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Nelle nebbiose giornate d'autunno. precorrendo il sentiero che da S. Ilario conduce alle borgate più a monte, si prova una sensazione di disorientamento e di disagio nel penetrare in un mondo silenzioso e nel rompere il muro di nebbie che racchiude come in un incantesimo alberi spogli e case abbandonate alla loro fine. Accompagnati dal discreto fruscio delle foglie secche si oltrepassa “lu gir d'Ia valla” proseguendo su di un sentiero tormentato in cui appaiono di tanto in tanto gli alberi abbattuti dal vento, massi trasportati dall'acqua e crepe profonde provocate dall'erosione delle pioggia troppo abbondanti di questa primavera, Dopo un chilo­metro di salita lungo lo stesso sen­tiero si raggiunge la borgata “Bigat”. Per collegare questa borgata con S. lia­rio alcuni anni fa vennero iniziati i lavori per l'apertura di una strada. (Si lavorò un inverno poi l'opera venne interrotta).

A-darci il benvenuto è uno stanco pilone votivo dedicato alla Madonna con Gesù Bambino, fatto costruire nel 1903 da Allisio Giacomo e fratelli Bigat. Poco distante dal pilone i resti de “lu gurc d'Ia bestio » la vecchia fontana in pietra alimentata da una sorgente locale che fornì l'acqua alla borgata fino al 1960 circa, epoca in cui venne costruito l'acquedotto che preleva l'acqua da una sorgente della “Gaido” e che serve anche le borgate la Meiro e Canavu.

Sentendo il rumore dell'acqua della fontana cresce la speranza di incontrare qualcuno, invece ci appare Moto in altro pilone votivo, dedicato a San Giuseppe con Gesù Bambino, fatto costruire da Allisio Giuseppe Bigat. An­che questo pilone sembra sgretolarsi nella sua inutile solitudine attendendo rassegnato la sua fine.

Poco distante troviamo le case di “Bigat” che appartengono alle famiglie: Peirasso Bestia, Allisio Giuseppe Bigat, Allisio Giacomo Bigat residente in Francia e che ogni estate vi fa ritorno per trascorrervi alcuni giorni di ferie; altre costruzioni sono adibite a fienili e alcune appartengono a Aimar Alfredo Meira.

Uscendo da Bigat e proseguendo per circa duecento metri lungo il sentiero che si snoda pianeggiante rag­giungiamo la borgata “La Meiro”. Custode silenzioso della borgata è un altro pilone dedicato alla Madonna fatto costruire da Aimar Andrea Barot. Poco lontano troviamo la fon­tana, testarda alleata del forno, anco­ra in buone condizioni, che sembrano decisi a sfidare il tempo che sta len­tamente sgretolando anche le altre case della borgata appartenenti ad Aimar Giuseppe Giulumin, Aimar Al­fredo Meira, Barreri Giacomo Malur, Serre Boda Aimar Giuseppe Zozò e infine l'ultima di Aimar Dimeno Giulumin.

Davanti la casa di proprietà comune di Meira e Giulumin sgorga una fontana, che nasce nella “croto”; fon­tana che dissetò la borgata prima della costruzione dell'acquedotto, men­tre durante i periodi di siccità si ricorreva ad una biaiera che prelevava l'acqua dal “biaiot de Canavu” (Gola del Mulino).

Poco lontano da La Meiro troviamo “P'tou” due case soltanto, di Peiretti Andrea Vireno ed ora della famiglia Allisio Giuseppe Bigat. Ora il silenzio sembra fattosi ancora più profondo; cresce anche il disagio e la sensazione di paura e tornano alla mente tutte quelie vecchie e consumate sto­rie delle “masche” che molti di noi hanno sentito raccontare nelle stalle durante le sere invernali. Ed è quasi inconsciamente, forse colpa di questa atmosfera, che torna alla mente la storia di “Bunettin”.

Vi si arriva percorrendo una ripida “dra” che sale da P'tou fino ad una casa chiamata appunto Bunettin situata tra Bunet e la Gaido. Bunettin adesso non esiste più, sono rimaste soltanto alcune macerie e su di esso si racconta una storia popolare secondo cui anni addietro i suoi proprietari decidessero di farla restaurare de due muratori. Pare che costoro aves­sero trovato in un pilastro della casa “la topino” (il tesoro), e se ne andessero senza più ultimare l'opera di restauro e “Bunettin è ancà da fa oeiro”

Lasciamo P'tou al suo mondo di ricordi e riprendiamo il sentiero. sempre più dissestato, e raggiungiamo “Canavu”. Prima di inoltrarci in quel­lo che fino ad alcuni anni fa era iI centro abitato ci imbattiamo nei resti dei due “gurc” della borgata: uno alimentato da una fontana che sgorga li vicino. dove le donne lavavano, e l'altro alimentato dal bialot, dove ve­nivano abbeverate le mucche. Tutt'intorno il terreno è “uno sagno”, con numerosi “tumpl” dove l'acqua non gelava, e veniva messa a macerare la canapa per ricavarne la rissa. Accompagnati dallo scrosciare solitario dell'acqua del bialot abbandoniamo il sentiero che sale ancora più a monte e seguiamo quello che ci porta a Canavu. I prati circostanti sono tutti recintatl per proteggerli dal­le scorribande delle mucche che pasavano di Ii per raggiungere l'abbeveratoio. Quarda cura e amore per la propria terra anche cosi dura da col­tivare o tanto avara, come tutta la terra di Oncino. Eppure tutti i ciot intorno a Canavu corne a Bigat e la Meiro erano coltivati a patate, segale e rape.

Entriamo in Canavu e troviamo le case delle famiglie Odetto Magnanno Canavu, Odetto Giuseppe Cenavu, Odetto Giuseppe Pingianno e Odetto Giacomo Canavu, la fontana dell'ac­quedotto della Gaido e il forno diroccato.

Le famiglie se ne sono andate e sono rimaste soltanto le case, tante case, tutte disabitate e legate tra di loro da un profondo silenzio profanato soltanto dal canto del biaiot. Proprietarie assolute della borgata sono le ortiche, che ogni anno più indi­screte, invadono avide sentieri, cor­tili, campi e case Sembra quasi che siano le ultime alleate delle borgate vuote, sembra quasi che vogliano creare un muro ostile contro chi non è del luogo, per impedirgli di penerare ire quel mondo di ricordi e cose vecchie, alla ricerca di qualcosa che ancora il tempo non ha distrutto. (E' stato possibile redigere questo articolo grazie alla fattiva collabora­zione di Aimar Giuseppe Giulumin, a cui vanno i nostri più sinceri ringra­ziamenti).

Peiretti Rosina Ghi