In una riunione dell'Escolo dòu Po tenuta in Coumboscuro nel gennaio '71 venne prospettata dalla maggior parte dei partecipanti la necessità di procedere allo studio di eventuali modifiche da apportare alla grafia usata per la trascrizione dei dialetti occitani delle nostre Valli.
A questo scopo fu nominata una Commissione composta da tre docenti universitari di materie linguistiche (prof.ri Giuliano Gasca-Queirazza, Corrado Grassi, Arturo Genre) e da alcuni valligiani (Antonio Bodrero, Sergio Ottonelli e Gianpiero Boschero per la Val Varaita, Sergio Arneodo per la Val Grana, Beppe Rosso per la Valle Stura), che nel corso di varie sedute di lavoro, tenute presso l'Istituto dell'Atlante Linguistico Italiano, elaborò il progetto che ora pubblichiamo. Ai lavori di questa Commissione parteciparono diversi altri rappresentanti delle Valli, fra i quali ricordiamo: Attilio Joannas (Valle di Susa), Ezio Martin, Remigio Bermond e Franco Bronzat (Val Chisone), Giuseppe Dho (Valle Po).
Questa progetto, presentato da A.Genre ed approvato dalla Commissione al termine dei suoi lavori (iniziati nella primavera del '71 e conclusi all'inizio del '72) è già apparso sul n.44 di Coumboscuro (giugno '72). Crediamo di far cosa utile nel ripubblicarlo in questa sede per far conoscer, anche ai lettori del Soulestrelh i risultati del lavoro. Allo scopo di chiarire o completare il testo apparso in Coumboscuro si sono qui apportate alcune modifiche.
Arturo Genre, Jan Peire Boschero
Nello svolgimento del suo lavoro la Commissione si è attenuta in particolare ai seguenti criteri:
1)costituzione di un sistema grafico di segni in grado di servire alla trascrizione di tutte le parlate provenzaleggianti delle Valli alpine del Piemonte, tale che ogni suono, in una data posizione, sia rappresentato da un solo segno (che può essere formato anche da più di una lettera: v. più avanti);
2)rinuncia, nella scelta dei segni, a qualsiasi criterio etimologico, così come negli esempi: soulei - (SOLICULUS), sinc - (QUINQUE), sino - (COENA), eisam - (EXAMEN), maso - (MA TEA), faiso - (FASCIA), dove consonanti e gruppi consonantici diversi nella matrice latina vengono trascritti con un segno unico (s) che rappresenta l'esito attuale;
3)adozione di una grafia di tipo fonematico piuttosto che fonetico, che tenga conto cioè dei suoni aventi carattere distintivo all'interno dei vari sistemi delle nostre Valli, ma non delle sfumature che caratterizzano le loro diverse realizzazioni foniche. Non occorre per esempio indicare l'eventuale apertura di u o la pronuncia velare di r, ecc., poiché nelle singole parlate non esiste un'opposizione fonematica tra u e u aperta, r alveolo-dentale e r velare, ecc., vale a dire non si dà caso caso di parole che si distinguano tra di loro nel significato per avere, una la u normale (media) e l'altra la u aperta (fermi restando gli altri elementi), ecc.;
4)assunzione della grafia mistraliana come base di lavoro, con la riserva di modificarla e di arricchirla là dove essa sia insufficiente o inadeguata a rappresentare il maggior numero di fonemi presenti in quest'area;
5)rinuncia all'adozione di segni che non siano presenti fra i caratteri di una comune macchina da scrivere, questo per evidenti motivi pratici;
6)rinuncia alla creazione di qualsiasi tipo di "coinè" dialettale, nel rispetto e per la salvaguardia di tutte le varietà in uso, anche quando siano rappresentate da un numero minimo di parlanti.
Nell'uso letterario si ammette la possibilità, quando allo scrivente manchi una parola, di ricorrere ai dialetti circonvicini, poi ai dialetti occitanici in genere, ecc., adattando eventualmente i nuovi termini alla fonetica locale.
LA GRAFIA.
Diamo qui l'elenco dei segni adottati, con le rispettive definizioni ed accompagnati da un esempio tratto dall'italiano o dal francese. Le articolazioni che si distinguono in sorde e sonore vengono citate in questo ordine.
1-In questo primo elenco sono compresi i segni corrispondenti a quelle articolazioni che essendo comuni a tutte le Valli, assumono un carattere più normativo delle rimanenti (per le quali si veda più avanti) perché pur essendo state scelte anche in funzione di queste ultime, costituiscono il nucleo principale del sistema proposto.
a)Quantità vocalica e consonantica.
In linea generale le consonanti lunghe vengono trascritte con il raddoppiamento del segno (queste lunghezza si realizza però soltanto dopo una vocale tonica).
Es.: cotto «gonna», coutin «sottoveste».
La lunghezza delle consonanti lh, nh, ch, ts, ecc. si indica mediante il raddoppiamento del primo elemento: es. vëllho, vaccho.
Per quanto riguarda la quantità vocalica, la situazione, specie per le Valli settentrionali, è piuttosto complicata ed andrà risolta Valle pur Valle: in linea di massima, comunque, le vocali lunghe vengono indicate con l'accento circonflesso.
b)Accento tonico e apertura vocalica.
In generale si accentano tutti i polisillabi in cui la vocale tonica non precede lultima consonante o gruppo di consonanti della parola. Non vengono invece accentati i monosillabi se non quando questo sia necessario per evitare confusione, nei casi, per es., di omografia, come per a ed à (preposizione e verbo), ecc.
Si usa l'accento grave per tutte le vocali, salvo che per e ed o, là dove esiste una opposizione tra é, ó (chiuse) ed è, ò (aperte), e per eventuali casi analoghi (es.: à, per a velare). Nel caso di digrammi l'accento viene posto sul secondo elemento: où, oè (o eù, v. oltre).
Il problema si complica per le vocali chiuse e aperte che sono contemporaneamente lunghe. Una delle soluzioni prospettate è il raddoppiamento del segno vocalico, con l'accento posto sul primo elemento del digramma (es.: ée, èe), ma anche qui il problema va risolto Valle per Valle.
c)Dittonghi.
E necessario inoltre ricorrere all'accento nel caso di dittonghi e trittonghi in cui non sia chiaro quale è l'elemento tonico.
In atonia, nel caso di incontro di vocali per le quali il lettore non può stabilire se si tratti di dittongo o di iato, si può ricorrere al segno della dieresi o interporre una h fra le due sillabe. Es.: sïou (o sihou) « (io) falcio» - siou «(io) sono», ecc. Non è invece possibile, senza introdurre un segno apposito (che per il momento non si è ancora trovato), stabilire, in un dittongo formato dall'incontro di i e ou, u e i ecc. (vocali dolci), qual'è l'elemento semivocalico, ma questo non è del tutto essenziale, in quanto i casi che si presentano sono pochi. Es.: piourà, che con i semivocalica vale «piangere», con ou semivocalica vale invece «pepare».
d)Consonanti.
Occlusive: bilabiali p (it. «pane»), b (it.«bello»); alveolo-dentali t (it. «tino»), d (it. «dire»); velari c/qu (it.«casa, chiesa»); g/gu (it.«gola, ghiro»); c e g davanti a a, o, ou, u, œ, e in posizione finale; qu e gu davanti a i, e, ë.
Fricative: labiodentali f (it.«faro»), v (it. «vena»); alveolo-dentali s (it. «sale»), z (it. s in «rosa»). Si badi che tanto s quanto z possono essere semplici o doppie. Es.: pouso «capezzolo» - pousso! «spingi!», mouze «mungere» - douzze «dodici».
Affricate: alveolo-palatali ch (it. c in «cena»), g/j (it. g in «giro»): g davanti a i, e, ë, e j davanti a a, o, ou, u, œ, e in posizione finale.
Nasali: bilabiale m (it. «mare»); palatale nh o gn, a scelta (it. gn in «sogno»); alveolo-dentale n (it. «nave»), in posizione iniziale e intervocacalica. Lo stesso segno, davanti a consonante velare o in posizione finale, rappresenta la velare corrispondente (it. «ancora, buono»).
Laterali: alveolo-dentali l (it. «lana»): rappresenta anche la l faucale o arretrata; palatale lh (it. gl in «figli»).
Vibranti: alveolo-dentale r (it. «rana»). Lo stesso segno rappresenta anche la velare e l'uvulare vibrata corrispondenti.
e)Vocali
Vale la stessa osservazione riguardante le consonanti comuni a tutta l'area.
Esse sono: a, e, i, o, ou (= u it.), u (= u fr.) œ (o eventualmente eu = eu fr.).
I dittonghi composti da a, o, ecc. + ou si scrivono aou, oou, ecc. Il criterio Mistraliano (àu, òu, ecc.) non può essere adottato perché ambiguo in condizioni di atonia.
2-Le articolazioni che non sono comuni a tutte le nostre parlate, e per le quali la Commissione ha già stabilito un segno, sono le seguenti.
a)Consonanti
Fricative: alveolo-palatali sh (it. sc in «scena»), zh (fr. j in «jeu»). In Val di Susa, a motivo della tradizione letteraria locale, le fricative alvoelopalatali continueranno probabilmente ad essere rese con ch e g/j e le affricate alveolo-palatali (v. qui sotto) con tch e dg o dj.
Affricate: alveolo-dentali ts (it. z in «azione»), dz (it. z in «zebra»); alveolo-dentale schiacciata th (Val Chisone, Val Germanasca). Es.: unth «unto».
Nasali: alveolo-dentale nn, da usarsi in posizione finale, là dove esiste opposizione con la corrispondente velare. Es.: pann «panno», rispetto a pan «pane» (Val Germanasca). Per la Val Chisone il problema è più complesso e per ora non risolto.
b)Vocali
ë (= e fr. in «je»). In Val Germanasca ë è sempre tonica, sebbene l'accento non venga indicato, quando si trova in posizione finale (Es.: Prali) e nelle I e III persone plurali (indic. e cong.), come nella prima ë di sëntën «sentiamo, sentono», ecc. Per la terza persona plurare questo vale anche per alcune località della Val Varaita. Es.: pënden «pendono» (con ë tonica).
Come già in Coumboscuro, si fa appello ai lettori affinché prospettino eventuali altri problemi sfuggiti alla Commissione, nella quale purtroppo non tutte le Valli erano rappresentate, o adeguate soluzioni per i problemi che questa non ha risolto.
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