La stagione estiva è iniziata da quasi un mese e il richiamo del mare e della montagna diventa irresistibile. Il primo per evadere dagli orizzonti finiti della quotidianità per immergersi e perdersi in quella magnifica distesa di acqua, la seconda per ergersi a dominare il mondo e per guardare oltre, al di là. L’estate è proprio il momento migliore per cambiare quota e panorama.
A più riprese abbiamo ribadito che l’area francoprovenzale è una regione situata in pieno territorio alpino, a cavallo tra la Francia, l’Italia e la Svizzera e questa sua posizione non solo la caratterizza paesaggisticamente ma ne configura la realtà culturale, linguistica, storica e per così dire “logistica”. Senza la presenza di colli alpini, di passaggi alle basi di monti, di luoghi adatti per oltrepassare un’apparentemente impervia e invalicabile catena di cime, picchi e crestoni, non si sarebbe prodotto il fertile terreno che ha portato alla nascita del nostro gruppo linguistico e alla grande cultura europea che dalle assolate coste del Medio-Oriente, dell’Africa e della Grecia, è risalita lungo la nostra penisola, ha scavalcato la barriera alpina e si è propagata, attraverso un lungo processo di meticciamento secolare, sino alle estreme regioni della Scandinavia.
I colli sono stati uno dei tanti motori propulsori che hanno dato vita a questa straordinaria avventura chiamata Europa. Le genti delle Alpi ne sono stati i custodi, da essi hanno ottenuto beneficio e per essi e il loro controllo hanno subito gravi danni e, a volte, hanno incontrato la morte. Noi di lingua francoprovenzale, aggrappati alle pendici delle Alpi Occidentali, abbiamo prosperato ai piedi del Moncenisio, del Piccolo San Bernardo e del Gran San Bernardo, per citare quelli carrozzabili, ma anche e soprattutto ai piedi del Clapier, dell’Autaret, del Collerin, del Lys, del Teodulo, di Niemet, per citarne alcuni il cui transito può avvenire esclusivamente tramite sentiero. A questi se ne potrebbero aggiungere molti altri.
Tutti questi passi alpini hanno garantito per secoli un continuo travaso di persone, di idee, di scelte, di storie famigliari, di sogni e anche di brutte esperienze. Chi di noi non ha sentito parlare del contrabbando o della necessità di trovare lavoro altrove o, ancora, della terribile fuga dei reietti e di coloro che, rifiutati dalle loro famiglie e dalle loro comunità, venivano allontanati con l’unica speranza di trovare pace nell’anonimato?
Questi colli hanno sostenuto il peso della grande storia e il fine intreccio delle piccole vite di uomini e donne, hanno assistito al massacro delle guerre e agli spargimenti di sangue nelle trincee, alla costruzione di solidissime fortificazioni e di abitazioni in pietra per il ricovero delle persone e degli animali nella stagione estiva. I colli alpini sono stati la casa di monaci, basti pensare al Moncenisio e al Gran San Bernardo con i loro famosi Ospizi, la casa di pastori e dei loro armenti, la dimora temporanea di eserciti, di personaggi storici, quali Annibale, Carlo Magno, Napoleone Bonaparte, e il nascondiglio di briganti e malfattori.
Lungo queste strade e questi sentieri abbiamo costruito la nostra identità e la nostra lingua. Quante parole sono transitate attraverso i colli alpini. Quanti fenomeni fonetici e quante abitudini linguistiche che, altrimenti sarebbero rimaste confinate nei loro luoghi d’origine. Dove c’è l’uomo ci sono lingua e cultura e dove si sposta l’uomo, con esso si spostano la sua lingua e la sua cultura. I colli alpini sono stati un veicolo per l’uomo e per queste sue due compagne inseparabili di viaggio.
Adesso i colli sono soppiantati dalle gallerie costruite nelle montagne e dagli aerei che solcano i cieli a migliaia di metri dai nostri luoghi di vita, gli uomini preferiscono gli spostamenti veloci e i colli non sempre soddisfano questa esigenza. Si predilige superare i corrugamenti della crosta terrestre con vie di comunicazione che la penetrano da una stazione di servizio a un’altra o che la sfuggono passando da un aeroporto a un altro. I colli invece sono l’emblema dei movimenti umani che hanno rispettato la conformazione geografica della terra, sono un punto fermo e sicuro e una traccia importante nella vita del nostro continente.
Oggi che cosa rimane di questi colli?
Essi sono meta di turisti ed escursionisti, si sono trasformati in luoghi della memoria, hanno ridato voce alla storia con la costruzione di musei e di centri informativi che ne restituiscono un’immagine sincera e veritiera. Non sono più aperti tutto l’anno, così come facevano gli alacri cantonieri che spaccavano il ghiaccio e manutenevano alla perfezione delle strade che erano veri gioielli ingegneristici, non vedono più gli antichi traffici e le numerose greggi e mandrie che rallegravano i loro versanti per cinque mesi l’anno, non hanno più lo stesso significato che avevano per le generazioni passate, loro tutte rivolte verso l’oltralpe, noi tutti proiettati verso i fondovalle e le pianure. È vero, i colli non sono più tutto questo.
Oggi i colli convivono con un mondo che li ha marginalizzati e, per altri versi, valorizzati, li ha svuotati dall’inquinante passaggio di mezzi pesanti, li ha riempiti di ciclisti e camminatori, li ha resi scomodi ma anche economici, ha preferito le gallerie veloci e buie ma non ha disdegnato le bellezze naturali che solo i colli alpini sanno offrire.
Ecco che cosa sono oggi i colli: un balcone privilegiato sul mondo, il collegamento tra l’uomo e il monte e tra il monte e il sogno.
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