Nel mese di gennaio 2020 a Cantoira, nelle Valli di Lanzo, si sono svolte alcune serate ispirate alla rubrica Ampai, pubblicata su questa stessa rivista. Ospite delle serate è stata la Biblioteca Comunale “Pietro Alaria” di Cantoira in collaborazione con lo stesso Comune, lo stimolo è nato dalla grande fucina di idee che è Chambra d'Oc, il progetto AMPAI è di chi scrive, Flavio Giacchero, e l'organizzazione delle serate è dovuta in buona parte a Gigi Ubaudi, che ha avuto anche il compito di mediatore dei dialoghi.
Si è trattato di materializzare, dare vita o dare altra forma alla parola scritta e alle testimonianze audio inserite nei vari numeri. Ampai è una rubrica ma è innanzitutto un progetto di ricerca. Si occupa di indagare la cultura orale delle Valli di Lanzo, regione di minoranza linguistica storica francoprovenzale, soprattutto sotto l'aspetto sonoro e narrativo: la musica tradizionale, il paesaggio sonoro, la sonorità del linguaggio, il racconto e il raccontarsi. Ampai non è e non vuole essere retorica, semplicemente vuole ricercare, stimolare curiosità, indagare aspetti del reale da angolature meno comuni e proporre interpretazioni, osservare attraverso le cose e attraversare livelli di profondità. Come un gioco di specchi o la vertigine di un complesso algoritmo si tratta di ascoltare l'eco che rimanda il suono di un paesaggio vibrante e connesso. Come se in questo gioco di richiami non esistesse una superficie ma solo sostanza. Un flusso di significati da decifrare.
Spunti riflessivi, possibili chiavi di lettura per leggere in altro modo la contemporaneità e immaginare nuove vie esistenziali future. Coordinate per attraversare un paesaggio in continua mutazione su sentieri antichi, costruiti per orientarsi nel caos o semplicemente per dare senso al caso. Ogni numero di Ampai prevede un testimone di questa cultura, dalle cui parole si formalizza un titolo.
Le serate pensate e realizzate a Cantoira hanno visto invitato uno di questi testimoni e in un caso l'invito è stato per gli abitanti (ormai pochi) di un'intera frazione. A loro si è chiesto di raccontarsi partendo dal tema e dal titolo del relativo numero della rivista. Ma in realtà queste serate sono state molto altro. Il racconto è stato lasciato fluire liberamente e a emergere è stata la forte impronta dell'oralità. Una narrazione aneddotica, con grande presenza di ironia, autoironia e simpatia, intesa nel suo significato originario: dal greco syn, insieme e pathos, affezione, sentimento. Le serate si sono svolte interamente in francoprovenzale e questo ha sicuramente favorito una certa intimità e un dialogo diretto, senza mediazioni. I presenti, di ogni fascia di età, erano tutti parlanti e i pochi non di lingua madre capivano comunque l'idioma. Le serate si sono svolte con una stessa struttura. Alla presentazione del testimone e al suo raccontarsi ha sempre preso vita un dialogo con i presenti, i quali sono stati liberi di intervenire, aggiungere e raccontarsi a loro volta. Dopo la parte discorsiva si è passati, in ogni serata, a un convivio, un ulteriore momento sociale in cui sono proseguiti racconti e dialoghi in modo meno formale. Un momento finale di banchetto era stato previsto ma non si era immaginato che questo sarebbe successo spontaneamente per volontà dei partecipanti che, generosamente, hanno portato cibi e bevande da condividere. Riguardo a questo non si può non ringraziare in particolare il Ristorante Albergo Cantoira che ha contribuito al banchetto con grande entusiasmo e generosità. Un' altra presenza arrivata spontaneamente è stata la musica. Un gruppo di giovani suonatori della stessa comunità ha portato la musica aggiungendo un elemento fondamentale per la festa, così come non sono mancati canti polivocali. Tutte espressioni di una cultura orale che ha trasmesso nel tempo codici etici e codici estetici e che vede nel suono e nella sonorità uno degli elementi più caratterizzanti, collante per il tessuto sociale.
L'idea principale, partendo dai contenuti della rubrica e delle interviste, era di ricreare una sorta di Cantar Martina, cioè quelle veglie invernali provenienti da antichissima tradizione e ancora in uso in queste zone di montagna in un passato recente. Invece di cantare Martina di stalla in stalla il ritrovo è stato pensato nel luogo “pubblico” odierno per eccellenza: la biblioteca.
Una riproposizione in chiave moderna della tradizionale veglia invernale, con lo scopo di valorizzare il patrimonio di cultura orale locale e favorire l’incontro tra persone. Cultura infatti sono anche i racconti di vita, gli incontri, lo scambio amichevole di idee e pensieri. Cultura è società. Queste serate, nate inizialmente anche come una sorta di esperimento, hanno visto un'incredibile partecipazione. Si è scelto una predisposizione circolare in cui non c'è un capo, non c'è un palcoscenico o uno spettacolo da seguire passivamente: tutti sono al contempo pubblico e attori. Dall'idea di riproporre un antico rito al fatto di vivere un rito collettivo che ha saputo, grazie alla volontà e alle intenzioni dei partecipanti, rendere il senso di comunità, intrinseco all'oralità, e promuovere un contatto profondo tra le persone.
Alcuni link con frammenti video delle serate:
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