Con grande nostra gioia in questi giorni ha visto la luce delle stampe il lavoro del caro amico Gianni Castagneri, sindaco di Balme: “Tin-te drèta!”, vocabolario della parlata francoprovenzale di Balme, Atene del Canavese Editore. Diversi mesi fa, lui stesso mi aveva confidato di essere praticamente pronto a far uscire il suo dizionario, dopo anni di fatiche e non solo nel lavoro di ricerca, ma anche nella difficoltà di trovare una casa editrice.
Questo lavoro infatti inizia una decina di anni fa, quando Gianni, raccogliendo l’eredità di Angelo Castagneri, ha deciso di completare il vocabolario di francoprovenzale della parlata di Balme. Ma non si tratta di un vocabolario “classico”: al suo interno, ben 256 pagine, si trovano non solo lemmi, ma anche una bella raccolta di oltre 33 fotografie storiche, riferimenti a fatti storici che hanno riguardato la comunità e aneddoti.
“Quest’opera è il frutto dell’ascolto dei pochi abitanti ancora parlanti, di un’analisi tra piccole differenze di pronuncia a volte appena percettibili” dice Gianni “il vocabolario costituisce un’opportunità per avvicinare le generazioni del passato con quelle che giungeranno”.
Perché fare un vocabolario nel 2021 di una lingua di minoranza storica? Gianni risponde con semplicità “è pensato e rivolto a chi verrà dopo di noi, a coloro che non avranno avuto la possibilità di parlare o anche solo ascoltare questi suoni, ma grazie a queste trascrizioni, potranno ricostruirli con sufficiente precisione”.
“Lou parlà barménc”, “lou parlà a nòsta moda”, la lingua secolare trasmessa oralmente e che mai ha trovato posto negli atti ufficiali, oggi ha trovato legittimità in questo vocabolario. Una lingua di racconti, di canti, di fatiche quotidiane, sempre parlata e scritta raramente su pezzetti di carta o incisa sulle rocce, oggi vanta il suo dizionario: la rivalsa delle lingue madri “di quelle generazioni che sono cresciute pensando che parlare la propria lingua materna fosse sbagliato”. Un vocabolario si oppone all’abbandono del dialetto, al senso di solitudine, di malinconia, di vecchio, a quella percezione del patois come ostacolo alla vita “moderna” dei giovani valligiani. Un vocabolario che afferma nero su bianco, con le sue parole scritte su carta l’orgoglio di una lingua che non è morta, anzi di una lingua che nell’ultimo decennio, è stata rivalutata, sostenuta, fino a diventare, in alcuni casi, motivo di vanto.
Gianni conclude la nostra chiacchierata sottolineando come “questo vocabolario non rappresenta la definitiva consacrazione del barménc: sono infatti consapevole che i lettori più attenti troveranno lacune e carenze. Tuttavia il mio obiettivo era creare la base per ulteriori studi, annotazioni e integrazioni. Quindi questo non è un punto di arrivo, ma la base per altre ricerche così da fornire alle nuove generazioni di barménc un quadro sempre più completo dell’espressione viva dei propri avi”.
commenta