Nel panorama dei lavori linguistici che riguardano la nostra lingua, è uscito recentemente uno studio sull’unità linguistica dell’occitano. Come spiega l’autore, “Si tratta di un tentativo vi volgarizzazione e di identificazione di alcuni tratti propri della nostra lingua. L’obiettivo è di comprendere e di mostrare se esiste davvero un’unità linguistica che si possa esplicitare e presentare in modo fattuale. Questo lavoro è stato svolto al di fuori dell’ambito universitario, ma restando in contatto con linguisti e docenti universitari e cercando di seguire un metodo e dei riferimenti seri. Ho lavorato principalmente a partire dai dati disponibili dai diversi atlanti linguistici che riguardano l’occitano”.
Il lavoro, scritto interamente in lingua occitana, parte da una constatazione tanto amara quanto colma di speranze. Scrive l’autore, all’inizio della sua introduzione: “La nostra lingua, l’occitano, è una lingua minorizzata in pericolo di estinzione, dal momento che patisce una sostituzione integrale da parte del francese. In Francia i locutori sono in forte minoranza, senza diritti linguistici fondamentali all’interno del territorio tradizionale della lingua. Nel passaggio al terzo millennio si vede l’occitano parlato tradizionale disertare definitivamente lo spazio privato e pubblico. La trasmissione familiare si è interrotta in modo massiccio alla metà del XX secolo. Più passa il tempo, più sono isolati i locutori tradizionali, più impiegano ormai quasi esclusivamente la lingua dominante. Nella vita i tutti i giorni, non capita più di udire involontariamente dei locutori esprimersi spontaneamente in occitano. Ciò malgrado, una rete associativa, artistica, istituzionale di nuovi locutori si incarica della lotta per la vitalità e la diffusione della lingua, detto altrimenti “gestione linguistica” dell’occitano. In questo contesto, possono nascere nuove generazioni di occitanofoni, come risultato dell’azione militante in favore dell’occitano. Tali locutori, la cui prima lingua è il francese, si trovano in una situazione di apprendimento più o meno approfondito. Vi si constata ogni tipo di livello di competenza e a volte gradi supplementari di interferenze interne da parte del francese sull’occitano. Nell’ambito della gestione linguistica della lingua e della sua diffusione, si vede facilmente che ci sono nuove persone locutrici che non hanno appreso la lingua in modo adeguato e altre il cui livello resta segnato, provvisoriamente o meno, dal peso del francese”.
Lo studio, molto interessante e accompagnato da carte linguistiche, ci mostra come la lingua occitana abbia conservato una sua unità nel tempo, nelle sue sei varietà dialettali: guascone, linguadociano e provenzale, che formano il sud occitano; limosino, alverniate e vivaro-alpino, che formano il nord occitano. Come ricorda l’autore, “Una classificazione stabilita su basi fonetiche ed in parte morfologiche. A volte lo spazio linguistico di alcuni dialetti corrisponde a quello di antiche province conosciute (guascone, alverniate…), altre volte non è così (viraro-alpino, linguadociano)”. Riguardo alle particolarità del nostro dialetto (inteso come varietà dialettale comune a una macrozona, e non a un particolare valle o pianura che sia), parlato nell’area che dalle nostre valli giunge fino alla regione del Velay, oltre il Rodano, si legge nello studio: “L’occitano vivaro-alpino possiede differenze molto antiche nel suo consonantismo e morfologia verbale. Ma, globalmente, le parlate non presentano un profilo così singolare, rispetto al restante occitano, come il guascone o il nord alverniate”.
La frammetazione dialettale, anche nelle nostre valli, non ha aiutato la formazione di una coscienza comune (ciò che è successo nel Medioevo, quando il trovatore Peire Vidal venne a cantare, naturalmente in lingua d òc, alla corte del signore di Busca o di saluzzo). Ma questa coscienza non è stata soffocata del tutto. Come scrive l’autore, in conclusione del suo lavoro: “Non è che in seguito alla scomparsa in Francia dell’occitano parlato che hanno potuto nascere in modo disinibito discorsi che presentano tale lingua come una moltiplicità di «lingue d’oc» separate. Si vede emergere un feticismo del particolarismo nella lingua dominata il quale non è che lo specchio del feticismo della norma centralista nella lingua dominante. Il più delle volte l’obiettivo più o meno confessato di tali discorsi e frammentazioni, quando non sono semplici espressioni di una comoda ignoranza, è la squalificazione dell’opera di rivitalizzazione di una lingua minorizzata ma non ancora strangolata del tutto. ...Pare importante mettere in questione la presentazione assai automatica dell’occitano in termini di «dialetti». I dialetti, o varietà, sono delle caselle classificatorie che la descrizione linguistica stabilisce a posteriori su basi per lo più fonetiche e a volte morfologiche, permettendo di connettere fra loro le aree di variazione all’interno della lingua. Diffidiamo di essenzializzarli. Ci esprimiamo in primo luogo in lingua occitana quando ci esprimiamo in qualsiasi parlata dello spazio di lingua d’oc”.
Dunque non bisogna avvilirsi. Se è vero che in Francia, ben di più che al di qua della catena delle Alpi, la lingua ha subito un forte arretramento e a volte ha visto la sua scomparsa (risultato del continuo e meticoloso sforzo fatto dallo stato francese nel corso del tempo), le nuove generazioni possono dare un nuovo impulso alla rinascita di una coscienza comune. L’unità della lingua esiste, bisogna solo iniziare nuovamente a parlarla, in modo naturale, in primo luogo ai bambini, consapevoli del valore della sua cultura. Come diceva Mistral, “Deis Aups ai Pirenèus, e la man dins la man, Trobaire, auborem donc lo vièlh parlar roman!”. Mistral non era un sognatore e questo passo, tratto dall’opera “I trobaires catalans”, è un incoraggiamento a lavorare in tale direzione. Per fare eco alle parole del poeta, si potrebbe scomodare il trovatore Arnaut de Maruelh, che nel XII secolo cantava questi versi: “Godo del vento che spira ad aprile / prima dell’arrivo di maggio, / e per tutta la notte serena / gorgheggia l’usignolo con la gazza; / ogni uccello nel suo dialetto, / nella freschezza del mattino, / emana gioia e delizia, ora ch’è con la sua compagna. / E poiché ogni cosa terrena / si rallegra al nascer delle foglie, / non riesco a cessare il ricordo / d’un amore per cui sono felice; / per natura e costume / mi capita di gioire / quando spira il dolce vento / che mi riscuote così il cuore”. Capita di gioire, quando si sente la propria lingua.
Ringraziamo di cuore Quentin Peyras per averci fatto dono di questo importante lavoro di divulgazione a beneficio di tutto il mondo occitano e occitanista. Troverete lo studio, intitolato Quauques aspèctes lingüistics de l'unitat de la lenga occitana, seguendo questo link google drive:
https://drive.google.com/file/d/1tx1BBKxEpyc_A5MvZLS5PHYIlqsHp6h0/view
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