Autunno: è tempo di tagliare i castagni selvatici della giusta misura e spaccarli in quattro per preparare i nuovi pali da sostituire nei filari in vigna. Attenzione però: Non bisogna riutilizzare quelli vecchi! Un antico adagio riporta che i pali vecchi fanno cantare le cicale. Perché mai faranno cantare le cicale? Forse perché queste si nascondono nelle spaccature del legno vecchio e lì nascoste, in estate, cantano, cantano e stufano ed infastidiscono chi suda e lavora la vigna.
Su e giù per le ripide scale di pietra dei terrazzamenti di vigna, sempre carichi come muli e sempre in compagnia della noiosa canzone delle cicale.Gue-gue-guegue-gue. Forse che non era gradita l’intonazione? Ora le cicale d’estate continuano a cantare ma quasi nessuno lavora più i duri terrazzamenti di vigna. Nessuno pianta più pali ne vecchi ne nuovi. Filalh, éitsafa, autin, tsèina, arpaṙeu ( filare, terrazzamento, terrazzino, catena, sperone) sono nomi che compaiono sul dizionario francoprovenzale locale ma servono soprattutto a linguisti e studiosi, parole bellissime ma parole morte.
Da poco è trascorsa la festività di Ognissanti e pensando a quelli che non ci sono più ho riflettuto anche su quante parole ho perso. Parole che abbiamo perso tutti. Sicuramente non sentiremo più ripetere l’adagio di non piantare pali vecchi ma nel caso dovessimo sentirlo ci giungerà completamente incomprensibile.
Se una lingua esiste, vive e allora può anche morire. Sicuro che il nostro francoprovenzale esiste ancora ma se non lo utilizziamo parlandolo tutti i giorni presto sarà in fin di vita. La lingua vive nel nostro cuore, parlarla vuole anche dire continuare ad esistere. Scrivere di ogni argomento serve a non perdere quello che generazioni intere ci hanno tramandato sulla dura realtà montanara.
Per contro una comunità può vivere sul territorio solo se ha i giusti mezzi di sussistenza, dove non si prospera si abbandona, quando le popolazioni abbandonano il proprio territorio la sopravvivenza della lingua è in forte pericolo, inoltre, la nostra lingua era ad uso di una comunità contadina-montanara e venendo meno la sua funzione resta facile per altre lingue prenderne il posto.
Dall’industrializzazione di massa la vita per le valli di Susa è diventata difficile: chi restava sulle montagne veniva indicato come perdente, incapace e piano piano il sistema ci ha rubato la dignità. Ora tutti hanno capito che non era così ma a quei tempi le montagne sono state abbandonate, l’agricoltura e l’allevamento sono morti. Di seguito da noi sono arrivati “i villeggianti”, turismo, allora guai a mai utilizzare la lingua, il dialetto. In quel modo ti dichiaravi, dimostravi di essere dalla parte sbagliata di essere rimasto indietro. Neanche ora vi è una politica per le genti ed il territorio mai che meno per la lingua. Solo una buona politica sulla montagna, sulla pluriattività permetterà il ritorno alla vita sulle terre alte.
La legge 482/99 è arrivata tardi ma ci sta aiutando, ci ha ridato la dignità rubata e noi non abbiamo perso l’occasione e con ogni mezzo tentiamo di far ricantare le cicale nelle vigne di montagna!
La fine di una lingua non è meramente un problema linguistico ma è un forte segnale di perdita della comunità e chi ha obblighi di governo, specialmente in questa nostra congiuntura europea, dovrebbe accorgersi che se la lingua patisce, di conseguenza patisce lo stato sociale del territorio. Siamo coscienti di come gli stati nazione abbiano trattato le minoranze linguistiche ma ora questa Europa di popoli vede oltre. Tutte le lingue delle Alpi come il francoprovenzale hanno le carte in regola per nuovo vigore.
Normalmente scrivo di getto in francoprovenzale e dopo traduco ma la traduzione è sempre debole ed ingiusta. È la mia lingua madre e non voglio perderla quindi si traduce per divulgare. Sogno, piango e rido nella mia madre lingua ed assolutamente non voglio dimenticare quanti modi di dire conosco per descrivere l’avanzare di una mucca, come salta un vitello o come si mola la falce. Per ricordare questo universo scrivo e racconto le nostre storie, trasmetto i saperi della nostra montagna. Credo però che solamente guardare al passato o parlare della nostra bella lingua ai seminari non basti. Bisogna parlarla, parlarla, scriverla utilizzare i nuovi social per ogni festa ed attività quotidiana. Arrivare alle radio, televisioni, farci sentire!
È raro parlare oggigiorno nei dettagli delle mucche, non racconterò mai a nessuno di come ho fatto nascere il vitello nella notte. Non discuterò del tipo di legno che ho tagliato per fare la base della slitta. Sicuramente parlerò di computer, trekking, canioning o parapendio e non devo avere paura delle contaminazioni linguistiche devo usare la mia lingua per descrivere e vivere il mio presente. Non vedo contaminazione ma evoluzione!
È una grande opportunità per peculiarità turistica, per mantenere la propria cultura e il proprio modo di vivere. In rete i francoprovenzali sono tanti, in rete si perderanno mano a mano le piccole varianti locali ma trovando una ortografia comune, un sistema di scrittura uniformato il francoprovenzale e la nostra montagna avranno la giusta evoluzione.
Allora si! Ci ricorderemo che piantare pali vecchi farà cantare le cicale.
M.Rey Giaglione (TO)
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