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Vivem un novel país

Nuovi pastori. Le famiglie albanesi di Becetto

Pastors novèls.
Las familhas albanesas dal Becet

di Maurizio Dematteis

Nuovi pastori. Le famiglie albanesi di Becetto
italiano Becetto è una frazione alpina situata sul versante orografico sinistro della Val Varaita a 1380 metri di altitudine, all'interno del Comune di Sampeyre, in Provincia di Cuneo, Regione Piemonte. Attualmente nella piccola frazione vivono 42 residenti, di cui ben 8 stranieri, tutti di origine albanese. Il Comune di Sampeyre, di lingua e cultura occitana, è molto vasto ed ha molte frazioni. Oltre che Becetto citiamo Rore, Calchesio, Dragoniere, Gilba, Villar, Sant'Anna, Villaretto, Rouera. Raccordo tra la bassa e l'alta val Varaita, Sampeyre si sviluppa su un territorio montano che ha nel Monte Nebin (2.510 m) e nelle "Lobbie" del Viso (3.015 m) le due cime principali, rispettivamente sugli spartiacque con la Valle Maira e con la Valle Po. Il territorio di Sampeyre, abitato in origine dai Liguri Montani e dai Galli, subì nel tempo una serie di invasioni ad opera dei Goti nel 400, dei Franchi e dei Saraceni nel X secolo. La cacciata di questi ultimi viene ricordata nella tradizionale e suggestiva festa della Baìo che si celebra ogni 5 anni con più di 300 personaggi in costume adornati di preziosi e caratteristici nastri in seta. Il territorio divenne successivamente signoria dei Marchesi di Saluzzo e confinò, per lungo tempo, con il delfinato di Francia che aveva, nel comune di Casteldelfìno, il suo avamposto oltre lo spartiacque alpino. Nel 1548 fu sotto la dominazione francese e nel 1580 subì il saccheggio degli Ugonotti. Otto anni dopo Carlo Emanuele I lo sottrasse alla Francia e lo incorporò nei possedimenti dei Savoia.
La val Varaita è collegata oltralpe fin dall'antichità, zona del Queyras, attraverso il colle dell'Agnello, terzo valico stradale più alto delle Alpi, e storica via d'accesso per merci e persone.
Visto dall'esterno...
«Quando ho deciso di installare la mungitrice automatica, con braccio robot a raggi infrarossi, che riconosce ogni singola mammella, e munge da sola tutte le mie cinquanta pezzate rosse tre volte al giorno, mi hanno dato del matto. Sono abbonato a una rivista di zootecnia sulla quale ho letto di questo robot svedese e sono andato a vederne uno all'opera in Emilia Romagna. Una ditta di Mantova è venuta a fare un sopralluogo, e mi hanno detto: "ma cosa vuole fare lei qui in montagna?"». Ma Gianfranco Martino, nato e cresciuto a Torino, nel popolare quartiere di Barriera di Milano, che dal 1983 ha lasciato la città per venire a vivere nella frazione di Becetto origine dei suoi genitori, non è uno che si arrende facilmente. «Volevo a tutti i costi installare questo impianto di mungitura - continua -. Sono andato dal concessionario di Busca (a pochi chilometri da Becetto, sempre in Provincia di Cuneo, ndr) con l'articolo della rivista. Lui non sapeva nemmeno che esistesse un impianto del genere, ma si è informato presso la sede centrale di Milano e mi hanno installato la mungitrice». Un investimento grosso: 150 mila euro, di cui 70 mila pagati dalla Regione Piemonte a fondo perduto, per quello che, cinque anni or sono, era il robot più alto d'Europa.
L'azienda agricola Martino, di cui Gianfranco è titolare, l'ha creata con la moglie a Becetto all'inizio degli anni '90. «Nel 1992 ho preso la prima vacca - spiega -. Oggi abbiamo 110 mucche, di cui una cinquantina da mungere. E curiamo tutte e tre le fasi della produzione: mungitura, trasformazione e vendita dei prodotti caseari». L'azienda Martino ha costruito una stalla nuova, installato la mungitrice robot, creato un caseificio nella borgata e comprato un rimorchio per vendere al mercato. Ma a questo punto per i coniugi Martino, con due figli in età da studio, cominciano i problemi a trovare eventuali soci interessati al progetto aziendale. «Ci sarebbe spazio per almeno tre famiglie, in modo da potersi specializzare ognuno in una fase della produzione - spiega Gianfranco -. Ma non è facile trovare delle persone che vogliano venire a lavorare a Becetto. Una volta è arrivata una famiglia da Torino: lui, che lavorava in un call center, aveva deciso di cambiar vita. Dopo 15 giorni è scoppiato, non era assolutamente abituato a lavorare». Un giorno arriva a Becetto Mariano, operaio albanese abile a lavorare con le bestie. E poco dopo lo raggiunge la sorella Diliana, oggi impiegata presso il caseificio. «Meno male che abbiamo trovato questi due ragazzi che hanno deciso di mettere su famiglia a Becetto - racconta ancora Gianfranco -. Sono dei gran lavoratori, non si risparmiano. Anche se la loro idea è quella di tornare un giorno in Albania. Per cui non investono qui in Italia, ma si costruiscono la casa al paese d'origine. Un po' come facevano i nostri nonni, che hanno recuperato queste borgate lavorando in Francia». Come gli immigrati in Italia da paesi lontani di oggi, gli abitanti della Valle Varaita a partire dall'inizio del secolo scorso andavano oltralpe, attraverso il Colle dell'Agnello, a cercare lavoro che nelle loro borgate scarseggiava. Ma sempre con l'idea fissa di mandare i soldi a casa e, un giorno, tornare in Italia. «La stessa cosa pensano oggi i miei operai albanesi - continua Gianfranco -. In fondo li capisco, ma questo a noi crea quache problema. Perché se trovassimo delle famiglie italiane, disposte a investire sul nostro territorio, si potrebbero fare dei discorsi più seri per il futuro. A volte anche far frequentare corsi di formazione a Mariano e Diliana diventa un problema, perché rispondono che non sono interessati, perché non sanno se in futuro rimarranno qui o andranno via».
Ma nonostante l'incertezza sul futuro i coniugi Martino si dicono soddisfatti della loro situazione e fieri di tutto quello che sono riusciti a creare a Becetto. «Cerchiamo di portare avanti la nostra attività al meglio, in armonia con l'ambiente alpino - conclude Gianfranco -. Abbiamo appena inaugurato un impianto fotovoltaico, 160 metri quadri di pannelli integrati, cioè a filo delle tegole, sul tetto della stalla, per una produzione di circa 20 kilowatt ora. Il nostro motto oggi è "mungere le vacche con il sole". Ed è un peccato che nelle nostre valli sia una strada poco seguita. Sono stato nelle valli tedesche e austriache e li è pieno di fotovoltaico. Mi chiedo perché in Italia, che è uno dei paesi con più sole in Europa, continuiamo ad arricchire i russi e gli arabi».
Visto dall'interno...
«Sono arrivata in Italia nove anni fa, avevo 18 anni. Da Scutari sono venuta direttamente a Becetto, dove c'era mio fratello Mariano che lavorava per Gianfranco Martino». Diliana Girovini oggi porta avanti il caseificio dell'azienda agricola della famiglia Martino. «Da quando sono arrivata in Italia faccio formaggi -continua -. Ho imparato qui a Becetto, perché prima in Albania non lavoravo. Mi hanno insegnato i Martino e mi hanno assunto regolarmente». Diliana vive e lavora a Becetto, è sposata e ha un figlio di quattro anni di nome Kledi. «Mio marito è originario di Valona - spiega -. L'ho conosciuto in Italia e siamo andati a sposarci in Albania nel 2002. Oggi vive e lavora anche lui a Becetto come muratore per un'azienda edile locale». Il figlio di Diliana frequenta l'asilo a Sampeyre, il capoluogo, e tutte le mattine vene prelevato dallo scuolabus insieme agli altri quattro bambini della borgata.
«Appena arrivata a Becetto non parlavo l'italiano - continua Diliana - ma lavorando con i coniugi Martino nel giro di pochi mesi l'ho imparato. Ho ancora qualche problema con il patois; non lo parlo assolutamente, ma comincio a capire qualche parola. E quando organizzano feste con balli e canzoni occitane mi piace parteciparvi». La famiglia di Diliana si trova bene a Becetto: «Sono tutti delle bravissime persone - spiega la mamma -. Per l'integrazione non abbiamo mai avuto problemi. Mio marito ha anche alcuni amici italiani che frequenta, mentre io, stando sempre qui in caseificio, ho più difficoltà a conoscere i locali. Ogni tanto il datore di lavoro di mio marito ci invita a cena a casa sua». Diliana Girovini apprezza anche i servizi offerti dal nostro paese: «In passato ho avuto qualche problema di salute - racconta - e in ospedale mi sono sempre trovata bene. Non hanno mai fatto differenza tra pazienti stranieri o italiani». Altro discorso quello della casa, difficile da trovare in una piccola borgata dove la gente è restia ad affittare. E spesso preferisce lasciare la casa vuota. «In realtà noi non abbiamo avuto nessuna difficoltà - spiega Diliana -.Perché il titolare, Gianfranco, ci ha trovato una casa in affitto di proprietà di suoi parenti, che vivono lontano».
La famiglia di Diliana ha una serie di parenti che vivono vicino: «Alcuni cugini stanno a Saluzzo, e a Piasco vive mia sorella (paesi all'imbocco della Valle Varaita distanti poche decine di chilometri, nda). La domenica spesso scendiamo a trovarli». L'unica cosa che manca sono i genitori, che con la sorella di 18 anni sono rimasti a vivere a Scutari, in Albania. «Torniamo al nostro paese circa una volta l'anno, solitamente per le vacanze di Natale, che è quando qui c'è meno lavoro. Andiamo in auto fino a Brindisi e poi traghettiamo a Valona, dove vivono i parenti di mio marito». Fortunatamente Kledi sente la voce dei nonni quasi tutti i giorni, grazie alle schede telefoniche prepagate.
«Ci siamo abituati a vivere in montagna - continua Diliana -. E persino d'inverno, con tutta la neve che viene giù, ci piace goderci lo spettacolo. D'estate poi è bellissimo, e se riusciamo a trovare il tempo andiamo a fare il bagno in Liguria, a Savona. Ma se dovessi segnalare un problema, sicuramente direi quello dei documenti. Io personalmente ho sposato mio marito che aveva già la carta di soggiorno, e l'ho ottenuta immediatamente anche io. Ma è successo a molti, compresa mia sorella, che si recano in posta a richiedere il permesso, pagando tutto il dovuto, e i documenti arrivano mesi dopo già scaduti. Per cui devono ricominciare tutta la trafila da capo». 
Il futuro per Diliana e la sua famiglia è un mistero. Non gli spiacerebbe rimanere a vivere in Italia, magari, confessa, comprando una casa. «Perché mio figlio cresce qui. E si costruisce le sue amicizie». Ma allo stesso tempo gli piacerebbe tornare in Albania, dove hanno la casa e i parenti più stretti. «Ma al nostro paese manca il lavoro. E a meno che non cambi qualcosa...».
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L'Albania
L'Albania, in albanese Shqipëria, ovvero paese delle aquile, è un piccolo stato della Penisola balcanica, nel sud-est dell'Europa, con una popolazione di appena 3 milioni e 600 mila abitanti. Confina a nord-ovest con il Montenegro, a nord-est con il Kosovo, a est con la Macedonia e a sud con la Grecia; le sue coste si affacciano sul Mar Adriatico e sullo Ionio. Colonia italiana dal 1939 fino alla fine della Seconda Guerra mondiale, grazie all'invasione dell'Esercito italiano e alla successiva proclamazione di Vittorio Emanuele III re d'Albania, il piccolo paese balcanico dal 1946 al 1990 divenne uno stato nazional-comunista d'impronta stalinista, ma con pochi contatti con gli altri stati comunisti del Patto di Varsavia, dominato dall'Unione Sovietica. Il paese venne guidato ininterrottamente da Enver Hoxha, dalla fine della Seconda Guerra mondiale fino alla sua morte, avvenuta nel 1985. Cinque anni dopo, in seguito alla caduta del Muro di Berlino, si ebbe un movimento di rivolta, guidato dagli studenti e dai professori universitari di Tirana, a cui si unì man mano gran parte della popolazione nazionale, che portò alla fine del regime comunista e all'istituzione del multi-partitismo nel paese. L'Albania divenne così una Repubblica parlamentare. Ma a causa dell'arretratezza economica del paese, che in cinque anni di caute riforme l'agonizzante regime comunista orfano di Enver Hoxha non era riuscito assolutamente ad attenuare, il paese si avviò verso il disastro. Nel 1990 in segno di protesta nei confronti di una situazione economica disastrosa e della mancanza di prospettive per l'intera nazione, migliaia di persone hanno occupato le ambasciate straniere a Tirana chiedendo asilo politico. Il 3 Luglio del '90 i primi sei albanesi arrivarono in Italia clandestinamente a bordo di una zattera. Seguiti a breve dagli 800 rifugiati nelle ambasciate in Albania. Ma è nel 1991 che cominciò il vero e proprio "esodo": 25 mila persone (secondo le stime del Ministero dell'Interno) giunte nei porti di Bari, Otranto e Brindisi su imbarcazioni di fortuna. 21.800 delle quali rimaste in Italia e distribuite tra le varie regioni. In agosto dello stesso anno poi altre 20 mila. Ma questa volta l'atteggiamento del nostro paese cambia: gli sbarcati vengono rinchiusi nello stadio di Bari e successivamente rimpatriati con la forza. Mentre negli anni a venire, fino al 1997, seppur in maniera più contenuta continuano gli sbarchi clandestini sulle nostre coste. Nel 1997 il piccolo paese balcanico precipita nuovamente nel caos: le popolari società finanziarie albanesi garantite dagli stessi governanti, in cui tutti i cittadini mettevano i loro risparmi spinti dalla promessa di alti interessi, crollano. Un'intera nazione si trova d'improvviso senza un soldo, truffata e senza nessuno a cui chiedere conto. Migliaia di persone, tra cui le forze giovani, gli intellettuali e il personale qualificato, lasciano il paese per raggiungere le coste italiane, spinti dalla mancanza di sicurezza, di istituzioni efficienti e democratiche, dall'anarchia politica e soprattutto dalla sfiducia nella classe politica dirigente. Oggi in Italia vi sono più di 400 mila albanesi legalmente riconosciuti, più altri 100 mila in fase di legalizzazione. Si tratta della terza nazionalità straniera per numero di immigrati dopo la Romania e il Marocco.
occitan Lo Becet es una ruaa alpina butaa a l'adrech de la Val Varacha, a 1350 mètres d'autessa, dins la comuna de Sant Peire, en Província de Coni. Encuei dedins la ruaa vivon 42 residents, entre lhi quals ben 8 estrangiers, tuchi d'origina albanesa. La comuna de Sant Peire, de lenga e cultura occitana, es ben granda e a ben de ruaas. En mai dal Becet enavisem Rore, Lo Chucheis, Dragonieras, Gilba, Lo Vilar, Sant'Ana, Lo Vilaret, La Roera. Racòrd entre la bassa e l'auta valada, lo país es dominat amont dal Mont Nebin (2510 m), sus l'aigavèrs embe la Val Maira, e las Lòbias dal Vísol (3015 m), sus l'aigavèrs embe la Val Pò. Son territòri, abitat en origina dai ligurs montans e dai Cèlts, subiet dins lo temp una seria d'invasions da part di Gòts ental 400, di Francs e di Sarrasins al sècle X. La chaçada d'aquesti darriers ven recordaa dins la tradicionala e suggestiva fèsta de la Baïa que se debana chasque 5 ans embe mai de 300 personatges en costum adornats de preciós e característics bindèls de sea. Lo territòri devenet puei senhoria di marqués de Saluces e confinet per longtemp embe lo delfinat de França qu'avia sa termiera al deçai de las Alps a Chasteldelfin. Ental 1548 foguet sot la dominacion francesa e ental 1580 patiet lo sacatge di Ugonòts. Uech ans après Carlo Emanuele I lo sostraiet a la França e lo incorporet enti possediments di Savòia.
La val Varacha es liaa a l'autre cant de las Alps despuei l'antiquitat a travèrs lo Còl de l'Anhèl, que cala en Queiràs, lo tèrç còl estradal mai aut de las Alps e passatge istòric per las marchandisas e las personas.
Vist dal defòra...
«Quora ai decidat de plaçar la màquina per mónzer, embe lo braç robòt a rais infrarós, que reconeis chasque possa e monze da soleta totas mas cinquanta vachas jaias rossas tres bòt lo jorn, m'an donat dal mat. Siu abonat a una revista de zootecnia ente ai lesut d'aqueste robòt esvedés e siu anat ne'n veire un en Emília Romagna. Un'empresa de Màntova es vengua a far un sobre-luec e m'an dich: "mas çò que voletz far aicí en montanha?». Mas Gianfranco Martino, naissut e creissut a Turin dins lo quartier popular de Barriera de Milan, que dal 1983 a laissat la vila per venir a viure al Becet d'ente venion son pare e sa maire, es pas un que s'arrend facilament. «Voliu a tuchi costs butar aqueste emplant de monzua. Siu anat dal concessionari de Buscha embe la revista a la man. Ele saubia nimac qu'existesse un emplant parier, mas s'es informat a la sede centrala de Milan e m'an plaçaa la màquina per mónzer». Un gròs investiment: 150 mila euro, 70 di quals pagats da la Region Piemont a fond perdut per aquel que cinc an passats era lo robòt mai aut d'Euròpa. 
L'azienda agrícola Martino, de la quala Gianfranco es lo titolar, l'a creaa embe sa frema al Becet al començament di ans '90. «Ental 1992 ai pilhaa la premiera vacha. Encuei n'avem 110 e na cinquantena son da monzer. E curem totas tres las fasas de la produccion: monzua, transformacion e venda di produchs casearis». L'azienda Martino a bastit un novèl estable, a pilhaa la màquina per mónzer, a creat un caseifici dedins la ruaa e a chatat un remòrqui per vénder al marchat. Mas an aquela mira per lhi Martino, embe doas mainaas en atge d'estudi, comença lo problèma de trobar de sòcis que se jonten al projèct aziendal. «Lhi auria de plaça per almenc tres familhas, en maniera de se poler especializar chascun dins una fasa de la produccion - explica Gianfranco - mas es pas de bèl far trobar d'autras personas que vòlen venir trabalhar al Becet. Un bòt es arribaa una familha de Turin: ele, que trabalhava dins un call-center, avia decidat de chambiar vita. Après quinze jorns es esclopat, era pas dal tot acostumat a trabalhar». Un jorn arriba al Becet Mariano, obrier albanés àbil a trabalhar embe las bèstias. Pauc après arriba decò Diliana, sa sòrre, qu'encuei trabalha al caseifici. «Bonaür qu'avem trobat aquesti dui filhs qu'an decidat de se far una familha al Becet - còntia Gianfranco - son de grands trabalhaires, se tiron pas enreire. Mesme se lor idea es de tornar un jorn en Albania. Pr'aquò investon pas aicí en Itàlia, mas a lor país. Un pauc coma fasion nòstri reires, qu'an recuperaas aquestas ruaas en anant trabalhar en França». Parelh coma lhi immigrats d'encuei en Itàlia, a partir dal començament dal sècle '900 la gent de la Val Varacha partia òutra, passavon lo còl de l'Anhèl a cerchar de trabalh qu'aicí mancava. Mas sempre embe l'idea fixa de mandar lhi sòuds a maison e de tornar un jorn al país. «Parier de çò que penson encuei mis obriers albanés - contínua Gianfranco - al fons lhi compreno, mas aquò a nosautri crea qualque problèma. Perque se trobéssem de familhas italianas, dispausaas a investir sus nòstre territòri, polerien se far de discors pus seriós sus l'avenir. De bòt decò far frequentar de cors de formacion a Mariano e Diliana devén un problèma perque respondon que son pas interessats, perque san pas se dins lo futur restarèn aicí o partirèn».
Mas malgrat l'incertessa sus lo futur lhi Martino se dison contents de lor situacion e fiers de tot aquò que son arribats a crear al Becet. «Cerchem de portar anant al mielh nòstra activitat, en armonia embe aqueste ambient de montanha - conclui Gianfranco - Venem just d'inaugurar un emplant fotovoltaic, 160 mètres quadres de panèls integrats, val a dir ben a fil embe las teulas, sus lo cubèrt de l'estable que produi a pauc près 20 quilowatt l'ora. Nòstre mot encuei es "mónzer las vachas embe lo solelh"». E es un dalmatge que dins nòstras valadas sie una dralha gaire seguia. Siu estat dins las valadas tedèscas e austríacas e ailai n'a tot plen d'aquò. Me demando perque en Itàlia, qu'es un di país embe mai de solelh d'Euròpa, continuem a enrichir lhi russes e lhi arabs».
Vist dal dedins...
«Siu arribaa en Itàlia fai nòu ans, a 18 ans. Da Scutari siu vengua directament al Becet, ente lhi avia mon fraire Mariano que trabalhava per Gianfranco Martino». Diliana Girovini encuei pòrta anant lo caseifici de l'azienda agrícola de la familha Martino. «Despuei que siu arribaa fau de fromatges - explica - ai aprés aicí al Becet, perque derant ailen en Albania trabalhavo pas. Son lhi Martino que m'an mostrat e m'an engatjaa regularament». Diliana viu e trabalha al Becet, es mariaa e a un filhet de quatre ans que se sòna Kledi. «Mon òme es originari de Valona. L'ai conoissut en Itàlia e sem anats nos mariar en Albania ental 2002. Encuei decò el viu e trabalha aicí coma muraor per un'azienda edila locala». Lo filhet de Diliana vai a l'asil a Sant Peire, lo cap-luec, e tuchi lhi matins ven lo quèrre l'escòlabus ensem a las autras quatre mainaas de la ruaa.
«A pena arribaa al Becet parlavo pas l'italian - contínua la frema - mas en trabalhant embe lhi Martino ental vir de qualque mes ai emparat. Ai encara qualque problèma embe lo patois; lo parlo pas mas començo a comprene qualque mot. E quora organizon de fèstas embe danças e chançons occitanas m'agrada lhi anar». La familha de Diliana se tròba pas mal al Becet: «son tuchi de bravas personas. Per l'integracion avem pas aguts de dificultats. Mon òme a decò qualqui amís italians, mentre mi, essent que siu sempre aicí al caseifici, ai pus de mal a conóisser la gent d'aicí. Chasquetant lo dator de trabalh de mon òme nos envida a cina en cò siu». Diliana aprecia decò lhi servicis ufèrt da nòstre país: «en passat ai agut qualque malandre - còntia - e a l'espidal me siu sempre trobaa ben. An pas jamai fach diferença entre pacients italians e estrangiers». Autre descors aquel de la maison, de mal trobar dins una pichòta ruaa ente la gent es restia a fitar e sovent preferís laissar la maison vueida. «En realitat nosautri avem pas agut deguna dificultat perque lo titolar Gianfranco nos a trobaa una maison en afit de proprietat di siei parents, que vivon luenh d'aicí».
La familha de Diliana a ben de parents que vivon da pè: «Qualqui cosins iston a Saluces e a Piasc viu ma sòrre. La diamenja sovent lhi anem a trobar». La soleta causa que manca son lhi genitors qu'embe la sòrre de 18 ans son restats a Scutari, en Albania. «Tornem a nòstre país a pauc près un bòt a l'an, de costuma per las vacanças de Desneal, qu'es quora aicí lhi a menc de trabalh. Anem en màquina fins a Brindisi e puei passem a Valona, ente vivon lhi parents de mon òme». Aürosament Kledi sent la vòutz di ieis esquasi tuchi lhi jorns, gràcias a las esquèdas telefònicas prepagaas.
«Nos sem acostumats a viure en montanha - contínua Diliana - e fins a mai d'uvèrn, embe tota la neu que chei, nos agrada aquel espectacle. D'istat puei es belíssim e s'arribem a trobar de temp anem far lo banh en Ligúria, a Savona. Se devesse remarcar un problema, diriu segurament aquel di documents. Mi personalament ai mariat mon òme qu'avia já la carta de setjorn, e com aquò l'ai obtengua d'abòrd decò mi. Mas es capitat a ben de gent, compresa ma sòrre, que son anats a la pòsta a demandar lo permés, an pagat tot çò que chalia e puei lhi documents son arribats après de mes já escaduts. Pr'aquò lhi chal tacar mai dal començament tota la trafila».
Lo futur de Diliana e de sa familha es un mistèri. Lhi desplasaria pas restar a viure en Itàlia, benlèu, confessa, chatant una maison. «Perque mon filh creis aicí, e se contruís sas amicícias». Mas al mesme temp lhi agradaria tornar a son país, ente an la maison e lhi parents pus pròches. «Mas a nòstre país manca de trabalh. E a menc que chambie pas qualquaren..."».
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L'Albania
L'Albania, en albanés "Shquipëria" o ben "país de las aiglas", es un pichòt estat de la penisla balcànica, dins lo sud-est de l'Euròpa, embe una popolacion de a pena 3 milions e 600 mila abitants. Confina a nòrd-oest embe lo Montenègre, a nòrd-est embe lo Kosovo, a est embe la Macedònia e a sud embe la Grècia. Sas còstas s'esguinchon sus la Mar Adriàtica e sus lo Iòni. 
Colònia italiana dal 1939 fins a la fin de la seconda guèrra mondiala après l'invasion de l'armada italiana e a la successiva proclamacion de Vittorio Emanuele III rei d'Albania, dal 1946 al 1990 lo país devenet un estat nacional-comunistas d'emprenta estalinista, mas embe gaire contacts embe lhi autri estats comunistas dal Pacte de Varsàvia, dominat da l'Union Soviética. Lo país foguet guidat de lònja da Enver Hoxha, da la fin de la seconda guerra mondiala fins a sa mòrt, avengua ental 1985. Cinc ans après, en seguia de la chaüta dal mur de Berlin, naisset un moviment de revòlta guidat da lhi estudents e dai professors universitaris de Tirana, al qual man a man s'ajontet la granda part de la popolacion, que portet a la fin dal regime comunista e a l'institucion dal multipartitisme dins lo país. L'Albania es vengua com aquò una república parlamentara. Mas a causa de l'arreiressa econòmica dal país, qu'en cinc ans de cautosas reformas l'agonizant regime comunista orfanèl d'Enver Hoxha era pas arribat dal tot a atenuar, lo país s'aviet vèrs lo desastre. Ental 1990, en senh de protesta enti confronts d'una situacion econòmica desastrosa e d'una mancança de prospectivas per l'entiera nacion, de miliers de personas ocuperon las ambaissada estrangieras a Tirana en demandat asil polític. Lo 3 de lulh dal 1990 lhi premiers sieis albanés arriberon en Itàlia clandestinament a bòrd d'un radèl, seguits d'aquí a pauc da lhi 800 refujats dedins las ambaissadas en Albania. Mas es ental 1991 que comencet lo veritable "exòde": 25 mila personas (second las estimas dal Ministeri de l'Interior) arribaas ai pòrts de Bari, Otranto, Brindisi sus d'embarcacions de fortuna, 21.800 de las qualas restaas en Itàlia e distribuïas dins las vàrias regions. Dins l'avost dal mesme an n'auguet autras 20 mila. Mas aqueste bòt l'actituda de nòstre país chambia: lhi desbarcats venon reclaus dedins l'estadi de Bari e puei rempatriats embe la fòrça. Dins lhi ans a venir, fins al 1997, mesme s'en maniera mai febla contínuon lhi desbarcaments clandestins sus nòstras còstas. Ental 1997 lo pichòt país balcànic precípita já mai dins lo caos: las popularas societats financiàrias albanesas garantias dai mesmes governants, ente tuchi lhi ciutadins butavon lors resparmis possats da la promessa d'auts interès, s'acrason. Un'entiera nacion se tròba a l'emprovís sensa un sòuds, trufaa e sensa degun al qual demandar lo còmpte. De miliers de personas , entre las qualas las fòrças jovas, lhi intellectuals e lo personal qualificat, laisson lo país per rejónher las còstas italianas, possats da la mancança de seguressa, d'institucions eficientas e democràticas, da l'anarquia política e sustot da la desfiança dins la classa política dirigenta. Encuei en Itàlia vivon mai de 400 mila albanés legalament reconoissuts, mai autri 100 mila en via de legalizacion. Se tracta de la tresena nacionalitat estrangiera per numre d'immigrats après la Romania e lo Maròc.