Nelle Alpi del torinese, uno degli esempi di borgo abbandonato e ora riscoperto è Bourcet, complesso di borgate situate nel comune di Roure (TO), in Val Chisone, che vanno dai 1300 m s.l.m. ai 1800 m s.l.m. Il territorio, da sempre via di transito verso la Francia, ha vissuto sin dagli anni ’30 del Novecento uno sviluppo industriale repentino, con l’installazione degli opifici tessili nella bassa valle che hanno favorito l’emergere di una classe operaia e l’inevitabile esodo di famiglie dall’alta valle, come ricorda Renzo Ribetto – di cui si riporta la video-intervista –, che ha dedicato al villaggio il suo amore per la scrittura per la fotografia, con alcune pubblicazioni e numerose immagini scattate in tutte e quattro le stagioni, perché, ripete, la montagna occorre conoscerla a tutto tondo, cosa che non si è fatta negli ultimi sessant'anni.
Renzo Ribetto è un ex guardia parco e da quasi 30 anni lavora al parco del Po cuneese, ora è il responsabile del Servizio di educazione ambientale e responsabile dei Musei del parco, ma vive dove è cresciuto: a Villar Perosa.
Il legame con il territorio, attestato dalla lunga frequentazione delle montagne che attorniano casa sua, l'ha portato a conoscere Bourcet e ad innamorarsene.
Spinto dall'idea di una montagna diversa da quella a cui stava assistendo, fatta di flussi turistici legati al periodo invernale e allo sci, è arrivato nel vallone ignaro del fatto che il nome non si riferisse ad un abitato particolare ma ricomprendesse una serie di borgate anche distanti tra loro.
Le case, la maggior parte aperte, l'hanno stregato in quanto al loro interno vi si può leggere un'infinità di cose: dalla una maestria nella lavorazione delle pietre alla funzionalità degli spazi ma anche l'artigianato degli strumenti della vita quotidiana, il confezionamenti degli indumenti, e poi le scatole e le bottiglie vuote di medicine e di liquori , rimasti laddove sono stati lasciati decenni addietro.
A detta del guardia parco, Bourcet resta un incanto che mai si finirà di leggere e decifrare, ma ciò che resterà è la deturpazione subita dalle case a causa del vandalismo, ennesima violenza dopo la colonizzazione della società di massa, impostasi negli anni '50 del Novecento, che ha cancellato in toto un popolo ed una cultura.
Dopo aver visto e riflettuto a lungo a Bourcet e su Bourcet, la repentinità del "degrado" delle case e il rinselvatichimento dei terreni che scorrevano sotto i suoi occhi l'hanno portato a ragionato su cosa si potesse fare e su come si potesse intervenire. Anche se non è detto che un villaggio debba per forza "salvarsi", poiché può avere un percorso di vita che poeticamente lo porta a morire (dato che le cose belle non sono infinite), se si vuole comunque salvare qualcosa occorre, suggerisce l'intervistato, una scuola di architettura locale dove si insegnano le tecniche di costruzione antiche, come i muri a secco, i serramenti, le serrature e le ringhiere, intervenendo però in ottica moderna con le nuove soluzioni che permettano di vivere agevolmente, quali la coibentazione.
I giovani interessati a questo mestiere potrebbero lavorare anche altrove, perché dotati di un saper-fare prezioso e applicabile in numerosi contesti montani, quelli propensi a trasferirsi in montagna troverebbero impiego sia nel campo dell'agricoltura che in quello del turismo in quanto sono sempre più le persone che visitano tali luoghi: il "nuovo" turismo, tuttavia, dovrebbe essere compatibile con quello che è stato ricostruito nell'ambiente e con la cultura che lo ha animato nel tempo.
La rivitalizzazione dei borghi, dunque, se gestita correttamente, può essere il volano per una nuova economia e terreno per la sperimentazione di soluzioni ecocompatibili.
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