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Joseph d’Arbaud, La Bestia del Vacarés.

Joseph d’Arbaud, La Bestia del Vacarés, traduccion de Rosella Pellerino. Prefaccion de Monica Longobardi, Rocca di Papa, La Noce d’Oro, 2022.

Traduzione di Rosella Pellerino. Prefazione di Monica Longobardi, Rocca di Papa, La Noce d’Oro, 2022.

italiano

Da anni lamento quanto poco conosciuta sia, in Italia, la letteratura occitanica moderna e contemporanea. Ed è una vera perdita per la bellezza e per la varietà dei generi letterari in cui questa lingua si esprime. Ma finalmente è stato tradotto in italiano un romanzo di Joseph d’Arbaud, modello insuperato di prosa d’arte di una letteratura che mette al centro il rapporto tra natura e cultura, tra umano e non umano: La Bestia del Vacarés. Ho già trattato altrove di questo magnifico romanzo, il più suggestivo tra quelli che contribuirono a fare della Camargue una terra mitica, ultima patria possibile per un semidio pagano: 

Il grande Pan è morto? Non nella Camargue misteriosa evocata da Joseph d’Arbaud ne La Bèstio dóu Vacarés / La bête du Vaccarès (1926), versione in provenzale e francese. Nutrito di cultura classica, per d’Arbaud (1874-1950) l’alieno non può che riaffiorare dalla memoria profonda, da quella paganità demonizzata ed esiliata tra antiche rovine, spelonche e foreste incantate.

La missione di d’Arbaud, come del marchese Folco de Baroncelli-Javon, intellettuali impegnati nella difesa di questo habitat naturale unico e della sua cultura, era salvaguardarlo dalle insidie di logiche del profitto che snaturavano l’equilibrio dei suoi spazi, immutati nel tempo. Patrimonio deltizio naturalistico da preservare, con tutto l’immaginario poetico che lo accompagna. 

Misteriosa è l’esperienza di Jaume Roubaud, gardian che vive in questa vasta pianura acquitrinosa, e tormentato ne scrive nel suo livre de raison, a partire dal 1417. La preda che si era trovato un giorno ad inseguire non si era rivelata una semplice bestia, ma un fauno rifugiatosi in quell’estremo lembo di terra selvaggia. Il mandriano, scorgendone con orrore il volto d’uomo e le corna di un capro, lo aveva assimilato ad un demonio. Ma il semidio fuggiasco parla e rivendica nel Vacarés la sua patria elettiva:

«Questa terra è l’ultima in cui ho trovato un po’ di pace, e quella vastità sacra nella quale un tempo mi compiacevo a esercitare la mia giovane forza, quando signoreggiavo, padrone del silenzio e delle ore, maestro di quel canto sterminato che dagli insetti della piana sale verso le stelle, riecheggia e risuona nei gorghi dell’immensità. Qui, in mezzo ai pantani salmastri tagliati da spiagge sabbiose e lagune, ascoltando il muggito dei tori e il nitrito dei tuoi stalloni selvaggi, mentre di giorno, acquattato, guardavo il velo del miraggio ondeggiare sul calore della terra arsa di sale, e di notte la luna splendente e nuda danzare sull’acqua del mare, ho conosciuto per qualche tempo ciò che potrei definire felicità» (Pellerino, p. 53).

Poi, con le stremate energie della sua decrepitezza, la Bestia (così lo chiama il gardian) riafferma maestosamente, per l’ultima volta, l’antico dominio sul regno animale. Ed è così che, una notte, intere mandrie taurine della Camargue accorrono e concorrono, magnetizzate dal suono incalzante del suo flauto di canne palustri, verso la ridda vorticosa che orbita intorno al loro antico signore. Alla fine del romanzo, la Bestia, presaga che il suo tempo avrà presto termine, sarà inghiottita nel Grande-Abisso, bocca d’Averno della palude, dove l’ ‘alieno’ tornerà alla volontà che lo aveva generato, dopo la sua lunga erranza nel mondo degli uomini. 

L’originalità e la grandezza della La Bestia del Vacarés riposa nell’aver convogliato tutta la wilderness della Camargue in una personificazione mitologica panica, che provoca nel mandriano un conflitto religioso molto profondo. Il riaffiorare della paganità, storicamente soffocata dalla fede cristiana, ma mai del tutto sopita nell’anima di un gardian, esprime bene lo spirito di una terra selvaggia. Dunque, questo faccia a faccia turba le certezze dell’uomo e popola la sua abituale vita solitaria di fantasmi e di ossessioni. Eppure, Jaume arriverà a maturare e confessare a se stesso la sua fratellanza misteriosa con l’Altro («Un timore, una fratellanza, un mistero; un rimpianto, anche un rimpianto», Pellerino, p. 130), un’alterità pagana che lui finisce per riconoscere nella comune religione della Natura. Così, dopo la sparizione del fauno, Jaume ne raccoglierà il testimone per la sua missione futura: la ricerca strenua di una patria eclissata dalla storia, anche se i segni della fine incombono sul suo destino. Come già conclusi: 

La vicenda favolosa del gardian e del suo nume pagano è un magnifico dono dell’immaginazione di Joseph d’Arbaud, figlio di questo grande paese selvaggio insidiato dal disincanto della modernità e dell’accelerazione del progresso. Fiero e malinconico monumento a una lingua provenzale dalla nobile storia letteraria e alla sua cultura, erose da secoli di egemonia francese; presagio della sua fine.

Rosella Pellerino, di cultura e di lingua occitana, ha il merito di basare la sua traduzione sulla versione provenzale. La traduzione è elegante e discreta. Lascia sapientemente nella lingua di d’Arbaud i termini che tratteggiano la vita quotidiana in Camargue, l’allevamento del bestiame, la Natura con le piante e gli animali che la popolano, dotandoli di note precise e insieme suggestive. Correda la traduzione di cenni biografici sull’autore (pp. 17-20), la sua bibliografia (pp. 21-22) e la traduzione della Preghiera del mandriano (con testo a fronte pp. 24-27). Alla fine del volume, pone una Nota alla traduzione (pp. 133-135), e la bibliografia di cui si è avvalsa (pp. 137-139). Ci restituisce così, con accuratezza e semplicità, un grande libro che spero apra le porte alla conoscenza di una letteratura ancora tutta da scoprire.

occitan

Despuei d’ans me planho de qué tant sie pauc conoissua, en Itàlia, la literatura occitànica modèrna e contemporànea. E es una vera pèrda per la beltat e la varietat di genres literaris dins lhi quals s’exprim aquesta lenga. Mas finalament es istat revirat en italian un romanç de Joseph d’Arbaud, modèl insobrable de pròsa d’art de una literatura que buta al centre lo rapòrt entre natura e cultura, entre l’uman e lo ren uman: La Bèstio dóu Vacarés. Ai já tractat en autre luec d’aqueste magnífic romanç, lo pus suggestiu entre aquilhi que contribuïsson a far de la Camarga una tèrra mítica, darriera pàtria possibla per un semidiu pagan:


Lo grand Pan es mòrt? Ren dins la Camarga misteriosa evocaa da Joseph d’Arbaud dins La Bèstio dóu Vacarés /La bête du Vaccarès (1926), version en provençal e francés. Norrit de cultura clàssica, per d’Arbaud (1874-1950) l’alien pòl pas que reaflorar dins la memòria profonda, da aquela paganitat demonizaa e exiliaa al metz de antícias roïnas, tunas e forèstas enchantaas.


La mission de d’Arbaud, coma dal marqués Folco de Baroncelli-Javon, intellectuals empenhats dins la defensa d’aqueste habitat natural unenc dins sa cultura, era lo salvagardar da lhi agachs de lògicas dal profit que desnaturavon l’equilibri de si espacis, immutats dins lo temp. Patrimòni deltici naturalístic da preservar, abo tot l’imaginari poètic que l’acompanha.


Misteriosa es l’experiença de Jaume Roubaud, gardian, que viu dis aquesta vasta plana sanhosa, e tormentat ne’n scriu dins son livre de raison, a partir dal 1417. La preda che s’era trobat derant un jorn a enseguir s’es pas revelaa masque una bèstia, mas un faune se refugiat dins aquel canton de tèrra salvatja. Lo gardian, ne’n veient esfraiat lo morre d’òme e lhi còrns de un boc, l’avia assimilat a un demòni. Mas lo semidiu fugitiu parla e revéndica dins lo Vacarés sa pàtria electiva:


«Aquesta tèrra es la darriera ente ai trobat un pauc de patz, e aquela vastitat sacra ente un temp m’amusavo a adobrar ma jove fòrça, quora senhorejavo, patron dal silenci e d’las oras, mèstre d’aquel chant infinit que da lhi insècts de la plana monta vèrs las estèlas, retuna e ressona enti gorgs de l’immensitat. Aicí, al metz di sanhàs salmastres talhats da de plajas sablosas e de lagunas, en escontant lo brul di tòrs e l’endilh de si estalons salvatges, dal temp que de jorn, acachat, beicavo lo vel dal miratge ondejar sus la chalor de la tèrra bresia da la sal, e de nuech la luna luienta e nua dançar sus l’aiga de la mar, ai conoissut per qualque temp çò que poleriu definir lo bonaür» (Pellerino, p. 53).


Puei, abo las darrieras energias de sa vielhonja, la Bèstia (parelh coma lo sòna lo gardian) torna afermar maestosament, per lo darrier bòt, l’antic domini sal rènhe animal. E es parelh que, una nuech, d’entiers tropèls de tòrs de la Camarga acorron e concorron, magnetizaas dal sòn pressant de sa flaüta de canas palustras, vèrs la ronda torbilhonanta que òrbita a l’entorn de lor antic senhor. A la fin dal romanç, la Bèstia, en presagiant que son temp lèu finirè, serè englotia dins lo Grand-Abís, gola d’Alvèrn de la palud, ente l’ ‘alien’ tornarè a la volontat que l’avia generat, après sa lònja errança dins lo mond de lhi òmes.


L’originalitat e la grandessa de La Bestia del Vacarés repausa dins l’aver achanalat tota la wilderness de la Camarga dins una personificacion mitològica pànica, que pròvoca dins lo gardian un conflict religiós ben profond. Lo reaflorar de la paganitat, estoricament estofaa da la fè cristiana, mas jamai apasiaa dal tot dins l’anma de un gardian, rend ben l’esperit de una tèrra salvatja. Boquò, aqueste faça a faça trobla las certessas de l’òme e pòpla son abituala vita solitària de fantasmes e d’obsessions. Pasmenc, Jaume arrubarè a maürar e se confessar sa frairança misteriosa abo l’Autre («Un timore, una fratellanza, un mistero; un rimpianto, anche un rimpianto», Pellerino, p. 130), un’alteritat pagana que ele finís per reconóisser dins la comuna religion de la Natura. Coma aquò, après la disparicion dal faune, Jaume ne’n prenerè lo testimòni per sa mission futura: la recèrcha valenta de una pàtria eclipsaa da l’estòria, bèla se lhi senhs de la fin peson sus son destin. Coma já conclús:


L’estòria favolosa dal gardian e de son diu pagan es un magnífic don de l’imaginacion de Joseph d’Arbaud, filh d’aqueste grand país salvatge insidiat dal desenchantament de la modernitat e da l’acceleracion dal progrès. Fier e estantós monument a la lenga provençala da la nòbla estòria literària e a sa cultura, minjaas da de sècles d’egemonia francesa; presage de sa fin.


Rosella Pellerino, de cultura e de lenga occitana, a lo mérit de basar sa traduccion sus la version provençala. La traduccion es eleganta e discreta. Laissa d’un biais sabent dins la lenga de d’Arbaud lhi tèrmes que esbòçon la vita quotidiana en Camarga, l’enlevatge dal bestiam, la Natura abo las plantas e lhi animals que la pòplon, en lhi dotants de nòtas precisas e ensem suggestivas. Garnís la traduccion d’elements biogràfics sus l’autor (pp. 17-20), sa biografia (pp.21-22) e la traduccion de La preguiero dóu gardo-bèstio (abo lo tèxte en regard (pp. 24-27). A la fin dal volum, buta una “Nota alla traduzione (pp. 133-135), e la bibliografia dont s’es valgua (pp. 137-139). Coma aquò nos restituís, abo soanh e simplicitat, un grand libre que espero duerbe las pòrtas a la conoissença de una literatura encà tota da descurbir.