Sensa raïtz pas de flors è il motto, la chiave di volta della XVII edizione del Premio Ostana.
Sensa raïtz pas de flors è una canzone, ideata appositamente dal Collettivo artistico Premio Ostana, una sorta di residenza artistica, la colonna sonora del Premio.
Per questa edizione 2025 il centro è il concetto di "radici" e le sue numerose declinazioni, i suoi significati, le sue diramazioni.
Le radici, in questo territorio del Premio di minoranza linguistica occitana, innanzitutto penetrano nel profondo del tempo nell'antica tradizione e arte di far poesia nella propria lingua madre, un poetare che si fa anche musica e canto. È nella cultura occitana che nasce la prima scuola poetica in volgare nella storia letteraria dell'Europa moderna, in cui prende forma una nuova visione estetica e filosofica, la fin'amor, che la tradizione letteraria riporterà come amor cortese.
Il Collettivo si è rivolto quindi al mondo dei trovatori e alle loro composizioni e il canto Sensa raïtz pas de flors si sviluppa in questo contesto.
Si tratta di una canzone, canso, di Bernart de Ventadorn, tra i più celebri trovatori in lingua occitana del XII secolo, che alcune fonti considerano imparentato addirittura con Guglielmo IX d'Aquitania e che contribuisce a creare un modello per la poesia d'amore cortese classica. Il canto è la splendida Can vei la flor, l'erba vert e la folha. Il Collettivo ha utilizzato le prime due strofe originali del testo, inserito un refrain di propria ideazione e composto una musica originale.
Il refrain, il ritornello, è stato formulato utilizzando termini e concetti presenti nel canto di Bernart de Ventadorn, partendo dal motto Sensa raïtz pas de flors.
Il lavoro è stato come un risalire a ritroso in quelle radici profonde, ma anche un guardarsi attorno nella contemporaneità e un pensiero rivolto al futuro. Buona parte della poesia trovadorica originaria cela più piani interpretativi, ha qualcosa di sapienziale, di filosofico, di metaforico, di eterno, come i concetti di amore e di natura, di amore dentro la natura, di amore come natura. Le radici così si fanno più intricate ed estese ed abbracciano non solo un territorio specifico, una lingua, una cultura, ma un panorama globale. Ci sono richiami che hanno a che fare con l'ecologia, quel pensiero proteso al mondo intero, che sempre più è in pericolo. Radici che sono anche un prendersi cura di una casa e di una causa comune, con la consapevolezza antica che Natura non è qualcosa di altero ma che Noi siamo Natura. Radici che veicolano valori collettivi e nello spirito trovadorico ritornano, con urgenza, concetti come convivenza, amore, condivisione, convivialità. In opposizione ai venti di guerra, odio, chiusura ed esclusione che un potere ottuso e cieco diffonde e plasma in questi tempi.
Il Collettivo ha voluto attualizzare un messaggio e nel farlo ha scelto una modalità semplice e diretta. Riguardo al testo e alla pronuncia ha cercato una via per renderlo il più internazionale possibile. Nella scelta estetica predomina l'idea e il suono arcaico della musica a bordone. Una ghironda e una cornamusa aprono il canto con una leggera dissonanza incontrando un violino. Il canto, dalla monodia iniziale, procede con la polivocalità e la polifonica tipica del canto di tradizione orale che dalle Alpi arriva ai Pirenei. Un clarinetto basso sposta gli accenti con un procedere ipnotico, un suono e un'intenzione che ricordano l'andamento di un tanpura indiano, antico strumento a corde in uso negli ensemble musicali tradizionali di quella cultura che si dice abbia il ruolo di imitare e riprodurre il sottofondo del cosmo.
Un canto che vuole essere un ponte tra la poesia e il pensiero trovadorico e il nostro tempo. Un canto d'amore che vede fiorire fiori dalle radici e vede proprio nell'amore l'unica possibilità di salvezza, condividendo il pensiero scientifico che vede nell'empatia e nella solidarietà il salto evolutivo e la sopravvivenza dei primi gruppi sociali, il riconoscersi simili, con radici comuni.
Composto e interpretato da: Paola Bertello, Flavio Giacchero, Luca Pellegrino, Marzia Rey.
Senza radici non ci sono fiori
Quando vedo i fiori, l'erba verde e le foglie
e sento gli uccelli cantare nelle siepi
è con l'altro piacere che ho nel mio cuore
che il mio canto sorge, nasce, cresce e germoglia.
E mi sembra che nulla abbia valore,
se non vogliamo sperimentare l'amore e la gioia,
quando tutto ciò che esiste gioisce e fiorisce.
Senza radici non ci sono fiori, nasce, cresce e germoglia,
sale il mio canto e gioisce e fiorisce,
nel mio cuore mi domina sovrano.
Non pensate mai che io rinunci alla gioia
e che mi stanco dell'amore
a causa delle sofferenze che di solito ne subisco,
è che non ho il potere di staccarmi da esso
e che l'amore mi assale, mi domina sovrano
e mi fa amare e desiderare ciò che gli piace.
E se amo ciò che non è mio
la forza dell'amore mi costringe a fare il vassallo.
Senza radici non ci sono fiori, nasce, cresce e germoglia,
sale il mio canto e gioisce e fiorisce,
nel mio cuore mi domina sovrano.
Non smetto di amare nella sofferenza,
senza radici mi sembra che nulla abbia valore,
senza fiori non si può sperimentare l’amore e la gioia.
Senza radici non ci sono fiori.
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