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Lingua e cultura di un territorio montano

Lou viage – L’inferno di Dante in occitano

Lou viage – L’unfèrn de Dante en occitan

edito da Primalpe, nella traduzione in occitano di Valter Giordano

italiano

Pare che La Divina Commedia non smetta di stupire. Che, per la simbolicità degli eventi narrati, o la sublime capacità e conoscenza del suo autore, come una sorgente generosa e inesauribile, continui a calmare la sete dell’uomo. Come un gioco del destino, poi, è naturale che fra i tre regni visitati, o dimensioni, sia l’inferno il protagonista. Infatti, è di recente pubblicazione il volume “Lou viage – L’inferno di Dante in occitano”, edito da Primalpe, nella traduzione di Valter Giordano, studioso e appassionato di Dante originario della Valle Stura.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita.” Capolavoro della letteratura (v’è chi direbbe ineguagliato) di profondissima concezione, la Divina Commedia fu scritta da Dante Alighieri, probabilmente fra il 1307 e il 1321, anno della sua morte. L’opera, come è noto, narra del viaggio immaginario compiuto simbolicamente nell’anno 1300 da egli stesso attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso. Ma il suo percorso letterario non è terminato. Dopo secoli di traduzioni in molte lingue – nell’ambito di lingua d’oc quella in provenzale di Jean Roche nel 1967 – l’imponente opera del sommo poeta si è posata sulla scrivania di un uomo che, appassionato di essa (pare succeda a molti, da verificare gli studenti adolescenti), ne ha tentato la traduzione. Nella lingua che ha sempre parlato in famiglia, alla sua maniera, o meglio “a nòstra mòda”, alla nostra maniera (ma anche “nella nostra lingua”), come si diceva per definire l’idioma impiegato abitualmente nella vita sociale e familiare della valle in cui è nato.

Il lavoro di traduzione nasce innanzitutto dall’antica passione dell’autore per questo affascinante poema. Scrive Giordano, nella presentazione dal volume: “Ho iniziato a tradurre questi 34 canti, partendo da quelli che amavo di più: non mi ero ancora riproposto di tradurli tutti. La vita poi mi ha riportato ad ‘Itaca’…”, la casa dei suoi genitori, dove ha proseguito il lavoro, riuscendo a completare la traduzione dell’intera cantica. “Perché cotanto in noi ti specchi?”, chiede a Dante un dannato conficcato nel lago ghiacciato al fondo dell’inferno. Scrive Giordano: “In una fase ‘invernale’ della mia vita mi sono comportato come un qualsiasi albero non sempreverde. Le foglie erano volate via; non era il caso di rimpiagerle, dovendo affrontare la neve e il vento freddo”. Quando un individuo (o una società) entra in crisi, per guarire, per poter analizzare sé stesso ritorna sempre alle proprie origini, ai valori, alle basi. Così egli, per indagare, riconoscere ed affrontare il male nel suo cuore si è affidato “alle radici e ai rami”, che nel tempo si sono nutriti di linfa e oggi danno il buon frutto del loro faticoso percorso di rinascita.

La traduzione, molto personale nell’interpretazione dell’originale, schietta e scorrevole alla lettura e senza pretese letterarie, in quanto espressamente e volontariamente popolare, è accompagnata dal testo a fronte, gentile regalo al lettore che voglia consultarlo nel caso in cui, avendo poca dimestichezza con la lingua d’oc, si ritenga più a proprio agio con il colto fiorentino trecentesco del divin poeta. Molto interessante dal punto di vista linguistico, lo splendido dialetto della frazione Podio Sottano di Vinadio, in Valle Stura, anch’esso, come il poema di Dante, fonte generosa di termini ed espressioni, testimoni tanto della varietà quanto dell’unità della lingua d’oc, che il grande poeta italiano ebbe il merito di argomentare ed ufficializzare nel trattato De vulgari eloquentia. Un ulteriore regalo è il piccolo glossario dei termini particolari tipici del luogo, alcuni financo desueti, altri più popolari e diffusi, ma talvolta dal significato originale. Uno per tutti: il verbo musar nell’accezione di guardare fisso in viso, anziché di riflettere, come in Val germanasca, o di bighellonare, gingillarsi, come nell’occitano d’oltralpe e in francese. E i termini acabar, enairar, rúnia, sesir, cimalh, trimar? E l’òucha per il cimitero, per riproporre un raffronto fra le nostre valli? Ma quanti altri. La grafia del testo, scritta inizialmente “ad orecchio”, come dice l’autore nella presentazione, è stata curata da Andrea Celauro, il quale ha reso il testo in grafia concordata o “Escolo dou Po” e nella sua introduzione descrive ampiamente le caratteristiche riguardo alla stessa, le particolarità della lingua e le scelte operate nel lavoro di traduzione da parte dell’autore.

“O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / sotto ‘l velame de li versi strani”. La felice notizia che abbia visto la luce un’opera così importante per la vitalità, la testimonianza e la memoria storica della lingua delle nostre valli, oltre che per l’intera cultura di lingua d’oc, pur esplorando gli inferi, è una schiarita in un cielo offuscato. Dal Pic dau Miegjorn, al Mont Ventoux, al Monviso, passando naturalmente dal Monte Argentera, un grande grazie a Valter Giordano da parte di tutti coloro che hanno a cuore la lingua occitana per questo prezioso lavoro, il quale, destinato a restare, porta non soltanto una tiepida brezza, ma un caldo vento d’estate, foriero di bel tempo nel panorama dell’editoria e soprattutto della cultura locale.

All’inizio del celeberrimo primo canto, dopo essersi ritrovato in una selva oscura, smarrito e con il cuore compunto di paura, il poeta giunge ai piedi di un colle. Alza lo sguardo e vede le sue spalle “vestite già de’ raggi del pianeta / che mena dritto altrui per ogni calle”. Si volge indietro, poi prosegue. “Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, / ripresi via per la piaggia diserta, / sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso”. Una strada in discesa, eccome, che non sale diretta verso la luce e costringe a percorrere “un altro vïaggio”. Ma è Dante che sta parlando. Non resta che approfittare dell’occasione e seguirlo finalmente, passo dopo passo, verso dopo verso.

occitan

Pareis que la Divina Commedia quite pas d’estonar. Que, per la simbolicitat di eveniments contiats o la sublima capacitat e conoissença de son autor, coma sorsa generosa e inagotabla, contínue a apasiar la set de l’òme. Coma un juec dal destin, puei, es natural que entre lhi tres rènhes visitats, o dimensions, sie l’unfèrn lo protagonista. En efèct, ven de sortir lo volum “Lou viage – L’inferno di Dante in occitano”, editat da Primalpe, dins la traduccion de Valter Giordano estudiós e apassionat de Dante originari de la Val d’Estura.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita.” Cap d’òbra de la literatura (lhi a qui diria ineigalat) de profondíssima concepcion, la Divina Commedia foguet escricha da Dante Alighieri, probablament entre lo 1307 e lo 1321, an de sa mòrt. L’òbra, coma se sa, còntia dal viatge imaginari complit simbolicament dins l’an 1300 da el mesme a travèrs l’unfèrn, lo purgatòri e lo paradís. Mas son percors literàri es pas achabat. Après de sècles de reviradas dins ben de lengas – dins l’esfèra de la lenga d’òc aquela en provençal de Jean Roche ental 1967 – l’empausanta òbra dal “sommo poeta” s’es pausaa sal desc d’un òme que, apassionat d’ela (semelha que càpite a pro de gent, da verificar lhi estudents adolescents), n’a temptat la traduccion. Dins la lenga que a sempre parlat en familha, a sa mòda, o mielh “a nòstra mòda”, a nòstra maniera (mas decò “dins nòstra lenga”), com se disia per definir l’idiòma adobrat de costuma dins la vita sociala e familiara de la valada ente es naissut.

Lo trabalh de traduccion nais d’en premier da l’antica passion de l’autor per aqueste encharmant poèma. Escriu Giordano, dins la presentacion dal volum: “Ai començat a revirar aquesti 34 chants, en partent da aquilhi que amavo de mai: m’ero pas encara propausat de lhi revirar tuchi. La vita puei m’a reportat a ‘Itaca’…”, la maison de si genitors, ente a continuat lo trabalh, en arribant a completar la revirada de l’entiera càntica. “Èmà nous gàches tant fis?”, demanda a Dante un danat fichat ental lac glaçat al fons de l’unfèrn. Escriu Giordano: “ Entuna fasa ‘uvernenca’ de ma vita me siu comportat coma un qual se sie àrbol ren semprevèrd. Las fuelhas eron volaas via; era pas lo cas de las regretar, en devent afrontar la neu e l’aura freida”. Quora un òme (o una societat) intra en crisi, per garir, per poler analisar-se torna sempre a sas originas, a las valors, a las basas. Parelh el, per enquestar, reconóisser e afrontar lo mal dins son còr s’es afidat “a las raïtz e a las branchas”, que ental temp se son norrias de saba e encuei donon lo bòn fruch dal fatigós percors de renaissença.

La traduccion, pro personala dins l’interpretacion de l’original, esclenta e de bèl léser e sensa pretencions literàrias, en tant que expressament e volontariament populara, es acompanhaa dal tèxt en regard, gentil regal al lector que lo vòle consultar dins lo cas que, en èssent gaire amanat abo la lenga d’òc, s’estime pus a son aise abo lo sabent florentin dal tres cent dal “divin poeta”. Ben interessanta dal ponch de vista linguístic, l’espléndid dialèct de la ruaa Pui Sotan de Vinai, en Val d’Estura, decò el, coma lo poèma de Dante, fònt generosa de tèrmes e d’expressions, testimònis tant de la varietat coma de l’unitat de la lenga d’òc, que lo grand poèta italian aguet lo mérit de argumentar e d’oficializar dins lo tractat De vulgari eloquentia. Un ulterior regal es lo pichòt glossari di tèrmes particulars típics dal luec, qualqu’uns bèla desuets, d’autri mai populars e difonduts, mas de bòts dal significat original. Un per tuchi: lo vèrbe musar dins l’accepcion de beicar fix ental morre, non pas de reflechir, coma en Val Sant Martin, o de lambanear, chichorlear, coma dins l’occitan d’al delai d’las Alps e en francés. E lhi tèrmes acabar, enairar, rúnia, sesir, cimalh, trimar? E l’òucha per lo cementieri, per repropausar una comparason entre las nòstras valadas? Mas quanti autri. La grafia dal tèxt, escricha d’abòrd “a aurelha”, coma ditz l’autor dins la presentacion, es istaa curaa da Andrea Celauro, que a rendut lo tèxt en grafia concordaa o “Escolo dou Po” e dins son introduccion descriu amplament las características regard a la mesma, las particularitats de la lenga e las chausias fachas dins lo trabalh de traduccion da part de l’autor.

“O vouzaoutre que sìa ben desgourdì, / capishè ben la doutrino ‘piatà / desout la rioro d’aquesti vèrs misterious”. L’aürosa nòva que aie vist la lutz un’òbra tant importanta per la vitalitat, la testimoniança e la memòria estòrica de la lenga de nòstras valadas, en mai que per l’entiera cultura de lenga d’òc, bèla se en explorant l’unfèrn, es un’esclarzia entun cèl escurzit. Dal Pic dau Miegjorn, al Mont Ventor, al Vísol, en passant naturalament da l’Argentiera, un gròs gràcias a Valter Giordano da part de tuchi aquilhi que an a còr la lenga occitana per aqueste preciós trabalh, que, destinat a restar, mena ren masque una tébia bisa, mas una chauda aura d’istat, portaira de bèl temp dins lo panorama de l’editoria e sobretot de la cultura locala.

Al començament dal celèbre premier chant, après s’èsser retrobat dins na selva escura, perdut e abo lo còr tracassat de paor, lo poèta arriba ai pè d’un còl. Gacha chapui e ve sas còstas “vestìes ja dei rai dou pianeto / que meno tuchi drech per tuchi i vìor”. Se vira enreire, puei contúnia. “Après qu’ài repaouzà en paou lou coùorp las, / ài repres lou viage per aquel dezert, / e lou pè ferm, èro sempre lou pe bas”. Un chamin a la valaa, e coma, que monta pas drech vèrs la lutz e constrenh a percórrer “n’aoutro vio”. Mas es Dante que ista parlant. Rèsta pas que ne’n profitar, agantar l’ocasion e lo seguir finalament, pas après pas, vèrs après vèrs.


Lingua e cultura di un territorio montano

Lou viage – L’inferno di Dante in occitano

Lou viage – L’unfèrn de Dante en occitan

edito da Primalpe, nella traduzione in occitano di Valter Giordano

italiano

Pare che La Divina Commedia non smetta di stupire. Che, per la simbolicità degli eventi narrati, o la sublime capacità e conoscenza del suo autore, come una sorgente generosa e inesauribile, continui a calmare la sete dell’uomo. Come un gioco del destino, poi, è naturale che fra i tre regni visitati, o dimensioni, sia l’inferno il protagonista. Infatti, è di recente pubblicazione il volume “Lou viage – L’inferno di Dante in occitano”, edito da Primalpe, nella traduzione di Valter Giordano, studioso e appassionato di Dante originario della Valle Stura.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita.” Capolavoro della letteratura (v’è chi direbbe ineguagliato) di profondissima concezione, la Divina Commedia fu scritta da Dante Alighieri, probabilmente fra il 1307 e il 1321, anno della sua morte. L’opera, come è noto, narra del viaggio immaginario compiuto simbolicamente nell’anno 1300 da egli stesso attraverso l’inferno, il purgatorio e il paradiso. Ma il suo percorso letterario non è terminato. Dopo secoli di traduzioni in molte lingue – nell’ambito di lingua d’oc quella in provenzale di Jean Roche nel 1967 – l’imponente opera del sommo poeta si è posata sulla scrivania di un uomo che, appassionato di essa (pare succeda a molti, da verificare gli studenti adolescenti), ne ha tentato la traduzione. Nella lingua che ha sempre parlato in famiglia, alla sua maniera, o meglio “a nòstra mòda”, alla nostra maniera (ma anche “nella nostra lingua”), come si diceva per definire l’idioma impiegato abitualmente nella vita sociale e familiare della valle in cui è nato.

Il lavoro di traduzione nasce innanzitutto dall’antica passione dell’autore per questo affascinante poema. Scrive Giordano, nella presentazione dal volume: “Ho iniziato a tradurre questi 34 canti, partendo da quelli che amavo di più: non mi ero ancora riproposto di tradurli tutti. La vita poi mi ha riportato ad ‘Itaca’…”, la casa dei suoi genitori, dove ha proseguito il lavoro, riuscendo a completare la traduzione dell’intera cantica. “Perché cotanto in noi ti specchi?”, chiede a Dante un dannato conficcato nel lago ghiacciato al fondo dell’inferno. Scrive Giordano: “In una fase ‘invernale’ della mia vita mi sono comportato come un qualsiasi albero non sempreverde. Le foglie erano volate via; non era il caso di rimpiagerle, dovendo affrontare la neve e il vento freddo”. Quando un individuo (o una società) entra in crisi, per guarire, per poter analizzare sé stesso ritorna sempre alle proprie origini, ai valori, alle basi. Così egli, per indagare, riconoscere ed affrontare il male nel suo cuore si è affidato “alle radici e ai rami”, che nel tempo si sono nutriti di linfa e oggi danno il buon frutto del loro faticoso percorso di rinascita.

La traduzione, molto personale nell’interpretazione dell’originale, schietta e scorrevole alla lettura e senza pretese letterarie, in quanto espressamente e volontariamente popolare, è accompagnata dal testo a fronte, gentile regalo al lettore che voglia consultarlo nel caso in cui, avendo poca dimestichezza con la lingua d’oc, si ritenga più a proprio agio con il colto fiorentino trecentesco del divin poeta. Molto interessante dal punto di vista linguistico, lo splendido dialetto della frazione Podio Sottano di Vinadio, in Valle Stura, anch’esso, come il poema di Dante, fonte generosa di termini ed espressioni, testimoni tanto della varietà quanto dell’unità della lingua d’oc, che il grande poeta italiano ebbe il merito di argomentare ed ufficializzare nel trattato De vulgari eloquentia. Un ulteriore regalo è il piccolo glossario dei termini particolari tipici del luogo, alcuni financo desueti, altri più popolari e diffusi, ma talvolta dal significato originale. Uno per tutti: il verbo musar nell’accezione di guardare fisso in viso, anziché di riflettere, come in Val germanasca, o di bighellonare, gingillarsi, come nell’occitano d’oltralpe e in francese. E i termini acabar, enairar, rúnia, sesir, cimalh, trimar? E l’òucha per il cimitero, per riproporre un raffronto fra le nostre valli? Ma quanti altri. La grafia del testo, scritta inizialmente “ad orecchio”, come dice l’autore nella presentazione, è stata curata da Andrea Celauro, il quale ha reso il testo in grafia concordata o “Escolo dou Po” e nella sua introduzione descrive ampiamente le caratteristiche riguardo alla stessa, le particolarità della lingua e le scelte operate nel lavoro di traduzione da parte dell’autore.

“O voi ch’avete li ‘ntelletti sani, / mirate la dottrina che s’asconde / sotto ‘l velame de li versi strani”. La felice notizia che abbia visto la luce un’opera così importante per la vitalità, la testimonianza e la memoria storica della lingua delle nostre valli, oltre che per l’intera cultura di lingua d’oc, pur esplorando gli inferi, è una schiarita in un cielo offuscato. Dal Pic dau Miegjorn, al Mont Ventoux, al Monviso, passando naturalmente dal Monte Argentera, un grande grazie a Valter Giordano da parte di tutti coloro che hanno a cuore la lingua occitana per questo prezioso lavoro, il quale, destinato a restare, porta non soltanto una tiepida brezza, ma un caldo vento d’estate, foriero di bel tempo nel panorama dell’editoria e soprattutto della cultura locale.

All’inizio del celeberrimo primo canto, dopo essersi ritrovato in una selva oscura, smarrito e con il cuore compunto di paura, il poeta giunge ai piedi di un colle. Alza lo sguardo e vede le sue spalle “vestite già de’ raggi del pianeta / che mena dritto altrui per ogni calle”. Si volge indietro, poi prosegue. “Poi ch’èi posato un poco il corpo lasso, / ripresi via per la piaggia diserta, / sì che ‘l piè fermo sempre era ‘l più basso”. Una strada in discesa, eccome, che non sale diretta verso la luce e costringe a percorrere “un altro vïaggio”. Ma è Dante che sta parlando. Non resta che approfittare dell’occasione e seguirlo finalmente, passo dopo passo, verso dopo verso.

occitan

Pareis que la Divina Commedia quite pas d’estonar. Que, per la simbolicitat di eveniments contiats o la sublima capacitat e conoissença de son autor, coma sorsa generosa e inagotabla, contínue a apasiar la set de l’òme. Coma un juec dal destin, puei, es natural que entre lhi tres rènhes visitats, o dimensions, sie l’unfèrn lo protagonista. En efèct, ven de sortir lo volum “Lou viage – L’inferno di Dante in occitano”, editat da Primalpe, dins la traduccion de Valter Giordano estudiós e apassionat de Dante originari de la Val d’Estura.

“Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai per una selva oscura, / ché la diritta via era smarrita.” Cap d’òbra de la literatura (lhi a qui diria ineigalat) de profondíssima concepcion, la Divina Commedia foguet escricha da Dante Alighieri, probablament entre lo 1307 e lo 1321, an de sa mòrt. L’òbra, coma se sa, còntia dal viatge imaginari complit simbolicament dins l’an 1300 da el mesme a travèrs l’unfèrn, lo purgatòri e lo paradís. Mas son percors literàri es pas achabat. Après de sècles de reviradas dins ben de lengas – dins l’esfèra de la lenga d’òc aquela en provençal de Jean Roche ental 1967 – l’empausanta òbra dal “sommo poeta” s’es pausaa sal desc d’un òme que, apassionat d’ela (semelha que càpite a pro de gent, da verificar lhi estudents adolescents), n’a temptat la traduccion. Dins la lenga que a sempre parlat en familha, a sa mòda, o mielh “a nòstra mòda”, a nòstra maniera (mas decò “dins nòstra lenga”), com se disia per definir l’idiòma adobrat de costuma dins la vita sociala e familiara de la valada ente es naissut.

Lo trabalh de traduccion nais d’en premier da l’antica passion de l’autor per aqueste encharmant poèma. Escriu Giordano, dins la presentacion dal volum: “Ai començat a revirar aquesti 34 chants, en partent da aquilhi que amavo de mai: m’ero pas encara propausat de lhi revirar tuchi. La vita puei m’a reportat a ‘Itaca’…”, la maison de si genitors, ente a continuat lo trabalh, en arribant a completar la revirada de l’entiera càntica. “Èmà nous gàches tant fis?”, demanda a Dante un danat fichat ental lac glaçat al fons de l’unfèrn. Escriu Giordano: “ Entuna fasa ‘uvernenca’ de ma vita me siu comportat coma un qual se sie àrbol ren semprevèrd. Las fuelhas eron volaas via; era pas lo cas de las regretar, en devent afrontar la neu e l’aura freida”. Quora un òme (o una societat) intra en crisi, per garir, per poler analisar-se torna sempre a sas originas, a las valors, a las basas. Parelh el, per enquestar, reconóisser e afrontar lo mal dins son còr s’es afidat “a las raïtz e a las branchas”, que ental temp se son norrias de saba e encuei donon lo bòn fruch dal fatigós percors de renaissença.

La traduccion, pro personala dins l’interpretacion de l’original, esclenta e de bèl léser e sensa pretencions literàrias, en tant que expressament e volontariament populara, es acompanhaa dal tèxt en regard, gentil regal al lector que lo vòle consultar dins lo cas que, en èssent gaire amanat abo la lenga d’òc, s’estime pus a son aise abo lo sabent florentin dal tres cent dal “divin poeta”. Ben interessanta dal ponch de vista linguístic, l’espléndid dialèct de la ruaa Pui Sotan de Vinai, en Val d’Estura, decò el, coma lo poèma de Dante, fònt generosa de tèrmes e d’expressions, testimònis tant de la varietat coma de l’unitat de la lenga d’òc, que lo grand poèta italian aguet lo mérit de argumentar e d’oficializar dins lo tractat De vulgari eloquentia. Un ulterior regal es lo pichòt glossari di tèrmes particulars típics dal luec, qualqu’uns bèla desuets, d’autri mai populars e difonduts, mas de bòts dal significat original. Un per tuchi: lo vèrbe musar dins l’accepcion de beicar fix ental morre, non pas de reflechir, coma en Val Sant Martin, o de lambanear, chichorlear, coma dins l’occitan d’al delai d’las Alps e en francés. E lhi tèrmes acabar, enairar, rúnia, sesir, cimalh, trimar? E l’òucha per lo cementieri, per repropausar una comparason entre las nòstras valadas? Mas quanti autri. La grafia dal tèxt, escricha d’abòrd “a aurelha”, coma ditz l’autor dins la presentacion, es istaa curaa da Andrea Celauro, que a rendut lo tèxt en grafia concordaa o “Escolo dou Po” e dins son introduccion descriu amplament las características regard a la mesma, las particularitats de la lenga e las chausias fachas dins lo trabalh de traduccion da part de l’autor.

“O vouzaoutre que sìa ben desgourdì, / capishè ben la doutrino ‘piatà / desout la rioro d’aquesti vèrs misterious”. L’aürosa nòva que aie vist la lutz un’òbra tant importanta per la vitalitat, la testimoniança e la memòria estòrica de la lenga de nòstras valadas, en mai que per l’entiera cultura de lenga d’òc, bèla se en explorant l’unfèrn, es un’esclarzia entun cèl escurzit. Dal Pic dau Miegjorn, al Mont Ventor, al Vísol, en passant naturalament da l’Argentiera, un gròs gràcias a Valter Giordano da part de tuchi aquilhi que an a còr la lenga occitana per aqueste preciós trabalh, que, destinat a restar, mena ren masque una tébia bisa, mas una chauda aura d’istat, portaira de bèl temp dins lo panorama de l’editoria e sobretot de la cultura locala.

Al començament dal celèbre premier chant, après s’èsser retrobat dins na selva escura, perdut e abo lo còr tracassat de paor, lo poèta arriba ai pè d’un còl. Gacha chapui e ve sas còstas “vestìes ja dei rai dou pianeto / que meno tuchi drech per tuchi i vìor”. Se vira enreire, puei contúnia. “Après qu’ài repaouzà en paou lou coùorp las, / ài repres lou viage per aquel dezert, / e lou pè ferm, èro sempre lou pe bas”. Un chamin a la valaa, e coma, que monta pas drech vèrs la lutz e constrenh a percórrer “n’aoutro vio”. Mas es Dante que ista parlant. Rèsta pas que ne’n profitar, agantar l’ocasion e lo seguir finalament, pas après pas, vèrs après vèrs.