Nel primo articolo abbiamo cercato di comprendere insieme che cosa significa il termine “francoprovenzale” e l’abbiamo fatto con le stesse parole del glottologo Ascoli, così come abbiamo tentato di delineare la presenza geografica di questo gruppo linguistico che si estende su un territorio assai ampio e articolato. Distribuito su tre stati e caratterizzato dall'esistenza di una varietà paesaggistica piuttosto marcata, il francoprovenzale è contraddistinto da destini e situazioni molto differenti a seconda dei luoghi sui quali esso insiste.
Qual è la situazione del francoprovenzale nelle nostre valli?
Ricordiamo che il territorio piemontese interessato dalla presenza del francoprovenzale annovera il comune di Carema e i 43 comuni delle Valli Orco e Soana, delle Valli di Lanzo, Ceronda e Casternone, della Val Cenischia con la media e bassa Valle di Susa e della Val Sangone. Vista l’estensione e la ricchezza di quest’area, non in tutte le valli la situazione è la stessa. Vi sono molteplici fattori sociolinguistici che influiscono sulla vitalità delle singole parlate a seconda della loro posizione e del radicamento che esse hanno nelle rispettive comunità. Se in generale assistiamo a un abbandono del francoprovenzale tra le generazioni più giovani, la sua presenza tra le altre dipende dal luogo che prendiamo in considerazione. Mentre nelle Valli di Lanzo non è raro che vi siano ancora bambini e adolescenti che lo parlano, e questo è vero in parte anche per le Valli Orco e Soana e Frassinetto, non si constata lo stesso nella Valle di Susa. Le ragioni sono plurime. La principale è sicuramente la vicinanza con l’area urbana di Torino la quale, specie a partire dal secondo dopoguerra, ha visto un’influenza culturale sempre più forte. Notiamo pertanto come le varietà francoprovenzali siano state soppiantate dal torinese, comunemente conosciuto come “piemontese”, il quale è diventata lingua materna per molti di coloro che sono nati tra gli anni quaranta e gli anni settanta. Ad esclusione di rare iniziative nate in seno alle singole comunità, non vi sono mai state azioni sistematiche di tutela; solo con l’arrivo della legge 482/99 gli organi istituzionali si sono fatti carico della salvaguardia del francoprovenzale mettendo in campo politiche che in diversa misura ancora vengono attuate sui nostri territori. Da queste derivano proprio gli sportelli linguistici che operano nelle valli e che perseguono la conoscenza e la diffusione della lingua. Non va dimenticata l’assai positiva esperienza dei corsi di lingua che vedono una presa di coscienza da parte degli abitanti delle valli e che consentono loro di riappropriarsi di un sapere altrimenti non più fruibile in famiglia. Inoltre fioriscono gruppi musicali e teatrali che animano le feste e gli eventi principali di ciascuna comunità locale e hanno un sèguito sempre più ampio. Di converso, da alcuni anni a questa parte assistiamo purtroppo a una forte flessione nel numero dei parlanti. Non è raro trovare luoghi nei quali il francoprovenzale è estinto o si sta estinguendo con pochissimi che ancora lo conoscono, penso in particolare ad alcuni comuni della Bassa Valle di Susa.
E in Valle d’Aosta?
Come abbiamo rammentato nello scorso articolo, la regione Valle d’Aosta è interessata per la sua interezza dalla presenza del francoprovenzale ad esclusione dei tre comuni di parlata valser della Valle del Lys. La situazione valdostana è piuttosto diversa da quella delle valli piemontesi in quanto le prime politiche di salvaguardia messe in atto dall’amministrazione regionale datano ormai molti decenni. L’attenzione verso la cultura e verso la lingua hanno rappresentato per la Valle d’Aosta uno dei cardini che le hanno permesso di possedere una posizione privilegiata in Italia. Il suo statuto speciale le ha consentito e ancora le consente di operare ampiamente nelle tutela dei suoi patois locali. La nascita di centri di studio e di ricerca, la promozione di pubblicazioni e di eventi congressuali, la sensibilizzazione all’interno delle scuole di ogni ordine e grado, l’impulso verso le attività teatrali così come, in ambito generale, le azioni rivolte al contrasto dello spopolamento delle zone più isolate, tutto ha contribuito a mantenere il francoprovenzale soprattutto nelle famiglie, le quali rappresentano il vero motore della vitalità di una lingua.
E all’estero?
I contesti francesi e svizzeri non sono stati e non sono favorevoli per il mantenimento del francoprovenzale. La Francia ha sempre combattuto e contrastato l’avanzamento delle lingue locali a vantaggio del francese quale unica lingua ammissibile e riconosciuta a livello nazionale. Se in alcune valli alpine, penso alla Moriana, alla Tarantasia e a pochi comuni dell’Alta Savoia, ancora troviamo qualche parlante nato negli anni cinquanta, molto più frequente è l’assenza di qualunque traccia linguistica, relegata esclusivamente al ricordo di pochi anziani così come all’interesse di appassionati o di associazioni. Non è raro che in Francia e in Svizzera il francoprovenzale sopravviva in alcune espressioni, il francese regionale della Savoia ne è intriso, anche se esse ritornano nelle conversazioni più per prendere in giro che non per sottolinearne il suo vero valore. Questo è sicuramente il frutto di anni di disistima e di disattenzione, in particolare nelle scuole dove le lingue locali sono state avversate e ostacolate. Tuttavia non tutto è perduto. Esistono comunità molto impegnate che hanno costituito gruppi di persone interessate che promuovono la conversazione, l’insegnamento e la compilazione di dizionari e di raccolte topononomastiche.
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