La terra d’Occitania ha serbato fino ad oggi un immenso patrimonio legato semplicemente alla sua lingua, la quale fu la prima, come è risaputo, nata dal latino, ad essere scritta. Una lingua che, voglio ricordare, ha dato vita alla prima letteratura moderna europea, quella che è servita da modello per tutte le altre lingue e che ha trovato dall’inizio una sua forma scritta, una sua forza unitaria.
Non è questo il luogo in cui ripercorrere la storia della nostra lingua di fronte ai colonialismi che hanno impedito la creazione di una lingua e di istituzioni politiche unitarie, ma la ritrovata unitarietà culturale della terra occitana in questi ultimi anni ha fatto crescere un’idea, forse un’utopia: quella di una Nazione, purtroppo senza Stato, di una Nazione culturale.
Il termine Occitania, ben conosciuto fino alla Rivoluzione, ha ritrovato la sua modernità geografica, storica e linguistica. Sfortunatamente ora la nostra lingua, dopo mille anni, si sta perdendo, sta svanendo al sole un processo iniziato a partire dal secolo XVI, quando la nostra terra occitana ha perso definitivamente la sua autonomia. Quelli che gli specialisti della lingua chiamanno gallicismi hanno incominciato a penetrare in Occitania, specie in seguito all’ordinanza di Villers-Cotterêts del 15 agosto del 1539, quando il francese divenne lingua ufficiale della legge e dell’amministrazione francese.
Dimenticata la cultura del Medioevo, quella, per capirsi, dei trovatori, la lingua occitana e caduta nell’umile condizione di, per dirla alla francese, patois, dialetto. Questo termine significa “parlare con le zampe”, con i piedi.
Nelle Valli Occitane abbiamo perso il valore di questo termine e l’impieghiamo tranquillamente per dire che parliamo a nòstra mòda (alla nostra maniera), come si dice in una parte delle valli. Ma il termine patois può indicare qualsiasi parlata naturale del mondo senza dare una precisa indicazione dell’idioma parlato. Perciò “occitano” è l’unico termine che può servire per denominare la nostra lingua, l’unico che renda giustizia a mille anni di storia. Tuttavia a volte non sappiamo la provenienza il nostro vocabolario, la storia delle nostre parole.
Come molti sanno la maggior parte del vocabolario è di origine latina, comune a quasi tutte le lingue romanze. Un’altra parte di esso proviene dal greco, altresì condiviso fra varie lingue. Un’altra parte ancora ci giunge dalle lingue germaniche, da quei popoli che hanno invaso l’impero romano. Resta una forte presenza di termini che provenienti forse dalle lingue parlate nei nostri territori prima dell’arrivo dei romani: lingue di substrato, che condividiamo di norma con lingue anarie, ovvero antiche lingue mediterranee come il ligure, l’etrusco, o lingue arie pre-latine come il gallico o il celtico.
Come si può comprendere siamo davanti a un tesoro lessicale in parte ben conosciuto, ma sul quale i lavori lessicologici di certo non abbondano e di cui insiemi linguistici come l’occitano alpino, chiamato a suo tempo vivaro-alpino, restano mal conosciuti.
Come ha scritto A. Geuljan nel suo Dictionnaire Etymologique de la Langue d’Oc, online, l’occitano “è la sola grande lingua romanza sprovvista di un dizionario etimologico”.
Non vogliamo di certo far concorrenza al lavoro svolto dal professor Geuljan, ma proporre lavori sull’etimologia di parole poco conosciute delle nostre valli e dell’insieme occitano-alpino per giungere, col tempo, alla redazione di un dizionario etimologico dell’occitano alpino.
Comunque sia il nostro dizionario etimologico sarà bilingue, ovvero sarà presente una parte interamente in lingua occitana e una traduzione italiana. Scrivere un dizionario sulla nostra lingua in cui per ogni termine si dà una traduzione in una lingua diversa mi sembra un’azione che va contro lingua stessa.
Pensate a un vocabolario italiano, o francese, o di un’altra lingua in cui la descrizione del lemma avvenga in una lingua diversa. Per l’occitano pare che sia la norma. Il Tresor dóu Felibrige di Mistral, il vocabolario di Alibert così come tutti quelli realizzati in questi anni danno il termine in occitano, ma tutta la descrizione, non soltanto la traduzione, in un’altra lingua, o il francese o l’italiana.
Per fare un altro esempio più recente cito il grande lavoro di lessicografia realizzato da Josiana Ubaud, in cui tutta l’introduzione e la descrizione dell’opera è in francese. Perché un’opera sulla lingua occitana deve essere illustrata servendosi di un’altra lingua? Questi dizionari rientrano nella categoria dei vocabolari “dialettali” al pari dei pochi vocabolari prodotti qui nelle Valli Occitane, normalmente dall’occitano locale all’italiano.
I catalani invece ci mostrano, con i loro dizionari, come si possano redigere dizionari completamente in lingua senza suggestioni linguistiche differenti, come tutte le altre lingue nazionali.
Perciò in questo spazio, in questa rubrica, cercheremo di chiarire l’origine di alcune parole, forse poche conosciute, del nostro vocabolario.
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