Edizione 2010
Premio Internazionale Witi Ihimaera Tame-Smiler

Ha iniziato a lavorare come diplomatico presso il Ministero degli Esteri nel 1973 e vi è rimasto sino al 1989 lavorando in svariate sedi diplomatiche tra cui Canberra, New York, Washington.
Nel frattempo ha avuto accesso a diverse borse di studio presso l’Università di Otago (1975), la Victoria University di Wellington (1982) dove si è laureato come Bachelor of Arts.
Dal 1990, è professore, Distinguished Fellow in Creative Maori Letteratura, presso l’Università di Auckland.
La maggior parte del suo lavoro letterario consiste di racconti, libretti d’opera, una commedia, testi fotografici del suo Paese, otto antologie della letteratura maori contemporanea e numerosi romanzi tra cui Tangi, Pounamu Pounamu, La ragazza delle balene (diventato un film con lo stesso nome), Notti nei giardini di Spagna.
L’ultimo romanzo è Ask the Posts of the House mentre ha completato la seconda versione del suo romanzo The Matriarch (1986), che fa parte del progetto di riscrivere i suoi primi cinque libri; da questo testo ha in programma la sceneggiatura per lo schermo.
Nel 2004, per meriti letterari, è stato insignito dell’Ordine al merito (corrispondente al nostro Cavaliere) della Nuova Zelanda.
Witi Ihimaera è uno dei maggiori scrittori della Nuova Zelanda di oggi.
Di etnia Maori il suo ruolo come uomo di cultura e romanziere è quello di portabandiera della cultura Maori.
È stato infatti il primo scrittore Maori che ha pubblicato libri in Inglese di argomenti legati alla sua lingua e alla sua cultura. La scelta di utilizzare la lingua e le forme espressive della cultura dominante del suo Paese è stata consapevole e dettata dalla necessità di rivolgersi a un pubblico più vasto per dare risonanza e far conoscere al mondo la bellezza e la profondità delle tradizioni della sua gente e i problemi sociali che essa ha dovuto affrontare dopo la colonizzazione.
Nato nel 1944, è cresciuto nel periodo della migrazione delle comunità Maori dalle aree rurali a quelle urbane. Nelle sue opere ha dato voce in qualità di testimone privilegiato alle difficoltà che il suo popolo ha dovuto affrontare nel difficile processo di assimilazione nell’ambito della cultura Pakeha dominante. Fin dalla sua prima pubblicazione Pounamu Pounamu la sua voce ha permesso al grande pubblico di vivere gli eventi sociali e culturali che si sono svolti in Nuova Zelanda dal punto di vista della cultura minoritaria, ma al di là dell’ovvia denuncia delle sofferenze subite dal suo popolo al contatto con una cultura dominante, sofferenze che ricalcano quelle dei popoli autoctoni di ogni terra di colonizzazione, il suo messaggio è sempre stato un tentativo di mantenere vive le proprie radici per il bene delle giovani generazioni e per insegnare a tutti, Maori e Pakeha, che l’unica strada percorribile per la Nova Zelanda è quella dell’integrazione e della accettazione di una doppia indentità culturale che non può che servire da stimolo per la creazione di modelli culturali e di prodotti letterari di assoluta originalità e bellezza.
La prosa di Witi Ihimaera è tutta protesa verso il tema del multiculturalità e del multilinguismo, che egli descrive come il “contesto emozionale delle giovani generazioni”. Il suo scopo è mediare tra i due mondi che si sono incontrati sulla “lunga nuvola bianca” (The long white cloud” traduzione in inglese di “Aotearoa”, nome in Maori della NZ), una grande isola sperduta nell’Oceano Pacifico. Nel perseguirlo, Witi da sempre sostiene che l’apporto del paesaggio culturale Maori non può che arricchire e far crescere la cultura dominante. Le sue opere passano da una fase di recupero convinto delle tradizioni e dei valori del suo popolo, Pounamu Pounamu, Tangi, e altri scritti della sua prima fase nei quali fa rivivere il mitico passato della sua terra, per passare alla denuncia sociale a volte molto vigorosa, dei guasti che il suo popolo ha subito con la perdita della terra e dei valori ad essa legati: The New Net goes Fishing, The Whale Rider; The Matriarch . Oggi la sua produzione spazia tocca i temi più disparati e si è aperta a argomenti più generali e a volte legati anche a ambientazioni lontane dalla NZ. In particolare Witi si sente molto legato all’Italia e alla sua organizzazione sociale, oltre che alla sua cultura e alla musica, che ama sia nella lingua italiana sia nella sua musica (è un assoluto melomane!). La sensibilità per la musica e per la musicalità del linguaggio caratterizza la sua prosa e deriva dalle caratteristiche della sua lingua madre: Witi sa usare le parole come note musicali, con un loro ritmo interno che riesce a toccare le corde della mente e del cuore con composizioni che fanno vibrare di emozione e di piacere.
Marinella Rocca Longo
I. Il gioco delle carte
“La tua whaea (zia, nonna) Nani Miro sta morendo”
Ci precipitammo a casa di Nani Miro. Era già piena di gente di tutte le altre famiglie di Waituhi. I Tamatea, i Tupara, i Waitaiki, tutti. Tutti gli amici più stretti di Nani Miro si affollavano intorno al suo letto. Tra loro c’era la rivale di Nani, la signora Heta. Nani era sdraiata, immobile. Poi alzò lo sguardo, vide la signora Heta e le sussurrò.
“Maka... Maka tiko bum... Voglio giocare a carte”.
Si trovò un mazzo di carte. Tutti cominciarono a darsi da fare. Le signore anziane si erano sedute sul letto, avevano cominciato a chiacchierare e, come al solito, sbuffare nuvole di fumo. Nani Tama propose una partita a poker in salotto e allora tutti gli uomini si riunirono lì puntando molti soldi. Ovunque ci fosse un tavolo – in cucina, nella veranda, dappertutto cominciarono le partite. I bambini giocavano a Rubamazzo nelle altre camere da letto e, con il proseguire della notte, proseguirono anche le partite, le risate, gli aroha affettuosi. La casa era invasa dai giocatori, anche sul prato, fuori dalla finestra di Nani.
Improvvisamente ci fu confusione nella stanza di Nani. Ci affacciammo tutti per vedere cosa stava succedendo. Le donne avevano scommesso su chi avrebbe vinto su 10 partite e Nani e la signora Heta erano testa a testa – e la signora Heta stava litigando con Nani perché toccava a Nani dare le carte.
“Eeee Miro”, disse la signora Heta “Non credere che solo perché sai servire velocemente io non veda i tuoi trucchi”.
“Smettila di lamentarti e gioca” rispose Nani “Allora?”
“Ti sei data tutte le carte migliori” borbottò la signora Heta “Stai barando Miro”. E allungò il suo occhio per sbirciare le carte di Nani.
“Credi di riuscire a vederle, Maka tiko bum?” tossì Nani “Credi proprio di vincerla questa mano eh? Beh, roditi il fegato e beccati questa!”
E sbattè giù un full.
Le altre donne strabuzzarono gli occhi alla vista di quella mano.La signora Heta guardò le sue carte. Fece un rapido calcolo e gridò:
“Eeee! Hai barato, Miro! Io ho due assi in mano! Ce ne sono solo quattro nel mazzo! Come fai ad avere tre assi in mano, tu?”
Tutti risero. Nani e la signora Heta cominciarono a litigare come sempre, accusandosi e dicendo
“Sei tu che hai barato, non io!”
E Nani Miro disse “Ti ho vista, Maka tiko bum, ti ho vista tirar fuori quella carta da sotto il lenzuolo!”
Cominciò a ridere. Lacrime cominciarono a sgorgarle dagli occhi.
E ridendo morì.
Tutti rimasero in silenzio. Poi la signora Heta prese le carte dalla mano di Nani e la baciò.
“Sei tu che bari, Miro” sussurrò “Sei stata tu a barare.
Ma wai ra e taurima
E te marae i waho nei?
Ora che tu sei uscita dalla comunità
Chi ci farà divertire?”
Seppellimmo Nani Miro sulla collina accanto agli altri della sua famiglia. Durante il suo tangi (funerale, canto funebre la signora Heta fece un solitario con Nani, stendendo le carte sulla bara.
Più tardi quell’anno, la signora Heta morì anche lei. Fu sepolta proprio accanto a Nani così che potessero continuare a giocare a carte.
Scommetto che lassù stanno ancora litigando.
“Eeee! Miro, tu bari!”
“Sei tu che bari, Maka tiko bum. Tu, sei tu che bari”.
II. Il cavalluccio marino e lo scoglio
Vedo ancora, a volte, attraverso la tenera acqua verde e le fluttuanti alghe dei miei sogni, il cavalluccio marino. Delicato e fragile mi si avvicina, tremulo e brillante alla luce. E mi torna in mente la scogliera.
La scogliera era appena fuori del paese dove viveva la mia famiglia. Questo tanto tempo fa, quando ero ragazzo, prima di trasferirmi in questa città del sud. D’estate tutti i nostri amici e parenti andavano li ogni fine settimana per tuffarsi e pescare kai moan, i frutti di mare. La scogliera dava rifugio a molte specie di kai moana: paua, pipi, kina, pupu, vongole e molti altri frutti di mare. Ospitava anche altri pesci come le passere nere e i polipi. Abbondava di pesce e cibo. Ci offriva la sua ricchezza. Era buona con noi, la scogliera.
Ed era lì che viveva il cavalluccio marino.
A quel tempo la nostra famiglia viveva in una casetta di legno al limite della zona industriale. La domenica mio padre guardava fuori dalla finestra e vedeva i nostri parenti che passavano su vecchi furgoni, macchine o biciclette, con i sacchi e le reti, con le pinne e le maschere, gridando e salutando, mentre andavano verso la scogliera. Venivano dal pa, il villaggio, che a quel tempo non era immerso nel paesaggio suburbano, e cantando dicevano a papà:
“Ehi, Rongo! Andiamo! È un’ottima giornata per i kai moana!”
Ma quando arrivammo alla spiaggia, nel mare nessun familiare. Nessuno a punteggiare la scogliera con i sacchi. Non un grido di benvenuto trasportato dall’incresparsi delle onde.
Papà si accigliò. Guardò avanti dove gli amici e il whanau erano assiepati in un ampio gruppo smarrito sulla sabbia. Tutti guardavano verso la scogliera, sulle le loro facce il sole scolpiva espressioni impassibili.
“C’è qualcosa che non va” disse papà. Fermò il furgoncino. Camminammo con lui verso la nostra gente. Stavano in silenzio. “L’acqua è troppo fredda?” cercò di scherzare papà.
Nessuno gli rispose. “C’è uno squalo nell’acqua?” chiese di nuovo.
E di nuovo nessuna risposta. Poi qualcuno indicò un cartello. “Devono averlo messo questa notte”, un tale disse a papà.
Papà si fece largo a gomitate tra la folla per leggerlo. “Papà, che dice?” chiesi.
I suoi pugni erano chiusi e il suo sguardo era adirato. Disse una sola parola che esplose frantumando il silenzio, disturbando i gabbiani che cominciarono a gridare e picchiettare intorno a noi.
“Rongo”, lo rimproverò la mamma.
“Prima la terra e ora il nostro cibo” le disse papà.
“Che cosa dice?” chiesi ancora.
I suoi pugni si aprirono e il suo sguardo si fece triste.
“Dice che è pericoloso raccogliere i frutti di mare sulla scogliera, figliolo”.
“Perché, papà?”
“Il mare è inquinato. Se mangiamo i frutti di mare potremmo ammalarci”.
Io e le mie sorelle restammo in silenzio per un po’. “Niente più pupu, papà?”
“Niente più, bambini”.
Gli afferrai nervosamente un braccio: “E il cavalluccio di mare, papà? Il cavalluccio di mare starà bene?”
Ma sembrava che non mi sentisse.
Tornammo al furgoncino. Dietro di noi una signora anziana cominciò a cantare lamentosa un tangi per la scogliera. Era una canzone troppo triste per una così bella giornata. “Aue... aue...”
Con il resto dell’iwi chinammo la testa. Mentre la donna cantava il mare ribollì e, da un tubo che passava sul fondale, sgorgò un liquido giallo. La macchia si piegò come dita di una mano intorno alla scogliera.
Poi la canzone finì. Papà guardò la scogliera e le gridò con voce chiara: “Mare, siamo stati ingiusti con te. Abbiamo avvelenato la terra e ora gettiamo il nostro veleno nelle tue acque. Abbiamo perso il nostro aroha per te e il rispetto per la tua vita. Perdonaci, amico!”
Avviò il furgone. Tornammo a casa. Nella mia mente, improvvisamente ebbi la visione di tanti pupu che strisciavano tra rocce inquinate. Vidi una stella marina incrostata dal sudiciume.
E, balenando tra alghe morte, c’era un cavalluccio marino bellissimo, fragile e impalpabile che cercava affannosamente acque limpide e cristalline.
III. Il fratello grande e la piccola sorella
“Non mi lasciare”, gridò Janey.
Lui si girò, con la disperazione sul volto. “Sei troppo piccola per venire con me” gridò, “torna a casa, Janey!”. Ma lei lo seguiva ancora. Lui prese un sasso e glielo tirò. Lei lo schivò. Lui prese un altro sasso. “Torna indietro!” urlò con rabbia. ”No!” Digrignò i denti, spalancò gli occhi con determinazione e si lanciò verso di lui. Hema sentì che tremava tra le sue braccia. “Sarai solo un peso” protestò Hema.
Newtown era caotica. Le automobili erano parcheggiate in doppia fila davanti al centro commerciale e impedivano lo scorrimento del traffico. Il brusio della gente giungeva come un miscuglio di lingue, strano e spaventoso. Parlavano incrociandosi con frasi di cui non si coglieva il senso e che trasudavano ostilità. Tornate da dove siete venuti. Dai negozi straripavano sulla strada cassette di frutta, rotoli di stoffa e altra mercanzia. Una banda dell’Esercito della Salvezza esortava i passanti a convertirsi a Dio. Un uomo, in una pescheria, fece roteare la sua mannaia e tagliò la testa di un grosso pesce grigio dalla bocca spalancata. Un astice si muoveva in un acquario. Un ragazzino nero vendeva i giornali della sera.
Una donna contrattava sul prezzo di un vecchio armadio accatastato con altro ciarpame all’esterno di un magazzino di rigattiere. In questa terra aliena, il suo viso smunto e disperato dava l’impressione che dall’acquisto di quell’armadio dipendesse la sua stessa esistenza. Roba di seconda mano per gente di seconda mano
In stazione cominciò a scendere il silenzio. Si trasformò in un luogo abbandonato, ingombro di cicche di sigarette, avanzi di cibo, giornali pornografici stracciati – tutta l’immondizia lasciata in giro dalla gente si accumulava davanti alla grande porta della notte. Il deposito bagagli, il negozio di fiori, il bar, la tavola calda, cominciarono a chiudere. Rimasero solo alcune persone. Un vecchio vagabondo che non aveva nessun altro posto dove andare. Una giovane coppia che aveva perso l’ultimo treno per la borgata. Tre nazi-skin in cerca di divertimento.
Un facchino notturno attraversava l’atrio fischiettando. Guardò Hema e Janey con un’occhiata incuriosita.
“Pensi che mamma sia tornata a casa?” domandò Janey.
“Troppo presto”, rispose Hema. E quando, tornata a casa, si fosse accorta che non c’erano, avrebbe gridato i loro nomi e sarebbe corsa di stanza in stanza e per strada a cercarli, e ...
“Dove andiamo?” chiese Janey. “Non possiamo rimanere qui, vero Hema?”
Guardandosi intorno Hema si sentì perso, terribilmente perso. Non avevano un posto dove andare. Dappertutto, intorno a loro, segnali stradali: SENSO UNICO. SEMAFORO PIÙ AVANTI. DIVIETO DI SOSTA. DIVIETO DI TRANSITO. USCITA VIETATA. Cominciò a pensare a sua madre. Fu sopraffatto da un senso di comprensione. La loro madre era una donna debole. Aveva bisogno di un uomo. Un giorno, quando tutti l’avrebbero lasciata, forse avrebbe avuto ancora bisogno di Hema e Janey. Ma fino a quel giorno, neanche casa era sicura.
Hema prese una decisione. Lui e Janey avrebbero semplicemente dovuto accontentarsi. Prese la mano della sorella.
“Non mi lascerai mai, vero Hema?”
“No”, rispose. Né ora, né mai.
Si affrettarono nella notte. Una macchina della polizia sgommò per la strada. Una stella cadente attraversò il cielo. Le luci della città si strinsero intorno a loro.
IV . Wiwi (o, se la Nuova Zelanda fosse il Centro del Mondo)
L’annuncio odierno del Primo Ministro Neozelandese, sulla ripresa degli esperimenti nucleari da parte della Nuova Zelanda sull’isola remota di Ile de la Cité, Parigi, è stato unanimemente condannato dai nativi locali, noti come Francesi, e dagli altri governi della regione Europea.
“I test sono assolutamente sicuri” ha dichiarato dalla sua nave il Primo Ministro sul luogo del test, “e nonostante gli scienziati abbiano riferito di crepe verificatesi nel substrato al di sotto di Ile de la Cité in seguito a test effettuati precedentemente, non si sono verificate fuoriuscite oltre la laguna della Senna”.
Il Primo Ministro ha parlato in risposta ad un rapporto sul ritrovamento di crepe nella Cattedrale di Notre Dame, situata sull’isola.
“Né”, ha detto il Primo Ministro, “esiste alcuna prova che le emissioni nucleari sul suolo abbiano incrementato l’ammontare di radiazioni fino a livelli inaccettabili. I venti dominanti hanno naturalmente fatto sì che qualsiasi rischio di inquinamento sia stato trasportato sull’isolato Oceano Atlantico, senza costituire pericolo per nessuno”.
I nativi Francesi, comunque, si sono rivolti al Parlamento Europeo, il corrispettivo del South Pacific Forum, per ottenere sostegno contro l’intervento neozelandese.
“È uno scandalo” ha annunciato il Premier Francese. “I popoli Europei protestano vigorosamente contro questo intervento, che mette tutti i nostri paesi a rischio”. Ha inoltre comunicato che i governi degli atolli della Germania, Belgio, Svizzera, Italia, Monaco, Spagna e Portogallo stanno programmando di riunirsi con urgenza per discutere della situazione.
“Ma qual è il problema?” ha risposto il Primo Ministro neozelandese alla conferenza stampa organizzata dopo essersi concessa una nuotata nelle acque della Senna. “Come potete vedere, l’acqua non è contaminata e io ho intenzione di fare il bagno ogni giorno finché mi tratterrò qui per monitorare i test. Quello che i nativi Francesi non comprendono è che i test porteranno un valore aggiunto incommensurabile al complesso del nostro sapere scientifico e alle nostre conoscenze”.
Il Primo Ministro è apparsa abbronzata e in buona salute mentre posava per i nostri fotografi. Ha sottolineato che i nativi della Francia da tempo sono conosciuti dai neozelandesi come Uì-Uì (a causa della loro curiosa usanza linguistica di dire Oui, oui - ovvero Si, sì) e si è detta amareggiata dal fatto che essi si fossero lasciati istigare da un piccolo gruppo di dissidenti internazionali.
“Dopo anni di serenità e di accordi amichevoli” ha detto il Primo Ministro, “è davvero triste vedere il profondo cambiamento nelle popolazioni locali da Uì-uì a No-no. Non biasimo assolutamente i nativi, ma piuttosto i governi reazionari che stanno portando avanti quest’azione, non a causa dei test ma perché in realtà vogliono estrometterci dall’Europa”.
Il Vice Cancelliere Tedesco, tuttavia, non si è allineato con questa affermazione. “Non intendiamo dire che vogliamo che se ne vadano. Vorremmo piuttosto che rispettassero le nostre culture ed il nostro ambiente Europeo”. “Quali culture?” ha chiesto il Primo Ministro neozelandese. “Per troppo tempo gli antropologi hanno esaltato i cosiddetti tesori delle culture europee. C’è troppo misticismo attorno alla loro tradizione di balletto, opera e teatro, e tutti sanno ormai che il sorriso della Gioconda è dovuto al fatto che la donna ha appena scoperto di essere incinta. E per quanto riguarda l’ambiente in Europa, vorremmo sottolineare che l’ex Unione Sovietica ha mantenuto un programma di test nucleari fino a poco tempo fa, contro il quale nessuno ha protestato. L’unica ad essere presa di mira è la Nuova Zelanda”.
I paesi Europei stanno progettando di portare il loro caso alla Corte Suprema Australiana. Una flottiglia di navi di manifestanti sta attualmente circumnavigando l’Oceano Atlantico, con l’intento di entrare nell’area dei test. Fra di loro vi sono rappresentanti di tutti i governi Europei. Persino il Papa ha inviato uno yacht in rappresentanza della Santa Sede.
“Se i test sono così sicuri”, hanno chiesto i manifestanti, “perché allora la Nuova Zelanda non fa scoppiare le sue bombe ad Auckland?”
Il Primo Ministro neozelandese ha sorriso. Prima di tornare alla Senna per un’altra nuotata, ha rilasciato un ultima dichiarazione.
“Sono assolutamente favorevole all’invio, da parte dei governi della regione, di osservatori e di squadre scientifiche nella zona degli esperimenti di Ile de la Cité per monitorare i test. Sono assolutamente sicuri. Do la mia parola di neozelandese a tutta la popolazione di Uì-Uì”.
“Assolutamente”... “Sicuri”.
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Witi Ihimaera - Premio internazionale 2010
Premio Ostana Scritture in lingua madre [continue]
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