La grafia utilizzata da "La Beidana" è quella dell'Escolo dóu Po.
Essa è stata pubblicata a cura di Arturo Genre sul N.20 del 1994 con il titolo L'ortografia del patouà. Riporto qui di seguito il testo integrale.
In risposta alla richiesta, rivoltami da "La Beidana", di fornire un quadro insieme della scrittura a suo tempo stabilita per le nostre parlate occitane, propongo approssimativamente qui, relativamente alle parti introduttiva e conclusiva, quanto scrivevo una quindicina circa di anni fa nel descrivere quel sistema (1), mentre mi limiterò a riportare nel modo più semplice e meno tecnico possibile l'elenco dei segni adottati, affiancandovi il loro valore - definito alla base di raffronti analogici con altre lingue - e, dove occorre, esempi tratti dalle parlate in oggetto. Rispetto a quel primo schema, le esigenze emerse in seguito, in fase dì utilizzo pratico della scrittura hanno occasionato alcuni, pochi, interventi di modifica e integrazione, di cui pure dò conto. Nella presentazione dei segni, seguo in parte anche i criteri da me adottati per
l'ATPM (2).
-L'esigenza di una grafia comune
Fino al 1971, per quanto non fossero mancati nelle valli occitane del Piemonte (3), e in particolare in quelle valdesi, tentativi diversi di dare forma alla rappresentazione grafica dei dialetti locali, questi sforzi (sui quali non mi soffermo), occasionati dalla necessità immediata di fissare sulla carta una poesia, un canto o una raccolta di proverbi, non portavano con sé la volontà di una stematizzazione precisa; né d'altra parte c'era stato un interesse per il problema che andasse al di là dell'àmbito del proprio patouà.
La proposta di definire un'ortografia comune per le parlate occitano-alpine presenti sul territorio italiano venne formulata nel corso di una riunione di occitanisti dell'"Escolo dòu Po" che si tenne, alla data sopra indicata, in val Grana. In quel momento si stavano formando o consolidando i vari momenti d'opinione finalizzati al recupero e alla valorizzazione delle tradizioni culturali locali che tuttora operano sul territorio, e la creazione di una grafia in grado di rappresentare le diverse varietà di occitano - di cui i rispettivi fogli informativi davano spesso saggi più o meno ampi - venne configurandosi come indilazionabile, sia per semplificare, attraverso la fissazione di precisi criteri, la trascrizione, sia per agevolare la lettura, dando nel contempo a tutti la possibilità di leggere i testi relativi alle parlate affíni e di prendere coscienza del loro fondo comune.
Dalla fase di proposta sì passò immediatamente a quella di attuazione, nominando un'apposita Commissione, composta di una decina di rappresentanti delle parlate interessate e di alcuni docenti universitari, la quale in una serie di incontri avvenuti nella sede dell'Istituto dell'Atlante Linguistico Italiano (Torino, Facoltà di Lettere) mise a punto il sistema grafico che presento qui sotto. La stesura - qui esposta in forma semplificata, come ho detto - corrisponde grosso modo al testo da me preparato per l'ultima seduta della Commissione, avvenuta all'inizio del 1972, nella quale esso venne letto e approvato. Il documento fu poi pubblicato, nel 1973, su "Coumboscuro" (4), quindi, con qualche modifica, su "Lou Soulestrelh" (5) e in seguito occasionalmente e in forma sintetica anche su altri periodici.
2-I criteri seguiti dalla Commissione:
-costituzione di un sistema grafico in grado di servire alla trascrizione di tutte le parlate provenzaleggianti delle valli alpine del Piemonte, tale che ogni segno (che può essere formato anche da più di una lettera: v. oltre), rappresenti in una data posizione un solo suono;
-rinuncia, nella scelta dei segni, a criteri etimologici, come per esempio in sino, maso, sinc, eisam "cena, mazza, cinque, sciame", dove consonanti o gruppi consonantici diversi nella matrice latina (COENA, MATEA, QU1NQUE, EXAMEN) vengono trascritti con il segno s, che rappresenta l'esito attuale, il solo che ci interessa;
-adozione di una grafia che tenga conto dei suoni aventi carattere distintivo all'interno dei vari sistemi delle nostre valli, ma non delle sfumature che caratterizzano le loro varie realizzazioni foniche. Non occorre per esempio indicare le diverse realizzazioni di r (anteriore, posteriore, vibrante o meno, moscia), che non hanno alcuna pertinenza;
-assunzione, come base di lavoro, della grafia usata da Frédéríc Mistral, con la riserva di modificarla e di arricchirla là dove essa si dimostri insufficiente o inadeguata a rappresentare il maggior numero di fonemi presenti in quest'area
-rinuncia all'adozione di segni che non siano presenti fra i caratteri di una comune tastiera: questo per evidenti motivi pratici;
-rinuncia alla creazione di qualsiasi 'coinè' dialettale, nel rispetto e per salvaguardia di tutte le varietà in uso, anche quando siano rappresentate da un numero esiguo di parlanti.
I segni
Sono elencati e descritti qui sotto unicamente i segni e le norme che si diversificano dall'uso ortografico italiano. E vengono omessi anche alcuni pronomi e soluzioni particolari, che risultano privi d'interesse in questa sede.
VOCALI
ë: come e francese di je
œ/eu: come eu fr. di peur.
Al segno eu, scelto in un primo momento, è stato successivamente preferito da molti œ, che tuttavia non sempre si adatta alle nostre parlate occitane settentrionali, dove sono frequenti le vocali lunghe, compresavi questa, la cui maggior durata, se si adotta œ, non può essere segnalata (i 'font' dei PC non lo prevedono) con il previsto circonflesso sovrapposto (v.oltre). In ogni caso non c'è adito ad ambiguità;
ou: come ou fr.
u: come u fr.
L'accento, se non serve a precisare il grado di apertura, viene indicato di norma solo quando non cade sulla penultima sillaba delle parole terminanti in vocale, sulla sillaba finale che termina in consonante o in semivocale e sui monosillabi, come risulterà chiaro dagli esempi: viro, bërsac, palai, girp; ma tèro, pìssero, mousù. Se la vocale ha già un segno sovrapposto, come è il caso di ë, l'accento viene posto accanto ad essa (aribë': Prali).
Sono previste, sotto accento, altre due vocali, che presumibilmente non si avrà occasione di utilizzare in area 'valdese':
á: suono intermedio tra a e o
ä: suono intermedio tra a e e
Talvolta, per chiarezza, è tuttavia necessario un uso più largo dell'accento. È il caso per esempio di parole piane quali sioùlo e sìoulo (entrambe in uso) o anche di monosillabi, sui quali l'accento può assumere, come in italiano, una funzione grammaticalmente distintiva: a/à, ai/ài, di/dì, ecc.
Nei nessi digrammatici eu, ou, l'accento viene posto sul secondo elemento (avreù, anchoùo).
La durata maggiore, e insolita rispetto all'italiano, delle vocali toniche, nonché di tutte le vocali atone viene indicata mediante l'accento circonflesso, eccezion fatta per le toniche distinte in aperte e chiuse: per queste ultime (chiuse) si ricorre al raddoppiamento del segno vocalico, limitando però la notazione dell'accento al primo elemento. Es.: gî, pasâ, feizeûl, bâtoun; dëvée, biáal.
Casi particolari, nel complesso sistema fonetico delle nostre parlate, sono rappresentati da esempi quali: pîtâ, dove le lunghe sono due ed è tonica la seconda; e (si tratta qui di resti, in Val Germanasca, della desinenza nominativale latina nel caso di alcuni aggettivi in posizione attributiva) chambâ rouia, Pèirâ Rousa (topon.), dë bounî prus, in cui il circonflesso indica una vocale lunga non tonica. Poiché altrove, in Val di Susa per esempio, la lunga finale atona può presentarsi anche al di fuori del contesto sopra indicato, la sua trascrizione mediante iterazione del segno (lâ gorzhaa, louz oulmee) risolverebbe meglio il problema. L'ATPM propende per quest'ultima soluzione.
Qualche difficoltà di rappresentazione è costituita dalla successione di vocali uguali, oppure di suoni aventi uguale colore ma funzione diversa, vocalica e consonantica. La Commissione ha preso a suo tempo in esame questi casi, non molto numerosi in verità, senza però addivenire, per mancanza di una documentazione esauriente, a soluzioni definitive. Fra gli esempi possibili, si possono citare, per i due casi prospettati, i seguenti:
-il plurale di féa 'pecora', che potremo scrivere fé-e, o féhe, ma non fée, dove la successione indica la lunga (v. sopra). L'ultima soluzione (in realtà la prima che venne a suo tempo scelta) si dimostra però ambigua e inaccettabile, data la presenza in alcune parlate della consonante 'aspirata', che non si può che indicare con h;
-"Driiin", "iisala", "piimèt", "fii", in cui l'elemento consonantico può essere segnalato con y: Driyin 'Andrea' (dim.), iysala 'scala', pyimèt 'stipa' fiy 'figlio'. Bobbio Pellice presenta casi simili. O ancora: "siè", che può corrispondere a: syè, si-è, o siyè 'falciare'.
Il trattino può ancora disambiguare gu-io 'ago' rispetto a un eventuale guio (v. oltre) e gu-ietoun 'spillo' rispetto a gu-ietoun, o gui-etoun; e si presta anche a distinguere pouâ 'salita' da pou-â 'potare'.
Il trattino e l'y sono già stati adottati dall'ATPM.
CONSONANTI
-ch: come c it. di cena (champ, eichino, bouch). Davanti a i, e, é è stato usato anche il segno c (eicino), cui oggi generalmente si preferisce ch, di consolidata tradizione, anche se l'adozione di c avrebbe fatto da logico 'pendant' ai due segni usati per la corrispondente sonora
-g + i, e, ë, eu e j + a, o, œ, ou, u: come g it. di gelo (gèrlo, gënt, geun; jaoun, jouve, ajut)
-qu + i, e, ë , eu e c + a, o, œ, ou, u: come c it. di casa (eiquì, quërmà; caso, couro, bric). Le sequenze corrispondenti all'it. qua, que, ecc. vengono ovviamente rese con coua, coue, ecc.
-gu + i, e, ë , eu e g + a, o, œ, ou, u:: come g it. di gara (guèro, gueup; gandre, agù)
-ç, x: simili a th ingl. di thing e, rispettivamente, this (brounço, quinxe: Valle Po)
-n, nn: in posizione finale, distinguono la n di nano da quella del torin.lun-a o dell'ingl. thing (pan 'pane', pann 'panno')
-s: come s it. di sole (sinc, douso, panas, ounsa, cousso)
-z: come s it. di rosa (zinc, reuizo, ounze, douzze)
-lh: come gl it. di figli (culhî, jalh)
-nh: come gn it. di gnomo (banhà, counh)
-sh: come sc it. di scena
-zh: come j fr. di jeune
-th: t 'schiacciata' (palatalizzata) finale, presente in Val Germanasca (ounth, conth)
-ts: come z it. di azione
-dz: come z it. di zebra
La lunghezza delle consonanti ch, lh, nh, ecc. si indica con il raddoppiamento del primo elemento (vaccho, jallho, vinnho).
L'elisione di vocali, consonanti o sillabe si indica con il segno dell'apostrofo come in italiano (l'aire, al aouv' pâ, tou' trëmp, tû' lî jouërn)
Una raccomandazione finale a chi scrive: l'ortografia di una lingua ha conformazioni lessicali e grammaticali che vanno rispettate. Non si scrive, pertanto, poniamo, a l'è andà o as trobo, come fanno i piemontesisti, ma al è andà, a s'trobbo (v.in fr.: il est allé, il se trouve), avendo riguardo per la corretta scansione nelle diverse parti del discorso.
Conclusioni.
Lo schema così predisposto, da cui ciascuno sceglie i segni che gli servono per rappresentare i suoni della sua varietà di occitano, venne per lo più accolto, pur essendosi manifestata all'inizio qualche resistenza da parte di chi si serviva già di un sistema differente (più legato all'ortografia francese o, invece, italiana) e si vedeva costretto a mutare le proprie abitudini grafiche. Ma a tutt'oggi non si è generalizzato, a motivo del riaffiorare di due tendenze già responsabili in parte della precedente pluralità di soluzioni: da un lato il desiderio di non rinunciare ad alcuni segni, più o meno etimologizzanti, ricavati dal modello mistraliano; dall'altro la volontà, guidata da motivazioni a sfondo più o meno politico, di allontanarsi invece da quel modello, colla rinuncia ai segni ritenuti 'francesizzanti', come u, sostituito da ü; qu da k; j e g (di it. gelo) da dz; ecc.: soluzioni che nuovamente cadono in quel particolarismo che s'era voluto eliminare e nel contempo denunciano un'incapacità di analisi che non scorge l'ambiguità di segni come appunto dz, dove la successione degli elementi che formano il digramma non corrisponde ai componenti dell'articolazione che si intende rappresentare e preclude d'altra parte la possibilità di trascrivere adeguatamente dz (di it. zebra), che pure le nostre parlate prevedono.
A questa situazione, già precaria, s'è poi aggiunta la pressione esercitata dall'"Institut d'Estudis Occitans", che propone un proprio modello di scrittura, di matrice trobadorica, il cui scopo è di dare sul piano grafico un'immagine unitaria e semplificata di quella che è invece una realtà linguistica notoriamente piuttosto complessa e diversificata (6). Proprio ciò che la Commissione ha voluto fermamente evitare, preoccupata di documentare la realtà di queste parlate e soprattutto di consentire alla gente delle nostre montagne, per la quale l'occitano costituisce la lingua quotidiana e non un esercizio accademico, di scrivere e leggere come parla.
Per la trascrizione dei grafemi/digrammi in alfabeto fonetico internazionale (IPA) si veda la Tabella delle corrispondenze tra grafemi e foni.
NOTE:
(1)«Rivista Italiana di Dialettologia», 4, 1978-80, 305 ss.
(2) Atlante Toponomastico del Piemonte Montano (Torino, Università degli Studi - Regione Piemonte).
(3)Alta Valle di Susa, Val Chisone, Val Germanasca, Val Pellice, Val Po, Val Varaita, Val Maira, Val Grana, Valle Stura di Demonte, Val Gesso, Val Vermenagna e Valli Monregalesi.
(4)«Coumboscuro», Santa Lucia di Monterosso Grana – CN, 46, 1973, 5-6.
(5)«Lou Soulestrelh», Sampeyre - CN, 1, 1973, 6.
(6)I criteri che presiedono a questa soluzione si potranno leggere nelle pubblicazioni esistenti sull'argomento alle quali rinvio, limitandomi a un esempio che traggo da P.Bec (La langue occitane, P.U.F., 1968, 111, nota 1): «Un mot tel que jorn "jour" recouvre en réalité une pluralité de pronunciations telles que jur, djur, djun, tsur, tsun, etc.». Come si vede, il lettore non è più in grado di riconoscere su questa base la sua parlata o di distinguerla dalle altre affini, perché tutte vengono a questo modo 'unificate', ossia di fatto travisate per far posto a un modello nuovo, artificiale. Di tale 'grafia normalizzata', con riferimento alle nostre parlate, F. Bronzati ha dato le regole fondamentali (apparse in seguito anche altrove), su «Lou Soulestrelh», 1, 1974, 4, dove precisa come qui, a seconda dei casi, aü potrà valere tanto aü quanto eü, ei, œi; ch, sia ch sia ts o sh; lh o lh o i (cons.), o j o ch; ecc.
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