“Una donna povera aveva una figlia che si chiamava Maša. Maša al mattino andò a prendere l’acqua e vide che sulla porta c’era qualcosa avvolto negli stracci”. Aveva trovato un bambino, che gridava: uah! uah!... La ragazza lo prese in braccio e lo portò in casa, e incominciò a dargli del latte con un cucchiaio. Ma la madre era contrariata: la famiglia era troppo povera per accogliere un altro essere umano. Alla fine “la madre dette un’occhiata, e sentì compassione. Lasciò che il bambino restasse lì da loro. Maša dava da mangiare al bambino e lo fasciava, e gli cantava le canzoni, quando lo mettevano a letto”. Questo il gesto di compassione, la storia vera racconta da Lev Tolstoj nei quattro libri russi di lettura. Un gesto istintivo, come inevitabile, che oltrepassa la ragione, solo frutto della pietà. Ma che si trasforma presto in canto.
Ogni volta che batte una campana, che ci si guarda attorno e si scorge un campanile di una chiesa o di un santuario, che passeggiando si incontra un pilone votivo, o che osservando le splendide montagne che fanno da corona al nostro pasesaggio spunta immancabilmente una croce su un poggio o una vetta, il dipinto di una madonna o di un santo, cancellando tutti i giustificabili pensieri negativi che possano sorgere nella mente legati alla mala interpretazione che nella storia gli uomini hanno dato al concetto di spiritualità, ci si ricorda che l’uomo continua a cercare e ad affidarsi. Il mistero, a quanto pare, rimane. A questo contesto è legato il concetto e l’atto della preghiera, intesa in quanto invocazione a una divinità, con la parola o col pensiero, per chiedere aiuto, protezione, salute, favori, e praticata da molto tempo un po’ in ogni luogo del pianeta.
Nel variegato panorama dell’esercizio di tecniche che concernono la ricerca della verità, del mistero del reale, e di conseguenza la contemplazione interiore e della realtà, ve n’è una così vicina alla nostra, di realtà, al nostro sentire da risultare evidente, ed è l’esicasmo. Parola difficile, per nulla popolare, l’esicasmo viene definito come dottrina ascetico-mistica cristiana, accompagnata da pratiche tipicamente orientali. Anche conosciuto con il nome di meditazione cristiana, è una forma di meditazione tramite la preghiera contemplativa presente quasi esclusivamente nel cristianesimo ortodosso dell’Europa orientale. Il termine deriva dal greco hesykkazo, il cui significato è forse l’obiettivo tutti gli sforzi che ogni uomo impone a sé stesso per capire, per gioire, per… “vivere in pace”. Sì, vuol dire questo. L’esicasmo, è di conseguenza la pratica volta, tramite la preghiera incessante, a vivere tale stato dell’essere e sperimentare l’unione con Dio. Se il fine è contenuto nella stessa definizione della dottrina, le parole attraverso le quali la preghiera si esprime, recitate di norma facendo scorrere una corda con nodi e ripetendo ad ogni nodo l’invocazione, possono toccare l’animo di tutti (la dicotomia male-bene, vita-morte, tutto-nulla non sono concetti lontani). E questa preghiera, chiamata “la preghiera di Gesù”, sorge spontanea:
Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, Υἱὲ τοῦ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἁμαρτωλόν
“Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”
L’esicasmo considera le preghiere in quattro categorie di valore: la preghiera verbale, la preghiera mentale, la preghiera del cuore, la contemplazione. Ogni tipo di preghiera è progressivamente più intimo e introspettivo, e ci separa sempre di più dagli stimoli esterni. La massima espressione della contemplazione, detta theosis, è una totale assenza di consapevolezza sensoriale, una completa mancanza di pensiero e una pura connessione con Dio. Si suppone che il principio dell’esicasmo sia stato fondato sulle parole di Gesù (Matteo 6:6), quando pronunciando le parole “Entra nella tua stanza, chiudi la porta, prega tuo padre, che è invisibile…” avrebbe in realtà esortato i fedeli ipocriti, i quali volevano essere visti pregare in pubblico, ad entrare in sé stessi.
Il metodo per praticare l’esicasmo è descritto da San Giovanni Climaco. Scrive egli nella sua opera La Scala: “Sforzati di ricondurre esattamente il pensiero nella preghiera. Se il tuo pensiero viene a mancare e si disperde, riconducilo alla preghiera. La mente tende all’instabilità ma il Signore, che mette ordine in tutte le cose, può darle stabilità”. Continua Giovanni, parlando delle tre diverse fasi della preghiera: “La fase iniziale della preghiera consiste nel respingere i pensieri fin dal loro nascere mediante la preghiera; la fase centrale si ha invece quando la mente rimane esclusivamente nelle parole pronunciate vocalmente o mentalmente; la fase finale è l’unione della mente con Dio”. Un altro metodo, il metodo della preghiera profonda, attraverso un simile processo di preparazione, meditazione e conclusione della stessa giunge all’incontro col Signore.
Vi sono differenze fra l’esicasmo e le meditazioni orientali: mentre in pratiche come lo yoga, la meditazione buddista o altre forme di ricerca spirituale si tende ad uno stato di non-essere, l’esicasta cerca la theosis, la divinizzazione (o deificazione) dell’uomo, che, per mezzo dell’amore, porta allo lo “stato di unione”, alla pace con Dio. L’individuo che ha raggiunto la theosis partecipa totalmente della vita di Dio, donata al credente attraverso Gesù Cristo e per merito dello Spirito Santo. Ma non mancano certo le somiglianze: liberarsi dai propri desideri, dai propri sensi e dai propri pensieri, entrare in sé stessi per percepirsi e percepire, il concetto di contemplazione, di pace e di armonia con il creato. Tralasciando il sufismo, al quale andrebbe dedicato un intero capitolo, per nulla curioso è poi che pratica analoga alla preghiera esicasta sia il rosario dei 99 nomi di Dio, presso i musulmani.
Praticando l’esicasmo, si ricerca uno stato di totalità, ma intesa come dono, come unione in qualche modo sottomessa alla stessa, e non il suo possesso, miraggio di un dominio su una realtà ingovernabile, che ineffabile sfugge ad ogni controllo e si pone al di sopra, come ben ci insegna il mito di Prometeo, o ci rivelano altre più prosaiche vicende che accadono talvolta agli uomini. Una ricerca della pace interiore ed esteriore che continua ad avvenire nel mondo cristiano. Ad ogni istante, per un monaco. Ogni giorno, per alcuni devoti. O quando, durante le preghiere ireniche (ispiratrici di pace) comuni, i fedeli, oltre che per la santa Chiesa, pregano per coloro che governano, per coloro che si trovano in varie necessità, per tutti gli uomini e per la salvezza del mondo:
“Signore Gesù Cristo, Figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore”
Se la vita ci è stata donata (e secondo il cristianesimo ortodosso l’uomo nasce puro, senza alcun peccato), dovremmo certamente accoglierla, accudirla ed amarla, come fecero, ormai due secoli fa, nella campagna russa, Maša e la sua famiglia. Poiché, ragionando in categorie grammaticali, è stato un imperativo, anche categorico, ma giusto. L’impegno umano, quasi incosciente, mosso dalla compassione e dalla pietà dovuta e inevitabile nei confronti dell’altro, e dunque anche nei confronti di sé stessi, nell’esicasmo si eleva e diviene preghiera incessante, fino a giungere alla contemplazione, ultimo stadio di questa pratica e risultato, o frutto, del primo stadio, il verbo, l’azione che proclama e che, seguendo un cammino, conduce nel profondo, verso la conoscenza del reale. “Dio è amore”, sta scritto in alcune chiese. Lev Tolstoj ha voluto narrarci il semplice gesto di un essere umano che, accettando la vita, l’onora cantando, alimentandone il fuoco incessantemente. In questo breve racconto, esemplare in quanto reale, sono contenute la scintilla e la fiamma, ciò che è essenziale per ottenere calore e luce. E ad una fiamma somiglia l’esicasta, che attraverso la preghiera continua penetra la propria mente, il proprio cuore per giungere alla contemplazione ed all’unione con il divino. La sua esperienza mistica, volta alla comunione, all’unione con la totalità, riscalda ed illumina il cammino dell’uomo verso la verità, verso ciò che è e dunque non può essere eluso, né tantomeno cancellato.
Molto tempo fa, un signore se ne andava in giro per la Grecia, nudo, con una lanterna in mano. A chi gli chiedeva cosa stesse facendo, rispondeva “cerco l’uomo”. Un giorno, mentre era disteso su una spiaggia, gli rese visita Alessandro Magno, al quale era giunta all’orecchio la sua fama di uomo saggio. Ad un certo punto Alessandro, come omaggio e per fargli capire quanto egli stesso fosse potente, gli fece un’interessante proposta. Avrebbe potuto chiedere, in quel medesimo istante, un qualunque desiderio, ed egli, Alessandro Magno, l’avrebbe esaudito. Alché Diogene Laerzio, senza indugi, in tutta risposta all’incredibile ed imperdibile offerta, disse gentilmente di scostarsi un po’ di lato per non impedirgli di ricevere la luce ed il calore del sole. Alessandro sarà di certo restato di stucco, ma il messaggio era chiaro. Chissà se l’imperatore, di fronte a tali parole, chiare come la luce del sole, si fosse denudato, gettato nel mare e disteso al fianco di Diogene, ad ascoltare la sua saggezza e godere di quel momento di beatitudine.
In qualsiasi divinità si creda o meno, forse dovremmo cercare semplicemente l’ hesykkazo, il vivere in pace. Calmare la sete, che si sa, non fa ragionare. Onorare la vita con umiltà, compassione e devozione, le sole armi vincenti, in questo caso. E contemplarla, godendo del calore e della luce che ci vengono donati e sapendo affrontare il buio quando, anche solo chiudendo gli occhi, inevitabilmente e ineffabilmente ritorna, quando semplicemente il sole tramonta. Un buio che si è costretti a penetrare. Ognuno con la sua lampada.
“Entra nella tua stanza, chiudi la porta e prega tuo Padre, che è invisibile. Allora tuo Padre, che vede ciò che è stato fatto in segreto, ti ricompenserà”
Ad ogni istante, un monaco batterà una campana, un uomo, allontanando i propri pensieri e penetrando nel proprio cuore, pronuncerà un’invocazione, o una preghiera, mediterà. È inevitabile, “non c’è storia”, potrebbero dire i giovani. Non è questione di dottrine, ma il fatto che l’uomo indagherà sempre il proprio spirito, cercherà sempre la verità, il suo mistero. Sia pur “di parte”, senza mettersi a disquisire, l’esicasmo, di certo, ne è una via, un esempio. E le parole attraverso le quali si esprime la sua preghiera, ridotte all’essenziale, comprensibili e come naturali.
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