Il Ministero della Cultura turco ha vietato il film in lingua kurda "Rojbaş" (espressione kurda di saluto che significa “buona giornata!”), del regista kurdo Özkan Küçükç, uscito in Turchia nel 2022, film candidato al Babel Film Festival 2025 di Cagliari.
Lo avevamo appreso dall’articolo dell’11 ottobre 2024 dell’agenzia kurda di informazione Bianet, e la notizia è confermata dalla pioggia di articoli che da allora sono usciti su questo evento. Il Ministero della Cultura turco non poteva in nessun modo trovare un metodo migliore per confermare appieno quanto il film “Rojbaş” descrive: la repressione e proibizione contro la lingua kurda, e in particolare contro le espressioni artistiche in lingua kurda, contro lo spettacolo in lingua kurda.
Il film “Rojbaş”, parlato in kurdo e sottotitolato in italiano, turco, inglese e tedesco, non è solo un film in lingua kurda, cioè nella “lingua madre” del 20% della popolazione della Turchia, ma è anche un film sulla lingua kurda, sull’importanza della lingua madre; infatti l’argomento del film è proprio la contrastata e ardua vicenda, durata circa 25 anni, del tentativo di un regista e di un gruppo di attori di realizzare e di mettere in scena uno spettacolo cinematografico in lingua kurda, incontrando continui divieti amministrativi, come la proibizione di utilizzo di qualsiasi palcoscenico.
Finalmente, nonostante tutto, il film era stato realizzato, ed era uscito nel 2022; ora, a conferma di quanto esso ci dice, ecco che ne viene proibita la proiezione nelle sale cinematografiche della Turchia.
Il film “Rojbaş” è anche un film… sul “fare film”.
Gli attori interpretano la parte di ciò che essi effettivamente sono: interpretano la parte di attori.
La storia narrata comincia circa 25 anni prima dell’inizio dei lavori per la produzione di questo film: a quel tempo “Rojbaş” era stato realizzato come spettacolo teatrale, e “quel tempo” era un’epoca durissima per ogni espressione in lingua kurda.
Poi è maturata nel regista e negli attori l’idea di riproporlo, questa volta come film, a partire dalla condivisa constatazione che da allora, dopo una breve parentesi in cui era sembrato che situazione si avviasse a qualche miglioramento, erano tornati i tempi bui: essi avevano cioè constatato che la situazione odierna assomiglia terribilmente a quella di quei giorni, rendendo quindi di nuovo drammaticamente attuale quello spettacolo.
Per concludere questa deprimente notizia con una battuta di spirito: non ci resta che organizzare comitive di spettatori kurdi e turchi che dalla Turchia vengano a vedere questo film in Italia!
Ma cogliamo l’occasione, ora, per dire qualcosa di più sul regista di questo film, Özkan Küçükç.
È nato a Dersim (Tunceli). Si è laureato in Turchia all'Università di Marmara, Dipartimento di Radio-TV-Cinema, con la sua tesi: "Il cinema della Turchia durante gli anni Novanta". Tra il 1997 e il 2009 ha lavorato nel “Collettivo Cinema della Mesopotamia” e ha pubblicato articoli su diversi giornali e riviste; è stato il coordinatore del “Diyarbakır Cinema Workshop” nel 2003 e nel 2004. È uno dei fondatori dell’Accademia Cinematografica “Conservatorio d’Arte”, dove ha tenuto diverse conferenze. Inoltre è il creatore di “Filmamed Documentary Film Festival” e “Kısa Dalga” sui cortometraggi).
Ecco ora qualche cenno a due altri film di Özkan Küçükç particolarmente significativi, scelti tra la decina da lui prodotti: "Camminando per le strade di Diyarbakir", del 2020, e “Riso con ceci”, del 2005…
*) 2020 - "Camminando per le strade di Diyarbakir"
("Walking the Streets of Diyarbakır"), cortometraggio; durata: 14 minuti. Il film è parlato in kurdo (kurmanji); ne esiste una versione sottotitolata in italiano.
Questo film è un viaggio dentro il labirinto di strade e viuzze di “Sur”, ovvero “Suriçi”, la “città vecchia” di Diyarbakir, ovvero di “Amed”, il suo “centro storico”: il quartiere che è il cuore e l’anima, immersa nelle profondità della storia e delle tradizioni, della città che a sua volta è il cuore e l’anima della regione kurda della Turchia, percepita unanimemente come la sua “capitale”. Ma questo film non è solo un viaggio nel quartiere di Sur, ma è anche una “storia d’amore”. È una “storia d’amore” per due ragioni... È una “storia d’amore” per questo quartiere, per ciò di cui esso è il simbolo: una storia drammatica ed irta di domande senza risposte. È una “storia d’amore” anche perché i vissuti impregnati della geografia e della travagliata storia di questo quartiere si intrecciano con la vicenda biografica dell'autore, con la sua vita sentimentale: la crisi di cui il quartiere è stato vittima si fonde e confonde con la crisi del rapporto di coppia che vi si consuma. Sur è simbolo, soprattutto, della lotta per la libertà di un popolo antico e fiero: nel 2015, nella Serhildane (l’intifada kurda) che ha visto insorgere contro il governo centrale molte località fermamente decise all’autodeterminazione, alla pratica del Confederalismo Democratico, Sur è stata teatro di una ostinata ribellione, e di una durissima repressione: strage degli abitanti, distruzione del quartiere. Özkan Küçükç, regista kurdo dalla lunghissima esperienza cinematografica ad Istanbul ed a Diyarbakir, sperimenta qui, con la sua macchina da presa, un viaggio davvero onirico nel quartiere, che è anche un “dialogo” con il quartiere, con le sue strade, i suoi cortili, le sue case ed i suoi muri, e con la simbologia di cui sono effigiati; ma è anche una ricerca interiore, un viaggio onirico dentro la propria anima.
*) 2005 - “Riso con ceci”
Cortometraggio. Durata: 45 minuti – Titolo originale: “Nohutlu Pilav”. Parlato in kurdo (kurmanji) e in turco; ne esiste una versione sottotitolata in italiano.
“Riso con ceci” è un cibo caratteristico della Turchia, che diventa, per i protagonisti, anche il lavoro per guadagnarsi da vivere, cucinandolo e vendendolo nei tipici carretti di strada. E tutto il cortometraggio ha per protagonista centrale una donna, Fahriye, che racconta la propria vita, e quella del marito Tahsin e dei loro due figli, con occhio sempre attento alla vita privata e personale, con occhio di donna. Ma le loro vite si proiettano sulla storia di un popolo e diventano il difficile e contrastato itinerario verso il recupero e la rivendicazione della propria identità individuale e collettiva, della propria cultura negata e repressa. Gli anni culminanti della storia qui narrata sono tra il 1990 ed il 1992: gli anni dei “desaparecidos” kurdi e turchi, degli assassinii politici “di Stato”, della carcerazione di massa e delle atroci torture carcerarie... È questo il contesto in cui, mancando ogni possibilità di praticare i normali metodi della vita democratica, la tenace fedeltà del popolo kurdo alla propria identità ed alla propria cultura prende la strada della lotta armata e della Resistenza, la strada della “montagna”. E, in questo contesto, Tahsin, il marito di Fahriye, abbandona la famiglia e si unisce alla guerriglia in montagna, finché viene ucciso in un combattimento. Lei invece, Fahriye, resta più legata ai valori personali e “privati” della vita, quelli della convivenza familiare, dell’amore per i figli. Ma poi la sua condizione di vedova di un “martire” ed il ricordo del marito la conducono ad una maturazione: ora, continuando con il proprio cammino l’itinerario iniziato da Tahsin, Fahriye è diventata una operatrice culturale del mondo kurdo dello spettacolo, sia nell’ambito della canzone che in quello del teatro e del cinema, ed anche i due figli sentono coesistere nel loro animo, accanto al disagio della propria condizione di abbandono, la fierezza proiettata dalla vicenda paterna.
Aldo Canestrari

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