Dopo aver esaminato da vicino i Noëls e, in particolare, quelli nati all’interno della comunità di Bessans nell’alta valle della Moriana, vogliamo cambiare area geografica e avanzare cronologicamente nel nostro cammino letterario. Dalle zone transapline, valichiamo il colle del Piccolo San Bernardo per raggiungere la Valle d’Aosta. Nel nostro primo articolo abbiamo parlato di questa regione linguisticamente francoprovenzale e con un ottimo livello di tutela della lingua. Nonostante le sue radici assai profonde, non esistono testimonianze scritte precedenti l’ottocento, e il vero iniziatore di una letteratura regionale fu l’abate Jean-Baptiste Cerlogne.
Nato a Cerlogne (comune di Saint Nicolas) il 6 marzo 1826 da una famiglia di umili origini, Jean-Baptiste Cerlogne trascorse la sua infanzia aiutando i genitori nel lavoro dei campi e andando in Francia per fare lo spazzacamino e il cameriere. Con la maggiore età prese parte alla Prima guerra d’indipendenza italiana e iniziò a lavorare come cuoco. Nel 1855 compose una poesia nel francoprovenzale valdostano dal titolo L’Infan prodeggo (Il Figliol prodigo), primo componimento della letteratura valdostana. Nello stesso anno, prima di Natale, mise in versi la poesia La maenda à Tsesalet (La merenda a Chesallet) e, al 1861 risale la sua canzone più nota intitolata La Pastorala, canto di Natale per eccellenza in Valle d'Aosta.
Quindi divenne curato di campagna e nel 1964 celebrò la sua prima messa a Saint-Nicolas. Il 1º febbraio fu nominato vicario a Valgrisenche dove tradusse la Bolla sull'Immacolata Concezione mentre nel 1868 compose l'inno Les petits chinois (I piccoli cinesi). Dal 19 novembre 1870 venne nominato parroco di Champdepraz, dove iniziò la sua attività di viticoltore dissodando degli appezzamenti incolti.
Nell’ottobre del 1879 venne inviato alla Rettoria di Saint-Jacques d'Ayas dove per quattro anni lavorò alla redazione del dizionario e della grammatica del valdostano. Nel settembre del 1883 rientrò a Champdepraz ove compose nel 1886 Lo Tsemin de Fer (La ferrovia), l'anno seguente Le s-ou et le dove comére (Le uova e le due comari) e A do dzovenno epaou (A due giovani sposi), e nel 1888 la Pastorala di Rei (La pastorale dell’Epifania).
Nel 1891 a Barbania, in provincia di Torino, pubblicò due numeri dell'Armanaque di Velladzo (L'almanacco del villaggio) contenente la Tsanson de Carnaval (La canzone di carnevale). Il 16 giugno 1893 divenne cappellano alle Grangie di Front Canavese dove pubblicò Le maçon de Saint-Gra (I muratori di San Grato). Il 30 ottobre 1894 si trasferì a Pessinetto dove compose La vie du petit ramoneur (La vita del piccolo spazzacamino) e un’altra Tsanson de Carnaval (La canzone di carnevale), ispirata dall'ingiustizia sociale che contrappone i potenti ai poveri. Nel luglio 1896 si trasferì a Cantoira per poi recarsi a La Calma di Corio dove compose nel 1898 Cinquantiémo anniverséro de 48 (Cinquantesimo anniversario del '48). Il 12 maggio 1901, presso la rettoria di Vieyes ad Aymavilles, compose Le 22 juillet 1901 à Courmayeur (Il 22 luglio 1901 a Courmayeur) e il 30 novembre 1903, nel Priorato di Saint-Jacquême a Saint-Pierre, diede luce a Le patois valdôtain pubblicata nel 1909. In questo testo compare La fenna consolaye (La donna consolata). Morì nella canonica di Saint-Nicolas il 7 ottobre 1910.
Egli è stato il primo poeta valdostano ad aver lasciato poesie scritte e un grande studioso del francoprovenzale valdostano, dando una sistematizzazione e una forma scritta alle varietà parlate nella regione. Prima di lasciarvi con il testo della poesia L’Infan prodeggo, va ricordato il concorso che porta il suo nome e che, ogni anno (dal 1963) coinvolge più di 2.000 alunni delle scuole materne, elementari e medie della Valle d’Aosta, della Savoia, del Vallese, delle valli del Piemonte e delle comunità di Faeto e Celle di San Vito in provincia di Foggia. Esso si propone di far lavorare i ragazzi sul francoprovenzale sviluppando la produzione di documenti che sono conservati presso il Centre d’études francoprovençales di Saint Nicolas.
L’Infan prodeggo (1855)
Dze voui vo raconté la vìa d’un garçon,
Qu’innouyà di bon ten, l’at queuttà sa meison,
Yaou que l’étse tranquilo et que ren lei mancave ;
L’ayet l’écouëla pleina et pa ren lei coutave.
Voillet allé tsertsé din de pay pi llioen
Boneur et libertà ; më s’est trompà de bien.
A son papa dza vioù,
- dete-mè, quin coradzo !-
Vat demandé sa par, et se bette in voyadzo :
Dessu son tsevà gris se fot a cavalon ;
S’en vat senten sonné le s-écu di tatson.
Din lo pay que vat, faret-ë bouna vìa,
O l’alleret-ë prendre esemplo a la froumìa ?
Et ci jouli trin-trin de l’or et de l’ardzen
Sonneret-ë todzor ? Per mè n’en si ren.
Din le croè compagni, yaou son coeur lo treinàve
L’at mindzà, din vouet dzor, tot cen que possedàve,
Se troven sensa ardzen, ven finque se s-abi,
Vat demandé son pan pensen a son pay.
L’ëre tot sarvouedzà ; se jeu l’ëron fran rodzo,
Et lo fon de son coeur l’ei feget un reprodzo...
Parë, sensa travail, l’ayet pa de mindzé ;
Pe gardé le gadin l’est allà s’ingadzé.
Pe permechon de Dzeun, son métre lo tratàve
Atot de croè pan ner, come lo meretave ;
Et bien soven a dzeun, lliu s’en allàve in tsan.
Më pe bonneur vouë vint de nëtre
Lo Saveur promi dei gran ten.
I vin de se fére cognëtre
A de berdzé pouro, ignoren.
De sa veneuva, achuremen,
Lo dzablo l’est pa trop conten.
Et come son troupé se nourrichet de gllian.
La vermenna bientou roudzàve sa tsemise.
Adon lo maleureu l’at cognu sa betise.
An sainte inspirachon vin reché son espri
Et relevé son cor dza la meitsà detrui.
Il Figliol prodigo (1855)
Voglio raccontarvi la vita d’un ragazzo,
Che, annoiato dagli agi, lasciò la sua casa
Dove viveva tranquillo e non gli mancava niente:
Aveva la scodella sempre colma e non doveva pagare.
Voleva andare a cercare, nei paesi lontani,
Felicità e libertà; ma si sbagliava di grosso.
Al suo anziano padre
- ditemi, con che coraggio!-.
Va a chiedere la sua parte e si mette in cammino:
Si getta a cavalcioni sul suo cavallo grigio,
Se ne va sentendo il suono degli scudi nella sua borsa.
Nel paese dove andrà, starà bene, o dovrà prendere
esempio dalla formica?
E quel bel ticchettio dell’oro e dell’argento,
Risuonerà sempre? Io non ne so nulla.
Con le cattive compagnie, tra le quali il suo cuore
lo trascinava, in otto giorni sperperò tutto ciò che possedeva.
Rimasto senza soldi, vende perfino i suoi abiti;
Va a elemosinare il suo pane pensando al suo paese.
Era proprio fuori di sé; gli occhi erano arrossati,
E la sua coscienza lo rimproverava...
Senza lavoro, non aveva di che sfamarsi;
Trovò impiego come guardiano dei porci.
Col consenso di Dio, il suo padrone lo trattava
A pane nero disgustoso, come ben meritava;
Molto spesso se ne andava al pascolo digiuno,
E si nutriva di ghiande come il suo gregge.
Ben presto i pidocchi rosicchiavano la sua camicia;
Allora l’infelice riconobbe il suo sbaglio.
Un’ispirazione risvegliò il suo spirito,
E rimise in piedi il suo corpo malandato.
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