Sandrin della Rosinetta aveva adocchiato un bel ceppo che l’acqua dell’ultima piena aveva trascinato a valle nel vallone di Roan. Era veramente un bel ciocco di larice che sicuramente avrebbe costituito un bel ceppo di Natale che avrebbe bruciato per parecchi giorni nel camino.
La sorte lo aveva fatto arenare sulla scarpata, tra dei roccioni, di sua proprietà all’Inverso a valle. Veramente era pezzo di terra di sua moglie, pieno di pioppi tremuli, noccioli e rovi.
Era ora di iniziare a pensare alle provviste natalizie per un anno che non era stato troppo favorevole per tutti.
Comunque l’epidemia passerà. Almeno non aver problemi di salute per la fine dell’anno e l’inizio del prossimo.
Quel ceppo, per poterlo togliere dal rio, avrebbe dovuto rimuoverlo grazie alla sua Mora, la sua vecchia mula, compagna di fatica su e giù per i valloni che attorniano la sua borgata; la scarpata era piena di rovi, che ne impedivano un facile recupero.
Da ottobre, le notti venivano sempre più lunghe e fredde. Quasi tutti avevano ripreso l’abitudine delle veglie serali dopo cena. Le stalle si riempivano di vicini e amici. Vi era sempre qualcuno che sapeva raccontare delle belle storie, chi di guerra, chi di emigrazione ( i più vecchi); vi era pure chi sapeva raccontare delle storielle che facevano ridere, mentre le donne facevano la maglia, facevano calza e gli uomini, quelli che desideravano solamente passare un ora in tranquillità, chiacchieravano giocando alla belotte. Alcuni si portavano uno sgabello, chi una sedia per sedersi, chi lo faceva su di un ciocco, altri si buttavano nello strame sperando non vi fossero troppi ricci poiché la più parte delle foglie erano di castagno.
Le vacche, alla mangiatoia scuotevano la testa e ruminavano tranquille. I vitelli calpestavano nel loro recinto. In fondo alla stalla, nel suo box, il maiale russava, senza sapere ciò che l’attendeva tra non molto. Le veglie nella stalla di Sandrin erano molto piacevoli poiché vi era sempre un bicchiere di vino per tutti e alle volte vi era pure qualche goccetto di acquavite fatta con le vinacce del suo vino.
Sandrin era sempre stato per la sua famiglia un buon approvvigionatore natalizio, come lo era stato suo padre e i suoi vecchi secondo l’epoca, le guerre, la povertà della famiglia ma erano sempre riusciti a trovare delle provviste per poter passare in serenità le feste di Natale.
Comunque, quest’anno, il prodotto della campagna era stato discreto. La vigna aveva fatto il suo dovere e così i campi e i prati; una buona quantità di patate, di granaglie e di fieno erano al riparo e in cantina vi erano delle scaffalate di formaggi dalla crosta rossiccia, pronte per essere vendute.
Il vino era morbido e piacevole.
Sandrin della Rosinetta poteva essere contento.
La sua famigliola non poteva lamentarsi. Non erano ricchi ma tuttavia nella sua casa vi erano già tutte quelle cose che si possono considerare moderne: la televisione e tutti quegli aggeggi che aiutavano a vivere meglio e che rendevano il menage famigliare più facile.
La Pina, sua moglie, ringraziava sempre d’aver conosciuto quel ragazzo che non l’aveva condotta in città. Vi era stato un periodo, negli anni passati che tutti cercavano di abbandonare il paese, di andarsene, per una vita migliore. Ma Sandrin no, aveva resistito e aveva seguito la via dei suoi antenati. La sua vita gli piaceva; non sarebbe riuscito a vivere in città. Ci aveva provato ma la cosa non aveva funzionato. Gli mancava la sua valle, i suoi genitori e l’aria pura non avvelenata dai veleni delle fabbriche.
Sandrin, anche se aveva ancora la sua vecchia mula alla quale voleva bene come ad una di famiglia, si era comprato un trattorino che gli aveva permesso di continuare il suo lavoro di agricoltore di montagna.
Mandava ancora le sue vacche all’alpeggio ma ne teneva alcune in paese per avere un po’ di latte per il burro e le formaggette fresche estive. Ultimamente, d’estate, nel paese, si teneva un piccolo mercato di prodotti locali.
C’era chi vendeva miele, chi marmellate, chi prodotti dell’orto, chi formaggio, di capra, di pecora, di vacca. Sua figlia Alina, giovane ma piena di inventiva per la sua età, amava avvolgere le formaggette nelle foglie di di castagno o mescolare la cagliata con erbe aromatiche e spezie – timo serpillo, origano, pepe ( cacio fresco col pepe non ancora messo in forma), peperoncino -, prima di metterlo nella fiscella.
Ma era stato Sandrin che aveva avuto l’idea di coprire i formaggi di vinacce come aveva visto fare in televisione; il risultato era ottimo.
Alina aveva iniziato la frequenza di un istituto agrario mentre i due fratellini erano ancora alle elementari.
Sandrin si era deciso, era ora di recuperare il ceppo; il tempo accompagnava, sicuramente un bel periodo. Bisognava approfittarne e fare tutti quei lavori che forse, se il tempo cambiava, sarebbe stato impossibilitato di fare.
Sino ad ora aveva ancora fatto pascolare le sue vacche, poiché le piogge dell’autunno avevano ancora fatto crescere della buona erba.
Dopo i Santi, un mattino aveva messo fuori dalla stalla la Mora, l’aveva attaccata al carretto che veniva utilizzato normalmente per portar via il letame, gli aveva caricato due catenacci, il bilancino e le redini e non aveva dimenticato di prendere i cunei con anello, un palanchino, un accetta, falcetto, motosega, insomma tutto ciò che serviva per fare il suo lavoro.
Il ceppo era incastrato nelle rocce, ma dopo aver segato un pezzo del tronco ch’era nascosto dalla fanghiglia del rio, la Mora era riuscita, a forza di tirare, a svellerlo. Veramente un bel ciocco che avrebbe costituito un formidabile ceppo di Natale. Lavorò ancora un po’ ma tolse pure il tronco dal limo che l’imprigionava.
Ora il ceppo faceva bella figura nel cortile di casa sua; al riparo, avrebbe avuto il tempo di asciugare e di essere pronto per la notte di Natale. Era talmente grosso che non avrebbe potuto entrare nella sua cucina e essere messo nel camino. Sarebbe stato necessario spaccarlo.
Gli venne in mente una vecchia poesia che qualcuno del suo villaggio aveva scritto, come era ?:
Le campane suonano l’inizio della messa
gli uomini spaccano il ceppo
i bambini vanno sullo slittino
e le donne preparano il cenone.
Si, dovevano essere così quei versi ma la poesia era più lunga e con quelle parole in testa iniziò, con mazza e cuneo, a spaccare quel grosso ceppo di Natale, per dividerlo per poterlo far entrare in casa e soprattutto nel camino.
Gli era sempre piaciuto provvedere al Natale; preparare il pane che avevano sempre indicato col nome di chalendal, Dava lavoro fare il pane. Impastare, accendere il forno, i bimbi che preparano bamboline, ometti e galletti dolci decorati di nonpariglia e codette di zucchero colorato.
Quindi la domenica precedente il Natale preparare il presepio con il muschio, rametti d’edera, scorza di larice, costruire la grotta dove collocare la Madonna, San Giuseppe, il bue e l’asinello, poi i pastori con le pecore, e tutti i personaggi, mettere qualche luce e la carta stellata.
Quindi fare l’albero con le palline colorate, le candele, i festoni argentati e dorati. Andare a cercare rami d’agrifoglio pieni di bacche colorate, da mettere fuori della porta di casa e pure il vischio.
Alla fine la notte di Natale arrivò; vi era la sua famiglia , dei vicini soli si aggiunsero alla parentela: zia Vittorina, la Nòra, zio Casimiro, l’Isidoro, la Tida, tutti vecchietti del quartiere del Cortiel che vivevano soli e non avevano più famiglia.
Il camino era stato preparato, un mucchietto di rametti, qualche pezzo di legno rotondo e quando il tutto inizierà a bruciare un bel pezzo del ceppo di Natale che darà nell’aria il suo buon profumo di resina.
Sulla tavola della cucina le donne avevano messo delle belle tovaglie bianche, tre candele, delle bottiglie di vino bianco e dei calici per il brindisi: « Preparate i vostri bicchieri, bisogna brindare a Natale che sta per arrivare !» e a Sandrin de la Rosineta gli vennero in mente le parole di una antica preghiera, di quando si metteva il ceppo di Natale nel fuoco;:
« Gioisca il ceppo
che domani è Natale,
il giorno del pane
che ogni grazia di Dio
entri in questa casa,
che le donne abbiano dei bimbi
che le capre facciano capretti
che le pecore facciano agnelli
che abbondi il grano e la farina
e che si riempa la botte del vino!»
«Viva, alla vostra, levate i vostri bicchieri, buona salute e buona festa a tutti»
Un po’ di vino cadde sul ceppo che venne buttato sul fuoco, e le faville presero la via del camino.
E voi bambini imparate le parole di questa preguiera:
« Angelo benedetto
angelo del ceppo natalizio
mio bel ceppo
portami qualche biscotto
portami delle cose belle
di giochi un sacchetto
che domani è la festa dei bambini
non di tritume di fieno delle carrettate !»
E ora tutti a messa a pregare Gesù Bambino che sta per nascere e dopo il cenone.
Fuori aveva iniziato a nevischiare e faceva freddo.
La Nora che nella sua gioventù era stata in Provenza, lavorante presso una famiglia nobile di Marsiglia, aveva aiutato la Pina per il cenone e le aveva proposto di farlo alla moda provenzale, quella dei tredici piatti leggeri con tredici pani per ricordare l’ultima cena: i dodici apostoli e Gesù. Dopo i tredici piatti: focaccine all’olio, due tipi di torrone, uno alle mandorle con miele, l’altro al cioccolato, uno bianco e uno nero; dopo i quattro mendicanti- i frutti secchi per ricordare il colore degli abiti dei quatro ordini mendicanti _ : le mandorle per i Domenicani, l’uva passa per gli Agostiniani, i fichi secchi per i Francescani e le noci per i Carmelitani. Dopo i frutti freschi: mele, pere, uva ( ne conservavamo sempre dei tralci col grappolo proprio per Natale ), caki, marmellata di mele cotogne e di castagne.
Il ceppo di Natale bruciava e buon appetito !
I bambini a letto, Sandrin e la Pina prepararono i pacchetti con i doni per i loro figli. Per Alina si erano acquistate cose utili, abbigliamento, ormai era una ragazza. Non era più tempo per lei di giochi e bambole.
Questo, tuttavia, a Sandrin fece venire alla memoria l’ultima bambola acquistata, non per Alina ma per sua madre la Rosinetta. Diceva sempre che nella sua vita nessuno gli aveva regalato una bambola, aveva sempre giocato con bambole di stracci; così pensò, d’accordo con la Pina di acquistarne una. Pianse il giorno di Natale la Rosinetta vedendo il regalo che gli aveva fatto la sua famiglia e la strinse a se la bambola come se avesse avuto un bimbo nelle sue braccia.
Il giorno di Natale trascorse bene, un buon desinare, i suoi figli e sua moglie erano contenti dei regali – alla Pina aveva regalato una bella catenina con tre fiori in filigrana – e lui ricevette un bel paio di forbici da potatura e un maglioncino di lana che sua moglie gli aveva fatto di nascosto. Una bella festa di Natale, nulla da ridire.
Il ceppo di natale bruciò sinoi all’Epifania. Quindi le ceneri forono sparpagliate per prati e campi e vigne di Sandrin de la Rosineta. Avrebbero favorito la campagna.
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