Il Monviso è una montagna simbolo, un riferimento senza tempo, visibile da ogni luogo del territorio piemontese, e non solo; probabilmente creduto una divinità per questo suo innalzarsi verso il cielo, punto di contatto tra la terra e l’infinito, metafora dell’ignoto, divinità visibile a cui chiedere protezione, totem per i presagi e le domande esistenziali che l’Umanità di ogni tempo si è posta sul vivere, sul conoscere e sul fine ultimo della vita. Il volume dell’Istituto Superiore di Cultura Alpina di Ostana “Pastori di Montagne Storia delle Guide Alpine del Monviso” racconta la storia degli uomini che, nel tempo, a partire dalla preistoria fino ai giorni nostri, hanno accompagnato le genti attraverso i difficili territori alpini (fig. 1). Un volume bilingue (italiano e inglese) strumento di lavoro e di ricerca per turisti, operatori e ricercatori riguardante i territori delle valli del Monviso.
Il Monviso come suggeriscono Roberto Mantovani in “Monviso: icona della montagna piemontese” ed Enrico Camanni nel suo ultimo volume “La storia delle Alpi” è un sistema montuoso che oggi apprezziamo grazie ai fenomeni erosivi di sottrazione di materiale roccioso dalla piramide geologicamente nata e risalita dalle profondità marine dallo scontro delle placche continentali euroasiatica e africana. Un fenomeno che, iniziato 160 milioni di anni fa, è in continuo, impercettibile mutamento, e che ha delineato l’attuale inconfondibile skiline. Il fondo roccioso di quell’antico mare si trasformò nelle rocce metamorfiche che oggi costituiscono la vetta del Monviso composte da calcescisti e pietre verdi (ofioliti) denominazione data dal geologo Bartolomeo Gastaldi compagno di studi di Quintino Sella durante i rilevamenti geologici degli anni 1874-1875.
Contrariamente a quanto si è sempre creduto, gli ultimi studi su questi territori stanno tratteggiando una storia ben più complessa e articolata di quanto creduto fino ad ora: le Alpi già nel quinto e quarto millennio prima di Cristo erano percorse da popolazioni che hanno lavorato su questi territori alpini in era Neolitica. Proprio in questo periodo di grande trasformazione della società (da una economia della caccia e della raccolta di prodotti spontanei ad un’economia agricola di coltivazione ed allevamento stanziale) nascono attrezzi ed utensili che permettono trasformazioni sensibili dell’ambiente con la conquista di terreni utili alle coltivazioni, agli insediamenti stanziali e al pascolo con l’abbattimento dei boschi planiziali del territorio.
“La Preistoria della valle Po, fino a pochi anni fa era documentata da reperti dall’Età del Ferro, scoperti a Crissolo e incisioni rupestri dell’Età del Bronzo visibili sulle alture di Paesana. Dal 2003 Oncino può esibire sul suo territorio reperti ancora più antichi, riguardanti cave di materiale litico utilizzate dal 5200 a.C. al 4000 a.C. con cui sono state realizzate asce e amuleti scoperti in molti siti archeologici europei, fino a oltre 3000 km di distanza. Attorno alle cave poste dai 1500 ai 2600 m di altitudine esistono gli scarti che gli uomini dell’epoca lasciarono sul terreno per sbozzare manufatti di giadeidite ed eclogite. Al momento queste cave preistoriche di Oncino costituiscono a tutti gli effetti un sito archeologico che non ha equivalenti in tutto l’arco alpino: una emergenza storica e scientifica unica ed irripetibile capace, se ben valorizzata, di cambiare il destino culturale-turistico di un territorio che a volte dimenticato è denso di significativi gioielli storici, culturali, naturalistici”1.
Altro sito di importanza fondamentale per i ritrovamenti attestanti la antica presenza umana sul territorio alpino è quello di Balm’ Chanto (Stanziamento stagionale di pastori cacciatori nei pressi di Roure in val Chisone) scoperto nel 1979 da Franco Bronzat, ricercatore del Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica (CeSMAP). La località fu successivamente studiata, con una serie di sondaggi dal CeSMAP in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Piemonte e con la supervisione di Dario Seglie, Piero Ricchiardi e Renato Nisbet.2
Stupisce la quota a cui si ritrovano i reperti di Oncino e dell’Alta Valle Po, ma non sorprende la qualità dei manufatti se si pensa alle opere ritrovate nella grotta di Chauvet3 nell’altopiano dell’Ardèche datate 37.000 anni fa: opere di moderna, ineguagliabile bellezza ed immediatezza realizzate da antichi artisti capaci di rendere in modo modernissimo (senza fermi fotografici) animali e momenti di vita fondamentali per la loro sopravvivenza ma anche documenti densi di capacità artistiche assolute e impensate (fig. 2).
Fu il mineralogista francese Alexis Damour che nel 1885 ipotizzò che il luogo d’origine delle asce levigate in giada fosse proprio il Monviso; questa affermazione verrà confermata da Secondo Franchi nel 1901, mentre a Dino Delcaro vengono attribuiti, nel 1996, i primi ritrovamenti di blocchi di giadeidite nell’ambito del fiume Po. Fondamentale è la scoperta di due geologi dell’Università di Torino, Franco Rolfo e Roberto Compagnoni, che nel 2003 localizzano sulla Punta Rasciassa (comune di Oncino), a circa 2400 m di quota, il primo giacimento primario (cioè in sede non fluviale) di giadeidite delle Alpi4.
Gli studi di ricercatori del CNRS francese (Progetto JADE del 2006, a cura dell’Agence Nationale de la Recherche e del la Maison des Sciences de l’Homme et de l’Environnement - Université de Franche-Comté e della Soprintendenza Archeologica del Piemonte5) sul gruppo montuoso del Monviso guidati dall’archeologo Pierre Pétrequin individuano i territori compresi nell’alta valle Po (fig. 3), tra la vetta della Rasciassa fino al Pian del Re (comune di Crissolo), dove esistono giacimenti di pietra verde (giadeidite, omfacite, eclogite) che, in era neolitica, veniva lavorata attraverso un’estrazione caratterizzata dal surriscaldamento della roccia e successivo repentino raffreddamento con neve o acqua determinando, attraverso un forte shock termico, le rotture che permettevano la disgregazione del nucleo roccioso in pezzature di dimensioni ridotte, rendendole trasportabili e lavorabili per costruire punte di frecce, monili, e utensili quali raschiatoi, coltelli e asce di diversa dimensione fino alle asce rituali di notevole grandezza (fig.4).
I materiali lavorati, caratterizzati da elevatissima durezza e consistenza, hanno permesso la costruzione di asce affilate e levigate di non comune bellezza attraverso lunghe lavorazioni, prima di sbozzatura e successivamente di accurata levigatura.
La straordinarietà delle scoperte dei ricercatori sta nel fatto che sono stati individuati molti luoghi nell’area del Monviso con il rinvenimento di attrezzi utili alla sbozzatura delle asce che intraprendevano successivamente un lungo e per noi misterioso viaggio, probabilmente della durata di anni, per raggiungere, secondo quando sostengono gli studiosi, l’intera Europa, sconosciuta come continente ma incredibilmente collegata da infinite vie che hanno condotto questi manufatti per migliaia di chilometri dalla Spagna al Portogallo, dall’Inghilterra alla Polonia, dall’Ungheria alla Grecia.
Queste asce rituali dovevano avere un valore inestimabile per l’epoca, erano simboli di potere che si appropriavano di questo valore per la bellezza e la lavorazione assolutamente unica per il tempo e forse si rinnovava con questi oggetti un richiamo di carattere religioso proveniente dalla nostra montagna che agli occhi di quelle popolazioni neolitiche rappresentava un forte riferimento visivo e forse l’incarnazione di una divinità sempre presente, da cui decifrare presagi utili, allora, per sopravvivere a tempi sicuramente non facili (fig. 5).
Ma attraverso quali vie le asce del Monviso sono arrivate in Europa? Probabilmente attraverso i passi che ancora oggi conosciamo: sicuramente esistevano delle sconosciute Guide Alpine, non per scalare le vette ma per incontrare altri uomini, altre genti; uomini capaci di condurre carovane o gruppi di persone attraverso passaggi ardui per superare le Alpi che però non costituivano, già allora, una barriera invalicabile ma erano luogo di comunicazione per rapporti umani, commerci e attività che hanno favorito il Progresso in un’Europa ancora non nata.
2 Tratto da “La Pietra Verde del Monviso” – Centro Studi e Museo di Arte Preistorica (CeSMAP) – Museo Civico di Archeologia e Antropologia di Pinerolo.
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