Giaveno, capoluogo della verde Val Sangone, è una piccola cittadina di circa 15000 abitanti che si estende su una superficie di 71,97 km² in una fascia altimetrica che va dai 500 m s.l.m. del capoluogo ai circa 2.000 delle montagne più alte (Punta dell’Aquila, 2115 m s.l.m.).
Di supposte origini romane, l’antico borgo di Giaveno compare per la prima volta in documenti scritti risalenti all’Alto Medioevo. Nel celebre Chronicon Novalicense, composto verso la metà dell’XI secolo da un monaco anonimo dell’Abbazia di Novalesa, si accenna ad un “vicus cui nomen est Gavensis”. Il cronografo lo cita nel narrare un episodio storico risalente all’epoca carolingia, riguardante un probabile passaggio di Carlo Magno (773) in Val Sangone per aggirare la chiusa dei Longobardi, fatta erigere da re Desiderio nei pressi di Chiusa San Michele, all’imbocco della Valle di Susa.
Alcuni storici spiegano l’origine del toponimo Giaveno facendolo derivare dal termine latino Gavienum (1), riconducibile all’esistenza sul territorio di una tenuta agricola, di una villa rustica appartenuta alla famiglia latina dei Gavii di Augusta Taurinorum (Torino). Ciò potrebbe essere comprovato dal ritrovamento, effettuato nel 1979 in frazione Villa di Giaveno, di alcuni resti di una tomba romana del I secolo d.C.
Un ulteriore elemento a sostegno dell’origine romana del comune potrebbe essere ricavato proprio dal toponimo dell’area interessata dai ritrovamenti: frazione Villa, termine (villa) con il quale gli antichi romani indicavano l’insediamento agricolo principale, e che dal Medioevo passò a significare più genericamente il centro, il villaggio più importante di un’area circondata da abitati minori; dunque la zona dei reperti archeologici potrebbe rappresentare il nucleo più antico del paese.
Giaveno è la città di minoranza francoprovenzale più grande e più popolosa del Piemonte. Dal punto di vista linguistico presenta una situazione eterogenea: il borgo vecchio (il capoluogo) e le borgate del fondovalle, economicamente e culturalmente orientati verso la vicina città di Torino, sono caratterizzati da un gruppo di dialetti ormai fortemente contaminati dal piemontese; le borgate montane di Giaveno, delle Valli del Tauneri e del Romarolo, sono interessate dalla presenza del francoprovenzale, nelle cui varietà locali convivono elementi innovativi del piemontese, termini arcaici occitani e esiti francoprovenzali, sebbene il calo della popolazione locale dovuto all’abbandono della montagna e il carattere d’invecchiamento della struttura demografica attuale abbiano inciso sul numero sempre più ridotto dei parlanti; infine, borgata Selvaggio, ubicata al confine con il territorio orientale di Coazze, lontana dalla direttrice stradale principale, conserva una parlata francoprovenzale che, pur risentendo dell’influenza del giavenese, mantiene un carattere vivo e vitale.
Un’importante pagina della storia di Selvaggio è stata scritta con la costruzione dell’imponente Santuario di Nostra Signora di Lourdes, inaugurato nel 1909 e poi ampliato nel 1926. Fu un evento unico per il piccolo insediamento rurale posto ai confini di Giaveno. Il Santuario di Selvaggio è meta ancora oggi di grandi pellegrinaggi, ma pochi sanno che la sua costruzione fu il frutto della fatica e dell’impegno della gente del posto che per anni, ogni domenica, come in processione, trasportò sabbia e pietre necessarie al cantiere, recandosi al vicino torrente, il Rio Ollasio, per l’approvvigionamento di sabbia e caricando le gerle con le pietre preparate appositamente dagli scalpellini della Pradera. La vicenda della Pradéra, toponimo indicante un ‘luogo dove si cavano le pietre’, ha inizio nell’800 ed è legata alle vicissitudini di una famiglia di cavatori di Cumiana, che giunta a Selvaggio in cerca di lavoro, individuò un terreno adatto per praticare l’attività estrattiva di pietre da costruzione. Il lavoro nella cava si tramandò per ben tre generazioni, e si concluse tragicamente nel 1955 quando l’ultimo dei picapeire fu travolto e ucciso da una frana di massi. Oggi a ricordo del luogo, ormai avvolto dalla boscaglia, rimane il rudere di un vecchio fabbricato e una croce in pietra su cui è stata apposta una targa dedicata ai vecchi scalpellini del posto.
(1)Rossebastiano propone di ricercare l’origine del toponimo «nella continuazione del nome personale gallico Gavinus, registrato dallo Holder (1896-1907) nella forma Gavinius, derivato da Gavius, bene attestato». Ivi, p. 305.
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