Leggendo il libro della prof.ssa Monica Longobardi, Viaggio in Occitania, rimasi affascinata dalla descrizione del paesaggio armonico e bucolico della Provenza, che mi fece tornare in mente un ambiente simile descritto da un autore romeno, Ion Budai-Deleanu, a me particolarmente caro fin dai tempi del liceo classico frequentato 30 anni fa in Romania, a Craiova. La Natura che trova incarnazione in un essere, il dio Pan, il mondo incantato, la mitologia, gli esseri diabolici (come il satiro), i luoghi paludosi, gli spiriti del territorio, la poetica degli elementi naturali e degli spazi sono alcuni aspetti che mi spinsero a riflettere in chiave quasi comparatistica cercando similitudini tra le letterature romanze. Alcuni di questi tratti si rintracciano nella mia tesi magistrale, fondata sullo studio degli aspetti della cultura magica degli Zingari come presentati nel poema eroicomico Ţiganiada sau Tabăra ţiganilor (Zingareide o l’Accampamento degli zingari) di Ion Budai-Deleanu (1760-1820). L’autore, oltre ad essere uno scrittore di cultura enciclopedica, laureato in filosofia, teologia e diritto, scrisse opere di carattere letterario, linguistico, storico, giuridico e pedagogico. Conobbe la cultura classica e le lingue straniere del tempo: il tedesco (realizzò il primo Vocabolario tedesco-romeno), il polacco, l’ungherese, il francese, l’italiano e il latino. Fu uno dei principali esponenti della Scuola latinista di Transilvania e contribuì al rinnovamento della cultura filosofica, storica e linguistica romena sostenendo la tesi della latinità del popolo romeno e militando per il risveglio della coscienza nazionale. Dato che il titolo del poema rimanda all’etimologia «țigan» (zingaro) ed è il vocabolo utilizzato da Budai-Deleanu, si verifica la necessità di adottarlo. Troveremo il temine «Zingaro» solo in riferimento al contesto letterario, per rispettare la scelta dell’autore.
Questo lavoro è un itinerario alla scoperta del magico in un’opera unica nel suo genere scritta agli inizi dell’Ottocento nel territorio romeno ancora impregnato dell’arretratezza medievale, un mondo che, per certi versi, fu intriso di superstizioni e di magia. Tale retaggio culturale in quest’opera viene addossato alla comunità degli Zingari insediata nei tre paesi romeni (Valacchia, Moldavia e Transilvania) tra il XV e il XVIII secolo. In questo studio conosceremo la vita degli Zingari dalle loro origini nei Principati romeni, alla lingua parlata, alle usanze e ai loro costumi, e nell’imbarazzo più totale, con empatia profonda, parlerò anche di uno dei periodi più bui della loro storia, la schiavitù.
Nella necessità di avere un espediente narrativo per scrivere un’epopea comica in una lingua noao (nuova), l’autore scelse la comunità degli Zingari per dar voce ai propri pensieri (le digressioni sono tante, a volte dotte, a volte comiche o ironiche, principalmente inserite nel paratesto ricco dell’opera). L’autore utilizzò l’immagine della comunità zingara per creare un intreccio fatto di storia, di immaginario collettivo della comunità, di magia e superstizioni, di tradizioni ancestrali ma anche di concetti filosofici (ebbe interesse per la cultura massonica). Come affermò il poeta stesso, attraverso la comunità zingara, in senso metaforico vedeva il popolo romeno e la sua incapacità di evolversi in quel periodo storico. I preconcetti della società romena e la realtà conosciuta dall’autore fin dalla sua infanzia contribuirono al quadro descrittivo degli Zingari. Nel paese nativo, nel distretto di Hunedoara, la comunità Zingara fu abbastanza numerosa e il poeta, figlio di un prete trascorse molto tempo in compagnia dei bambini zingari, fatto che gli permise una profonda conoscenza della comunità. Li vediamo in una posizione sociale periferica, probabilmente un retaggio della loro condizione di schiavitù per secoli. Questa comunità viene presentata in un alone di mistero, in parte dovuto ai libri e agli articoli che attribuirono facilmente la parola ‘misterioso’ al loro nome, e in parte dovuto anche alla mancanza di contributi storici che li vedano come protagonisti o attori della storia (sono presenti nelle fonti non come attori bensì come comparse). Gli intellettuali del XVIII secolo evitarono l’argomento per un discorso di immagine e coltivarono principalmente il sentimento nazionale. Parlare degli Zingari, praticanti di mestieri «infamanti e impuri» (come boia, accalappiacani o carcerieri) o della schiavitù degli Zingari non rappresentò affatto un motivo di orgoglio nazionale (il primo contributo di scrittura romena consacrato agli Zingari viene dato da Mihail Kogălniceanu (1837), uno studio arrivato tardi, dopo la scrittura della Zingareide).
Ion Budai-Deleanu fece invece un passo in avanti e scrisse in prima persona plurale, identificandosi con la comunità zingara. Questo aspetto genera confusione nei lettori e negli studiosi, nonostante i chiarimenti che troviamo nelle Note dell’opera, in quanto lascia pensare che sia di origine gitana, ma contestualizzando il suo discorso si comprende ‘un identificarsi per identificare’ la comunità stessa senza incappare nel pregiudizio («la nostra razza gitana provenga dall’Egitto…», «noi siamo originari dell’India…»
In ultimo che, essendo io zingaro come te, ho ritenuto opera commendevole scrivere per i nostri zingari, perché comprendano quale sorta di antenati abbiano avuto e imparino a non commettere forse anche loro di tali follie, ove mai gli accada di finire in una situazione simile. Invero, avrei potuto ficcarvi molte menzogne, lodando gli zingari e inventando imprese che non hanno compiuto, come fanno oggi gli storici di talune nazioni, i quali, quando scrivono delle origini della propria gente, risalgono fino a Dio e inventano sempre gesta straordinarie. Ma io amo la verità.
Gli Zingari sicuramente furono noti per la loro simpatia, perciò, questo fatto diede all’autore la possibilità di disegnare un quadro divertente, a dispetto dei pregiudizi e degli stereotipi sul loro comportamento. L’autore critica la pigrizia, la codardia e la sottomissione cieca e li fa oggetto di satira, ma anche le istituzioni statali e le ordinanze feudali incolpando la loro passività. La desolazione dell’epoca presente (probabilmente anche motivo del suo auto-esilio) e il mitico splendore del regno del voivoda Vlad III, il principe noto con l’appellativo di Ţepeş, l’Impalatore, sono aspetti che Budai-Deleanu contestualizzò nella realtà storica, socioculturale, politica, religiosa ed etnica del XVIII secolo. Per dare credibilità alla sua narrazione, Ion Budai-Deleanu utilizzò l’artificio del manoscritto ritrovato raccontando che il libro sarebbe stato rinvenuto nel monastero transilvano di Cioara.
La Zingareide si struttura su vari piani di lettura: sul piano storico vi è la lotta di Vlad l’Impalatore e dell’esercito romeno contro i Turchi; sul piano allegorico la falsa lotta degli Zingari con i Turchi mentre, a livello mitico leggiamo della lotta tra gli angeli e i demoni, i primi aiutano Vlad l’Impalatore e i romeni, i secondi istigano gli Zingari e sostengono i Turchi.
La mia tesi si concentra maggiormente sul piano allegorico e sul piano mitico. Vedremo come gli Zingari assimilarono dalla tradizione popolare romena una serie di superstizioni e comportamenti che metabolizzarono mescolandoli con la loro sapienza: le superstizioni fondate sulla fertilità, l’esorcismo delle malattie intese come demoni che possono trasferirsi negli animali, e la magia in alcune delle sue forme. Questi venivano spesso chiamati dalla popolazione locale per fare scongiuri proprio perché vivevano nella paura di essere circondati da intere legioni di diavoli, streghe o folletti. Parlare dei loro rituali magici e di alcuni elementi che riconducono agli eventi descritti nell’opera ha una doppia valenza: da un lato sfociano nel lirismo dello scrittore calibrato sulla magia erotica, demonomagia e farmacopea magica, dall’altro lato portano ad una riflessione etico – morale. L’ossessione iniziatica del XVIII secolo era tipica della cultura europea, lo scrittore romeno ne è stato influenzato a tal punto da aderire ad organizzazioni massoniche (sul manoscritto è presente un simbolo massonico disegnato a mano). Questi aspetti, anche se non inseriscono l’opera nel filone dei ‘libri iniziatici’, vista la cultura esoterica di Budai-Deleanu e i numerosi simboli del miracoloso magico presenti nella Zingareide sono sufficienti per avviare un percorso di ricerca sui significati nascosti all’occhio comune. Oggi invece, questo argomento - l’aspetto della magia degli Zingari nella Zingareide - non è stato ancora approfondito dagli studiosi della letteratura romena. Ad esempio, Ion Urcan, Mihai Zamfir o I. Em. Petrescu trattano tangenzialmente alcuni aspetti, ma nessuno di essi si sofferma sull’aspetto dei simboli magici presenti nella Zingareide. Questo studio rappresenta la parte originale della mia tesi.
Se la critica letteraria si è concentrata maggiormente sull’aspetto storico, letterario o teologico dell’opera, pochi lavori analizzano l’aspetto allegorico della Zingareide, mentre l’aspetto magico non ha sviluppato studi in tal senso. A mio avviso, questo è dovuto anche al fatto che per molti decenni l’autorità comunista della Romania non ha permesso le ricerche nell’orizzonte culturale dell’élite romena e delle opere che non rientravano nei canoni politici del regime. La religione, la magia, il mistero vennero proibiti dal partito, perciò, gli studi importanti furono portati avanti dagli scrittori in esilio o stabiliti all’estero (ad esempio Mircea Eliade o Ion Petru Culiano: Eros e magia nel Rinascimento).
Ringrazio sentitamente la Prof.ssa Monica Longobardi per avermi accompagnata e guidata nell’approfondimento degli aspetti del magico in un unicum della letteratura romena, per avermi trasmesso la passione e l’entusiasmo necessari affinché la tesi prendesse forma. Ringrazio inoltre Ines Cavalcanti e l’Associazione Chambra d’òc per avermi offerto la possibilità di pubblicare e condividere il mio elaborato. Il mio augurio è che questo lavoro aiuti a superare i preconcetti sugli Zingari (ormai antichi) visti come vagabondi, arrivati dal lontano Oriente, accompagnati dalle loro superstizioni e dall’odore delle loro spezie, parlanti una lingua incomprensibile, emarginati da una società che non ha dato spazio al diverso rendendoli schiavi e costringendoli all’ emarginazione.
A questo popolo, agli Zingari, dedico la mia poesia:
L’indovina
Chiudo gli occhi,
Li vedo ballare
Al crepuscolo,
Con musica suonare.
Vedo bambini
Che corrono scalzi
Lungo i campi
Senza imbarazzi.
Una zingara
Davanti al fuoco
Stende le carte
E legge il ghioco1.
Vede il futuro
Indovina il passato
Del suo popolo
Assai calpestato.
I dolori pesanti,
Piedi sanguinanti
Improntano il solco
Nel loro cammino
Sotto il peso,
tenendosi stretto
Il bambino.
Scappa.
Inciampa.
Punita a sangue.
«Ancora due frustate!»
Si sente la voce pesante.
«Ha rubato la gallina!»
«Sì, è lei…la Zingara con la bambina!»
(Flavia Mitran, 11.11.2020)
1 Conchiglia
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