondimento si vedano gli articoli: Marco Fratini, Dalle "guerre valdesi" ad internet. Storia e curiosità della beidana, p.2-8; Luca Pasquet, Come si fabbrica una beidana, p.9-10; William Jourdan, La beidana: attrezzo o arma?, p.11-12.

(4)"La Beidana", N.2, 1986, p.3

(5)Ibid.

(6)La rivista nasce come "supplemento al Bollettino della Società di Studi Valdesi"; successivamente, sarà edita dal Centro Culturale Valdese condividendone gli strumenti (biblioteche, archivio fotografico, centro di documentazione, etc.) e la partecipazione dei collaboratori.

(7)"La Beidana", N.2, 1986, p.3-4.

(8)"La Beidana", N.50, 2004, p.2-3.

(9)Nell'editoriale del N.4, la redazione ribadisce che "il francese, oggi elemento socialmente e culturalmente debole" è uno dei temi "sui quali ci preme continuare a riflettere e raccogliere dati", "La Beidana", N.4, 1896, p.3.

(10)Daniele Tron, Cenni sulla storia della val Pellice, in "La Beidana", N.51, 2004, p.23-24.

L'uso abituale del francese nelle valli valdesi risale ad un'epoca antica, la cui datazione è ancora incerta. Daniele Tron, nel medesimo articolo, spiega: "si è affermata nel passato, ed è stata accettata anche da alcuni storici valdesi, l'opinione che l'uso abituale della lingua francese nelle Valli – uso che era generale fino a metà Novecento – non risalga oltre il 1630. In quel periodo, essendo morti a causa della peste 12 dei 14 ministri di culto valdesi, essi furono sostituiti da pastori venuti dalla Francia e dalla Svizzera che avrebbero in tal modo importato la propria lingua. Una semplice riflessione già evidenzia quanto sia incongrua l'idea che otto persone – tale infatti era in numero dei pastori venuti dall'estero – sia pure dotate del prestigio derivante dalla qualità di conduttori spirituali, potessero far cambiare lingua ad una popolazione di circa 12.000 anime: sarebbe stato molto più semplice che gli otto pastori imparassero l'idioma del posto. Ma oltre a questa considerazione esistono numerose testimonianze sufficienti a relegare tale diffusa opinione nel novero delle leggende. Ci limiteremo a citare la più probante: i valdesi, riuniti a Chanforan (1532), nella storica assemblea in cui venne decisa l'adesione alla Riforma – e le cui deliberazioni, si noti, sono state redatte in italiano – stanziarono la somma di 500 scudi d'oro (divenuti poi 800) perché si stampasse una traduzione in francese della Sacra Scrittura, traduzione che fu compiuta da Olivetano e che vide la luce nel 1535 (...). è difficile pensare che una popolazione, modesta in numero e in possibilità economiche, sacrificasse una somma così forte allo scopo di farsi tradurre la Bibbia in una lingua praticamente sconosciuta".

(11)Tatiana Pivaro, Cattolici e Valdesi in Val Germanasca: opinioni linguistiche a confronto, Tesi di Laurea in Etnolinguistica, A.A.2003/2004, p.14-15.

(12)Daniele Tron, op.cit., p.23-24.

(13)Malan e Coïsson firmarono il documento noto come "Carta di Chivasso"; Malan lo ritroviamo tra i collaboratori della rivista "Lou Soulestrelh" e tra i fondatori dell'U.D.A.V.O.; Coïsson fu redattore di "Novel Temp", presidente dell'associazione culturale Soulestrelh e socio onorario della Società di Studi Valdesi. Arturo Genre fu collaboratore de "La Valaddo", del Centro Culturale Valdese e della Società di Studi Valdesi, studioso di dialettologia e fonetica, docente all'Università di Torino e direttore dell'Atlante Linguistico italiano. Collaborò con Teofilo Pons nella redazione del Dizionario del dialetto occitano della Val Germanasca, tradusse nella variante dialettale di Rodoretto La bouno Nouvello sëgount Marc e fu membro della Commissione linguistica che elaborò la grafia cosiddetta dell'"Escolo dóu Po" (per approfondimenti si rimanda al capitolo Le grafie). Per una recensione del dizionario di T.Pons si veda, su "La Valaddo", Il Dizionario valdese di Teofilo Pons).

Fu grazie alla proposta di Coïsson (N.37, 22/9/1961) che "Il Pellice" dedicò, a partire dal N.46, una sezione al patouà, intitolata Lou cantoun dî Patouà; l'iniziativa era coordinata da Teofilo Pons. "La rubrica da allora è continuata, no tutte le settimane ma con una certa frequenza, per una decina d'anni, sempre seguita dal prof.Pons, apparendo più raramente dopo la scomparsa del prof.A.Jalla per un minor interessamento della redazione che gli era succeduta, per cui si è esaurito gradatamente verso il 1973. Durante la vita di questa rubrica sono apparsi una buona quantità di saggi, generalmente brevi, sia in prosa che in poesia, nei vari patouà delle nostre valli, circa 140. (...) Oltre ai dialetti locali, la rubrica aveva pubblicato anche degli esempi delle varianti delle vicine Valli Occitane: Val Maira, Grana, Vermenagna, Val Queyras, Barcelonnette", O.Coïsson, Lou Cantoun dî Patouà, "Novel Temp", N.41, 1992, p.7.

(14)Enrico Lantelme, I Canti tradizionali delle valli pinerolesi in "La Beidana", N.51, 2004, p.60.

(15)G.Tourn, I valdesi, la singolare vicenda di un poplo-chiesa, Torino, Claudiana, 1977, p.151-153, 155, cit.in E.Lantelme, op.cit., p.60-61.

(16)Cfr.Bruna Peyrot, Identità in causa, "La Beidana", N.29, 1997, p.6. L'autrice, protagonista in prima persona del risveglio occitanista nella seconda metà degli anni Settanta, commenta: "Eravamo interessati alla difesa delle lingue di minoranza, ma a noi in più premeva il francese, che per loro invece era lingua egemone, da contrastare".

(17)"La Beidana", N.29, 1997, p.2.

(18)"La Beidana", N.29, 1997, p.27.

(19)Cfr.Bruna Peyrot, op.cit., p.7.

(20)I Salmi di Genre sono citati più avanti; le poesie di Emile Pons si trovano in "La Valaddo", N.6, 1970, p.15 (Notra bella mountagna, Souvënir d'enfanso). Nell'articolo precedente le poesie, Ezio Martin invita i valdesi a collaborare con la rivista per "sauvegarder, aussi longtemps que possible, l'héritage de civilisation qui nous a été transmis par nos ancêtres ed dont le patois est une des expressions les plus marquantes": "C'est dans l'esprit de cet amour pour les choses de chez nous que nous vous prions, chers amis Vaudois du Val Saint-Martin, de ne pas oublier que le Club Alpin du Villaret s'intéresse particulièrement à la civilisations de nos vallées, sous toutes ses formes, et qu'il serait heureux d'obtenir votre collaboration", ivi, p.14.

(21)"La Beidana", N.29, op.cit., p.28.

(22)Ivi, p.29.

(23)Ivi, p.27.

(24)Ivi, p.13-14 e 28.

(25)Ivi, p.29.

(26)Ivi, p.30.

(27)"Soricamente, la crociata che si diresse contro Albi, anziché in Palestina, ha legato in modo non più scindibile queste due minoranze, religiosa e linguistica. Ma non solo per fartri di sangue c'è questo legame. Ho letto che la lingua occitana è stata la prima lingua di predicazione dei barbet e anche a Guardia Piemontese, in Calabria, sede della popolazione valdese, si parla o si è parlato occitano. Poi, pare che motivi religiosi abbiamo tenuto lontano i balli (ma perché non in val Chisone?). Inoltre il valdismo un tempo era diffuso in tutte le valli occitane (val Maira, etc.), perché il marchese di Saluzzo era tollerante, e non in un'area ristretta come dopo le persecuzioni", Luigi Sapone, ivi, p.29-30; "l'Occitania è stata sin dalle origini terra di eresie e minoranze religiose pur appartenendo alla parte d'Europa dove il cattolicesimo si è sempre imposto sulle altre tendenze. Certo nelle valli valdesi il senso di appartenenza ad una minoranza religiosa è nella storia prevalso su quello di esser parte di una minoranza etnica e tale sentimento ha consentito ai valdesi delle valli pinerolesi di superare con maggior successo il loro minotarismo religioso rispetto a quello etnico. Credo comunque che l'appartenenza religiosa possa tranquillamente rappresentare una stratificazione trasversale alle etnie", Sergio Degioanni, ivi, p.30.

(28)Ivi, p.29.

(29)Ivi, p.28.

(30)Cfr.Bruna Peyrot, Identità in causa, "La Beidana", N.29, 1997, p.5-8.

(31)Ivi, p.32-33.

(32)Piervaldo Rostan, Assessore incaricato alle Minoranze linguistiche Comunità Montana Val Pellice, "La Beidana", N.51, 2004, p.2.

(33)Jean-Louis Sappé, Lou courouset e la furmia.

(34)Matteo Rivoira, La fioca e la vén néou, "La Beidana", N.54, 2005, p.18-23; Claudio Tron, La neve, ivi, p.2-17.

(35)Matteo Rivoira in "La Beidana", N.59, 2007, p.52-57.