Non è facile tracciare un ritratto di Jean-Luc Sauvaigo, nato nel 1950 a Nizza da dove non si è mai mosso e dove vive tuttora. I suoi talenti sono molteplici: dipinge (è dai suoi acquarelli e calendari che trae qualche mezzo di sussistenza), fabbrica (per vivere) guide turistiche, disegna e pubblica album di fumetti (Remirabla vida de Gracchus Ontàrio, Vita mirabile di Gracchus Ontario, 1974; Gracco Ontàrio:orígines, 1989; Lo cat, lu piratas & lo mago, Il gatto, i pirati e il mago, 1989; Lalin, 2001), risuscita una ‘revista nissarda’ satirica, ‘La Ratapinhata’ (Il pipistrello, fondata nel 1900, ripresa dal 1934 al 1936; le due nuove serie escono dal 1976 al 1980 e dal 1986 al 1990), canta e incide dischi, collabora a documentari (Going back to Nissa la bèla, 1997; Garibaldi: made in Nissa, 2009, entrambi con Christian Passuello), infine scrive, in nizzardo naturalmente (una lingua ricca di cadenze italiane, che scoppietta di proparossitoni, inesistenti in ogni altra forma dell’occitanico): e tutta questa varia produzione ha come epicentro la sua città, che però non è quella che tutti conoscono, non è la Nizza che esiste nella realtà, ma una Nissa fantasticata, favoleggiata, una ‘città invisibile’, la leggenda di una Nizza assente, che forse avrebbe potuto essere e non è mai stata: contea, nazione o repubblica illusoria stretta fra due illusioni nazionali, la cui storia si frattura sui numerosi passaggi di governo, tra Parigi e Savoia, fino all’annessione definitiva alla Francia, nemico secolare, nel 1860. Nei disegni di Sauvaigo il paesaggio nizzardo (la baia, il Mont Cau, il Cimiez) appare spesso ironicamente popolato dei suoi miti (fra cui in primo luogo un Garibaldi atteggiato in varie posture), per sardonica rivolta contro le immagini di cartolina di un paese svenduto al turismo. E un canto tenero e ironico alla città sono le Faulas de Nissa (Favole di Nizza: qualche campione era uscito sulla ‘Revista occitana’ nel 1995; il volume, sottotitolo In Terra Phantasiarum Peregrinatio, appare nel 2011, poi nelle edizioni Jorn, 2015), che sgranano misteri e fantasmi del passato strizzando l’occhio a Dylan Thomas, Pasolini, Hugo Pratt, Tolkien o Jack Kerouac. Analoghi i toni della raccolta Compendi derisòri dau desideri (Compendio derisorio del desiderio, 2007) il cui carattere è ben delineato nell’epigrafe pasoliniana: ‘Sembro / provare odio, e invece scrivo / dei versi pieni di puntuale amore’. Protagonista della nuova canzone nizzarda, Sauvaigo non ha mai smesso di arricchirne il repertorio dopo il debutto nel 1968 con Mauris e Alan Pelhon, Tuck Certano, l’Ontario Blues Banda: una selezione di 175 suoi testi è in Paraulas au som de la lenga (Parole sulla punta della lingua, 2013), fra blues e rock and roll, imperniati comunque sul cuore di Nizza.
... UN BEL GIORNO PER MORIRE
Figlio mio, è un bel giorno per morire Pelle-della-vecchia-capanna, cheyenne
I
Al mio paese...
vale a dire nel paese dove avrei potuto non nascere
nel paese che certo non avevo neppure scelto, ma che oggi faccio mio (perché di volta in volta attore e spettatore)
vale a dire dove ho fatto mia gran parte dei privilegi di quel paese
al paese dove l’infanzia mi ha messo in resta la mia età d’uomo di cui più sento la resistenza contro tutti i servaggi
in quel paese che va più lontano della perigliosa terra-patria,
più lontano anche delle abitudini degli uomini di quel paese al mio paese senza frontiere
ogni giorno si pervertono le forme stesse della libertà, perché già la quiete è stata pervertita dall’Inquisitore e dai suoi sgherri.
La sua razza maledetta, turpe ancor più che rapace, se non peggio, fa lo stesso, e pericolosa, perché consuma perfino l’ossigeno di ciascuno, perfino l’ultima goccia d’acqua...
Siamo tutti minacciati !
Al mio paese, quelli che, esiliati, deportati
vale a dire
negati
hanno deciso di riprendersi il paese (che fa tutt’uno con la lingua), vogliono anche e soprattutto ridare alla loro terra le forme quiete della libertà.
Questa lotta si chiama
resistenza
Questa lotta si chiama
lotta di classe
Questa lotta è la stessa dappertutto
Il nemico è lo stesso
È la Hora de los Hornos !!
1 L’ora delle fornaci, film argentino di Fernando Solanas (1968) contro la neocolonizzazione. Girato in clandestinità durante la dittatura di Juan Carlos Onganía, fu presentato alla IV Mostra Internazionale del Nuovo Cinema a Pesaro, ottenendo il gran premio della giuria, e l’anno dopo a Cannes, mentre in Argentina uscì parzialmente solo nel 1973 e la distribuzione ufficiale e commerciale avvenne solo nel 1998, quando ormai il film era diventato un mito. È una delle testimonianze più dure sulla dittatura (N.d.T.)
III
Mio padre era impiegato nelle ferrovie della Provenza.
Da un bel po’ di tempo non se la prendeva più. La vita scorreva a caso, scorreggiando alla disperata. Mio padre dipingeva le nostre feste rinnovate, le mani contratte di qualche anarchico assassinato nel trentatré, i baffi spaventosi di Giuseppe.
Mia madre, la mia Sorgente, catechista, Madonna, reggeva i giorni fuggevoli con le mani incrociate sul ventre rotondo. Mio padre aveva tra le dita quella dolcezza di nutritore mentre piegava il giornale sanguinolento (quell’età-naufragio inzaccherava le nostre sottomissioni), uno di quei silenzi imprevisti, quando spezzava il pane.
– Padre, disegna un po’ l’uccello-letto, lontano dai nostri mari, dalle città morte con selciati rossastri, strade aperte, mattini quieti e libri gratuiti, con zufolio di quena1 e tamburini sempre stoned, con chitarre/oblio e la voce di Guthrie2, con la luce che viene e va negli occhi del partigiano/felicità.
– Ma perché, diceva, sempre far fagotto, sempre fuggire verso paci rubate, rinchiudersi nelle nostre conquiste, perché? Forse verbi diversi dai nostri hanno declinato la leggenda incredibile della nostra noncuranza boriosa, e il rimorso non viene mai a tormentarci. Perché?
Perché vuoi andartene, mi diceva, e perché anche tu te ne andresti? Su quali rotte volano i tuoi uccelli?
Quali cammini disegnano le tue mani impastate di miele?
Non sei più dunque la verna delle mie notti di pioggia, il fusto della mia canna di noce? Sai, la vecchiaia è un fodero diabolico, la vecchiaia senza voialtri farebbe il bozzolo nella mia casupola.
Perché aumentare ancora la muta dei cani docili, dei cani poliziotto?
Va bene. Ma come ritrovare le ambizioni del tempo andato, la forza del suo respiro?
... quando rivestiva le pareti degli oratori di santi castrati, senza barba, senza perizoma nero, senza sari bianco, spellati della rabbia d’amare, quando i suoi occhi tristi, grandi, grigi, dicevano contestazione.
Mi diceva, ma credo senza saper bene perché:
– Le mie parole non sono tanto semplici, ma sono dette per te. Parlo rosso, così, ti parlo occitanico, e tu senti più che non intendi.
Ascolta le parole degli Indiani d’America, e quelle levigate degli antenati del tuo popolo. Non erano già più la tribù, ma avevano ancora la forza vergine della sillaba selvaggia. Non erano già più la tribù, ma ricomponevano la famiglia intorno alle anse dei fiumi come la pialla arrotonda il legno.
L’aria si colmava d’un sapore di Levante. (... Un bèu jorn pèr morir, P.-J. Oswald 1974, poi in Compendi derisòri dau
desidèri, Jorn 2007)
1 quena: flauto dritto molto semplice tipico della musica andina (N.d.T.).
2 Woody Guthrie (1912-1967), cantautore americano di musica folk e protestataria (N.d.T.).
PRIMA DI TUTTO UN PAESE
Prima di tutto un paese, in una bella, tragica giornata di sole...antica federazione di terre franche, patria derisoria, montagne lontane là dietro, e quelle che ci portano fino al mare, montagne dappertutto, valli che tendono tutte verso il mare, verso la città come un corpo che sprofonda, le braccia tese.
Prima di tutto un paese, e poi una città...e non il contrario. Perché questo spiega quello.
Come raccontare in breve questa nazione illusoria, stretta fra due illusioni nazionali? Come definire la sua non-realtà politica nel corso dei secoli, senza però eludere questa comunità culturale polimorfa a cui tante generazioni d’immigrati, di viaggiatori di ogni sorta hanno potuto identificarsi, fino alla fatale indigestione della ‘decolonizzazione francese’1? Come argomentare, quando essa ha sempre affermato la propria indipendenza, le proprie particolarità, senza che mai i padroni successivi le abbiano dato ascolto?
No, la repubblica dei nizzardi non ha mai contato, politicamente né economicamente! E gli eroi, poeti, contadini hanno fatto quello che potevano per tener vivo il sogno, l’illusione. Per noialtri – ma noialtri rappresenta una tale somma di misteri (noialtri sono tanti altri!) che non posso parlare per una comunità ormai ridotta, così meglio attenersi a un altro io – dunque per me qui tutto comincia, qui tutto ricomincia...
E poi una città, in una bella giornata grigia...2
La città è schiacciata fra mare e montagna, la testa fra le spalle, meschina... un destino in miniatura, una città-bonsai e anche una cittadella, costruita come una torta di Savoia che non finisce più di dispiegare i suoi cinque strati di meringa urbana; più che mai una città molteplice.
‘... Esiste solo sotto specie di un mercato di pesce’, come si divertiva a minuscolizzarla lo scrittore Michel Miniussi3. Battuta piccina, certo, minuscola, degna di uno di Grasse, e si sa che quelli di Grasse4, dispettosi di carattere (barzelletta di nizzardo), coltivano un’antica gelosia verso Nizza la Bella! Eppure Nizza non è soltanto il tabernacolo della prostituzione né, Soeur aînée de la Révolution nationale, la culla del fascismo francese5, non è soltanto questo deserto di cemento, questa falsa comunità d’ignoranti decorata di parole vuote dagli imbonitori del mercato dell’arte.
E anche se fosse tutto quello che ne dico, e magari peggio! Povera meschinella, già tanto immiserita dagli sguardi senza fantasia né perspicacia che immiseriscono quelli stessi che la guardano... già spesso rinchiusa in cartoline postali menzognere. E À propos de Nice6, lo sguardo libertario di Jean Vigo, di stampo temerario, non sarà altrettanto riduttivo? Se non fa attenzione, l’indigeno rischia di avere uno sguardo d’alienato sul suo stesso ambiente, come se non avessimo di Nizza che lo sguardo degli altri. Io torna a parlare di noialtri, perché l’allusione all’indigeno riporta a una comunità da cui l’io, nonostante le sue repulsioni, non può strapparsi completamente.
Dunque, non conosciamo più la nostra stessa immagine. Paradossalmente, non la si può imparare che da soli, perché Nizza è innanzi tutto una città di solitudine... Sì, questo cavolo di deserto sovrapopolato! My fucking overcrowed own desert! Perché non resti nessuna ombra fra noi, improbabile e dunque prezioso lettore, la Nizza che sei invitato a esplorare non è soltanto il fondale di una storia collettiva ma, precisamente, ricca di destini individuali, è per me la scena di un teatro di marionette molto personale, necessariamente assurdo. Quel ‘nonnulla’ delle mie favole nizzarde si potrebbe feuilletonner come la guida del viaggiatore fantasmonauta, per scrutare, dietro la città del reale, quella ‘casa dei sogni’ coperta di ex voto il cui fervore non è stato abrogato: è in dormiveglia.
Città alla deriva, ma non ancora assolutamente disperata... Così, come Genova o Marsiglia, le due sorelle un po’ grossotte che si vedono troppo bene sulle foto di famiglia, potrebbe andar peggio.
Sì, anche qui potrebbe andar peggio: Nizza potrebbe davvero esistere.
(Faulas de Nissa [2011], Jorn 2015)
1 Allusione indiretta al ‘colonialismo interno’ teorizzato da Robert Lafont e alla sua analisi Décoloniser en France. Les régions face à l’Europe, Gallimard 1971. La decolonizzazione francese dell’Algeria aveva prodotto un afflusso massiccio di pieds-noirs a Nizza, dunque un aggravarsi della colonizzazione francese della città (N.d.T.).
2 Allusione indiretta alla voce di Dylan Thomas in un documentario ufficiale del 1943, Our Country (N.d.A.).
3 Michel Miniussi (1956-1992), allievo di Robert Lafont all’Università di Montpellier, poi redattore-capo della rivista ‘ÒC’, ha lasciato un’opera di grande qualità: Lei passatemps (Les Amis de Michel Miniussi, 1994, poi 1995 e 1997), Hortus deliciarum (Jorn 2002) [N.d.T.].
4 Cittadina provenzale, capitale dei profumi, rivale storica di Nizza (N.d.T.).
5 Allusione alla nascita del PPF (Partito Popolare Francese), poi alla cerimonia di giuramento del SOL (Servizio d’Ordine Legionario, creato da Joseph Darnand), nell’arena di Cimiez (Nizza), il 22 febbraio 1942. Un anno dopo il SOL diverrà la Milizia (N.d.A.).
6 Il documentario A proposito di Nizza di Jean Vigo è del 1930 (N.d.T.).
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