Sul numero 96 di Ousitanio Vivo, avevo manifestato il proposito di parlare ancora di toponomastica, di tornar a sfogliare assieme ai gentili lettori le polverose pagine di questo grande libro scritto da mille mani in cui è contenuta la storia dei nostri antenati. Oggi vorrei proporre una rapida carrellata sui contenuti generali della toponomastica di Bellino in cui qualsiasi località delle nostre valli occitane può trovare mille analogie nate dalla nostra comune origine e cultura montanara. Avevamo visto dunque nel n. 96 come i primi remoti toponimi si riferissero ad aspetti caratteristici della tormentata morfologia montana tramandandosi come l'uomo del passato vedeva e descriveva l'ambiente che lo circondava. Ebbene, le forme aggettivali affiancate ai vari sostantivi, appaiono perfettamente appropriate e certamente frutto di un'attenta e  intelligente osservazione.

"Peiro guiò", "Coumbal scur", "Coumbo crozo", "Rocho mariò" e "Peirolonjo" sono solamente alcuni esempi di questa interpretazione della morfologia ambientale come "Sparssiero", "Alo la lento", "L'alier" e "Quiot dei sap" lo sono per quanto riguarda le caratteristiche vegetazionali di molte località. Anche la fauna selvatica, prima, e gli animali domestici poi, contribuirono ad ispirare l'uomo nella continuazione del suo grande album toponomastico: "Gorjo dei loup" e "Balmo de l'ours" ricordano belve ora scomparse, mentre "Bals de l'aiguio" e "Balmo dei neguei" possono ospitare ancora gli animali da cui hanno tratto il nome. Svariate sono le località che con il loro appellattivo ricordano gli animali amici dell'uomo; "Quiot la vacho", "Fouont la chabro" e "Pra de l'aze" rievocano il pascolo o forse soltanto occasionali presenze della bestia nella località mentre il "bals l'aré" si riferisce all'ariete con il suo antico e vero nome ora trasformato in "berou". Da questo primo insieme di toponimi, affiorano l'aspetto fisico del territorio, la flora e la fauna, gli aspetti più evidenti dell'ambiente naturale: l'uomo, e tutto ciò che si collega alla sua esistenza, ne è ancora escluso ma l'accenno agli animali domestici già lascia intuire la sua presenza ancora fugace, ancora incerta come quella dei primi pastori. Sarà la lavorazione delle terre, effettuata da comunità sempre più folte, che introdurrà la presenza umana nella toponomastica montanara e, in questo caso bellinese, e lo farà sfiorando un po' tutti gli aspetti della vita comunitaria.

Interpretando i cento e cento nuovi nomi venuti ad affiancarsi a quelli preesistenti, troviamo folte tracce di stirpi lontane ora estinte o migrate altrove; "Gronjo d'Alais", "Pra Chapel", "Chomp Cezon", "Mas di Bounet" e "Fouont Rou cheto", rievocano antiche famiglie in qualche modo legate alla storia bellinese e destinate a restarvi, immortalate da quelle località che, pur cambiando molte volte proprietario, ne hanno conservato il nome. Stranamente queste famiglie estinte sono ricordate con maggior frequenza di quelle ancora esistenti nel paese per le quali i soprannomi, così comuni a Blins (circa 50 contro 15 cognomi), sovente sostituiscono il casato vero e proprio. Così, accanto a pochi "Pra di Roux", "Gronjo Erchardo", "Ribo Galiano" e "Masdibarnà", antichi casati ancora esistenti, troviamo: "Sparssiero di Abronluc", "Oratori Pasquier", "Cougn di Bardo", "Gronjo di Bessoun", "Rocho Bourbouno", "Pra di Frier" e altri ancora, presumibilmente più recenti in quanto nati allorché il moltiplicarsi di nuclei famigliari omonimi rese necessaria l'introduzione dei soprannomi.

Attraverso i toponimi rivivono altrettanto intensamente molteplici aspetti della vita di queste famiglie montanare. Con "Peiro foulatouno", "Quiot baloour" e "Peiro spaioulà" fugacemente penetriamo nel mondo della magia della diffusa superstizione locale mentre il "Viol" e il "Quiot de la Sarazino",

Propongono eventi lontani avvolti dal mistero. A "Quiot" e "Peiro malomouort", a "Rouchoun de la malo nuech", certamente qualcosa di triste si verificò nel tempo, in quanto il prefisso "malo", ha l'identico significato di quello italiano similare, e densi di avvenimenti altrettanto drammatici, si presentano la "Viò di sooudà", "I comp", "Lou pountet", "la Gardeto" e "la Bataiolo", legati a fatti d'arme nella valle bellinese.

Vi fu un periodo di tempo in cui il bosco era considerato un bene comune prezioso e il suo utilizzo collettivo, coordinato e regolato da precisi statuti comunitari, ubbibidiva a norme severissime. Il diritto di boscheggio, che in diverse circostanze, imposte da. guerre o altre calamità, si esercitava nelle selve più vicine e agibili depauperandone la fustaia, veniva poi vietato in tal sito al ristabilirsi della normalità e svolto nelle zone integre lontane e scomode. La toponomastica ricorda questi regolamenti con "les bandies" o selve interdette, e "les taieisses", località destinate al legnatico mentre le prime si rimboschivano.

Nomi divenuti anacronistici distinguono ancora località ormai appratite, ricordando le coltivazioni che vi si effettuavano; "les chooulieres" e "lou chanabier", erano un tempo, terre produttrici di ortaggi e canapa, sfuggendo ad ogni rotazione agraria in quanto difficilmente sostituibili. Pure le vaste aree fino a trent'anni fa intensamente coltivate a cereali, conservano ancora il vecchio appellativo di "campo": ma l'aratro non traccia più solchi fecondi nel "chomp viei", "chomp la rocho" e "chomp riount", ora verdeggianti di erbe rigogliose che escludono dalle loro specie quelle infestanti dei coltivi.

Ancora, su questi appezzamenti, rivivono nel toponimo, le antiche misure agrarie: "'uminà", "la sesteirà" e la "carteirà" erano grandezze superiori al "trabuc" in uso nell'alta Varacho.

Pochi ruderi invasi da erbacce, lavatoi, abbeveratoi, maceri, canali di irrigazione, colmati dalla vegetazione, testimoniano di un'antico e tenace operare dell'uomo per trasformare l'ambiente a suo favore; al "moulinas", a "l'abeer", al "gourquet", ai "nais", alla "bialiero di Eiguier" e a tante altre senza nome, lo sguardo si posa sui resti, sempre più incerti, di opere rustiche ma ingegnose.

Come abbiamo già visto, la toponomastica fu una creatura dei pastori; pur ampliandosi nel tempo in molteplici aspetti esulanti dal mondo prettamente pastorale, essa ne conserva una profonda traccia che si esprime ricordando la placidità del bestiame, ruminante nel meriggio, a "quiot chooumoour" e a "rugnart", la sfrenatezza delle giovenche a "pra dei burdiet" e il lento rientrare alle stalle di mucche e pecore lungo la "viò des vaches" e la "viò des fëes" risuonanti di campani.

Anche i pastori rivivono nei toponimi, seppur mai menzionati direttamente, e lo fanno con il riferimento alle loro esperienze, ai loro passatempi; "Balmo la reino", dove la mucca più bella e più forte, la "regina", si riparava altera; "Alo de Jacou Michel" e "Viol de Toni Rei", nomi appartenuti ad antichi pastori in cerca dei pascoli più verdi; "Quiot de la poulento freido", reminescenze di un nutrimento francescano e, infine, "Quiot dei balet" e "Quiot de Son Juon" dove l'allegria collettiva prendeva il sopravvento sulla malinconia dei giorni di nebbia e di solitudine per tradursi in balli e "soulestrei", i grandi fuochi accesi sulle alture ad onorare San Giovanni, il santo dei greggi e dei pastori. Accanto ad essi figurano, a dire il vero con uno sparutissimo numero di toponimi, i cacciatori, altri esseri erranti attraverso i pascoli di altitudine: "Fouont Chassaire" e "Tompo dei chamous ferì" sono forse gli unici nomi che si riferiscono agli emuli di Diana. Si potrebbe citare altri esempi ancora, ma quanto detto basta certamente a dare un'idea dell'importanza che viene ad assumere la toponomastica per ripercorrere la storia della nostra terra.