Erano tutti lì, immobili, uomini e donne, fieri guerrieri, pastori, preti, ruffiane, mercanti. La città era cieca di paura. Non osavano volgere lo sguardo verso il mare.
Il mare, poc'anzi tremolante nel soffio di un dolce venticello. Come uno specchio di piombo sotto il gran sole. Poiché il dio stava lí, davanti al porto, enorme, terribile, il suo petto coperto d'alghe, la sua barba di corallo e di schiuma, la sua faccia spaventosa lontano sù nel cielo. Che nessuno aveva osato levare gli occhi per scorgerla, per affrontare la profondità di quello sguardo più spaventevole che gli abissi del mare. E nella sua mano quell'immensa forca a tre punte, che si rizzava sù nello spietato blu del cielo. Poseidone. Il rabbioso Poseidone si era piantato lì, di fronte alla piccola graziosa città dai lucenti colonnati di marmo, dei suoi templi, del suo agorà. Triremi e piccole barche erano attraccate. Nessuno osava muoversi. Il caldo opprimente, lo stupore, la paura. Cosa fare?
Gli anziani della città, con le loro barbe bianche, erano andati a vedere il filosofo nella sua piccola dimora. Egli, seduto al suolo, non rispondeva, facendo girare dei dadi nella sua mano.
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Cos'è, disse infine, che può soddisfare un dio, placare la sua ferocia?
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È per saperlo che siamo venuti da te.
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Gli dei non si nutrono di carne né di frutti. Oro o argento, cìo non è nulla per essi. Si nutrono di assoluto, di bellezza, d'infinito. Poseidone si nutre dell'infinità del mare.
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Dunque?
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Dunque bisogna offrigli un'altra visione d'infinita bellezza. Così perfetta che ne sarà per sempre sazio.
Un enigma. Come c'era da attendersi dal filosofo, allievo del grande Eraclito d'Efeso, aveva risposto alla loro sconsolata domanda con un enigma. Né che le sue parole tagliassero come un coltello affilato. E lì per lì non avevano saputo cosa dire, erano usciti. Ora all'ombra dei colonnati dell'agorà, discutevano. Si percepiva fra il cielo ed essi quell'ombra immensa che oscurava l'orizzonte e che non osavano guardare. Ma che riempiva le loro menti. È vero, la risposta del saggio non era chiara, Bisognava tornare.
Ripresero il cammino che conduceva alla dimora del filosofo, in cima alla città alta. Lo trovarono come prima. Seduto nella sabbia polverosa, di fianco alla porta, con dei dadi nella mano, assorto nei suoi pensieri. Lo salutarono nuovamente e nuovamente lo interrogarono. Per egli, tuttavia, tutto era chiaro. Cos'è la bellezza? Certamente, un attributo divino di cui in questo mondo non si vedono che pallidi riflessi. Ma ciascuno sa dove s'incarna con più forza, dove preserva quasi una tonalità divina? Finirono per comprendere. Ridiscesero verso l'agorà. Nelle loro tuniche bianche splendenti nel sole, uno dopo l'altro, lungo il sentiero tortuoso, chiedendosi oltretutto se il saluto del filosofo al momento del loro congedo fosse scherno o semplice constatazione. Aveva detto loro che erano un pò lenti di comprendonio, che eppure tutto ciò era chiaro come l'acqua.
Ma ora avevano capito.
Secondo le parole del filosofo, radunarono le donne della città. Tutte. Giovani, spose, madri vecchie e madri giovani. Le fecero tutte spogliare e in un immenso corteo, coperte di corone di fiori, profumate, discesero cantando la strada finemente lastricata fra i colonnati di marmo e le statue maestose. Fino alla riva. E dolcemente, s'immersero nel mare. Il dio era ancora lì, terribile, teso in un gesto d'incommensurabile rabbia. Immobile nel grande silenzio. La sua faccia sembrava riflettere tutto il furore delle tempeste. E il mare sotto il sole era così basso e calmo. Brillava blu, come argento fuso. Le donne presero a danzare attorno all'immensa, spaventosa visione un'elegante farandola acquatica, nuotando, cantando in coro strofe omeriche. Un meraviglioso sogno incantevole, tutta la dolcezza della vita. Più commovente, più bello di ogni sogno.
Quanto tempo si protrasse la farandola? Quanto tempo echeggiarono sul mare piatto i bei sogni di dolcezza innamorata?
Il dio stava immobile.
Ma a poco a poco qualcosa stava accadendo. Il suo viso diventava più dolce. Il furore lo abbandonava. La bellezza e l'incantevole dolcezza di quella scena l'avevano colpito. La sua faccia superba e tempestosa ora pareva quasi umana. Alcuni dicono che si potè intravedere una specie di triste e dolce sorriso sulla sua grande bocca. E all'angolo dei suoi occhi d'immensità abissale, il luccichio, forse, di una lacrima. La bellezza e la dolcezza avevano calmato la tempesta. Le donne avevano salvato la città.
Il dio, d'un tratto, era scomparso. Il mare era in bassa marea. Un venticello sopraggiunse e lo fece lievemente increspare .
Le navi potevano riprendere il mare.
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