Amleto
S’è spento il brusio. Sono entrato in scena.
Poggiato allo stipite della porta,
vado cogliendo nell’eco lontana
quanto la vita mi riserva.
Un’oscurità notturna mi punta contro
mille binocoli allineati.
Se solo è possibile, abba padre,
allontana questo calice da me.
Amo il tuo ostinato disegno,
e reciterò, d’accordo, questa parte.
Ma ora si sta dando un altro dramma
e per questa volta almeno dispensami.
Ma l’ordine degli atti è già fissato,
e irrimediabile è il viaggio, sino in fondo.
Sono solo, tutto affonda nel farisaismo.
Vivere la vita non è attraversare un campo.
Marzo
Il sole scalda da sudare sette camicie
e intontito s’agita il burrone.
Come quello di una gagliarda mandriana
alla primavera ferve il lavoro fra le mani.
Langue la neve, consunta d’anemia,
in ramificazioni di estenuate vene azzurrine.
Ma fumiga la vita nella stalla delle vacche
e sprizzano di salute i denti dei forconi.
Oh, queste notti, questi giorni e le notti!
Tamburellare del gocciolio a metà del giorno,
deperire dei ghiacciuoli del tetto,
chiacchierio dei rigagnoli insonni!
Tutto è spalancato, la rimessa e la stalla.
I colombi nella neve beccano l’avena,
e, d’ogni cosa vivificatore e imputabile,
odora di fresca aria il letame.
Dichiarazione
La vita è tornata, così senza motivo,
come allora che s’era stranamente interrotta.
E sempre in quella stessa strada antica,
sempre quello stesso giorno d’estate e a quell’ora.
La stessa gente e le ansie, le stesse,
e l’incendio del tramonto ancora acceso:
come allora, contro il muro del Maneggio
la sera di morte l’aveva in fretta inchiodato.
Donne in vesti da poco prezzo, come allora,
a notte strascicano le scarpe.
E poi sul tetto di lamiera,
come allora, le crocifiggono le soffitte.
Ecco lei che a passi stanchi
lentamente si fa sulla soglia,
e risalendo dall’interrato,
taglia di traverso il cortile.
Di nuovo io preparo pretesti,
e di nuovo mi è tutto indifferente.
E la vicina, svoltando all’angolo,
ci lascia l’un l’altro di fronte.
Non piangere, non increspare le labbra tumefatte,
non gremirle di rughe.
Riaprirai le croste già secche
dello sfogo di primavera.
Togli il palmo della mano dal mio petto,
noi siamo cavi sotto tensione.
Attenta, l’uno verso l’altra, ancora
saremo spinti inavvertitamente.
Passeranno gli anni, ti sposerai,
dimenticherai i disornini.
Essere una donna è un grande passo,
fare impazzire è un’eroica impresa.
Pure, io, di fronte al prodigio delle mani di donna,
del dorso e delle spalle e del collo,
con la devozione d’un servo
tutta la mia vita benedico.
Ma per quanto la notte m’incateni
con anelli d’angoscia,
più forte al mondo è la spinta a fuggire
e la passione invita alle rotture.
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