italiano Nato nel 1944 è cresciuto in Israele nella Jezreel Valley.
Ha ottenuto il suo MA (Maître de l’Académie) in filosofia presso l’Università La Sorbonne di Parigi.
È autore di racconti, novelle e sceneggiature, traduttore di chiara fama della letteratura francese.
Miran ha ricevuto il Prime Minister’s Prize, il BBC World Service Prize, l’ ACUM Prize for Literary Achievement (1995), e il French Ministry of Culture Award per il suo impegno nel promuovere la cultura francese in Israele.
Dal 2003 Reuven Miran è Chevalier dans l’Ordre des Palmes cadèmiques, titolo prestigioso del Ministère de l’Éducation Nationale Français.
Nello stesso anno ha fondato, insieme alla moglie Shoshana, Nahar Books, una nuova casa editrice israeliana, di cui è direttore, che riserva particolare attenzione ai classici umanistici europei in materia di libertà e dignità umana, dedicando particolare attenzione alle voci delle minoranze culturali oppresse o a rischio di scomparsa a causa di discriminazioni. I testi scelti dalle Edizioni Nahar si prefiggono di affrontare la post modernità in una chiave che riaffermi i valori umanistici universali nella coscienza degli uomini.
Attualmente risiede a Binyamina.
Miran ha pubblicato quattordici libri - raccolte di novelle e romanzi - ed è considerato dalla critica letteraria come un “maestro della novella (short story)” in quanto è stato uno dei primi scrittori moderni israeliani a utilizzare
la lingua ebraica parlata e non letteraria.
I personaggi delle sue opere sono persone che vivono ai margini della società, persone individualiste che rifiutano la pressione sociale, politica o culturale e si trovano in situazioni esistenziali cariche di angoscia e di solitudine.
Non hanno radici in nessun luogo, ovvero il mondo intero è la loro patria.
A Reuven Miran il Premio Ostana Scritture in lingua madre / Escrituras en lenga maire dedica il primo volume della Collana uScritture / Escritras,
curato da Barbara Passarella.

Nel cuore

In una calda mattina di inizio luglio, uscii di casa con Ella Fitzgerald. Per andare da Kfar Saba1 a Gerusalemme. Cominciammo il viaggio verso est, quindi svoltammo verso sud e infine nuovamente ad est. Il sole, ancora basso all’orizzonte, mi pungeva di quando in quando gli occhi. A sud di Rosh Ha’aïn2 entrammo in un viale coperto dalla polvere degli alberi di carrubo. Sotto ai rami secchi erano ammonticchiate lavatrici, stufe, pezzi di elettrodomestici, e imposte di plastica e d’alluminio che un tempo avevano celato molte cose. L’est non era lontano. Una leggera polvere si levò da quella direzione, dalla direzione in cui le cave sbarravano d’un tratto l’orizzonte. La cittadina di Afek3, a seconda dell’epoca e delle circostanze, sembrava deserta. Vi entrammo per un attimo, senza però scendere dall’automobile. Su uno degli spessi muri esterni era scritta con pennellate di catrame una parola sola: Falastin4. La fuliggine dei falò, un tempo nera, copriva ora tutte le pietre.
Scendemmo sulla nazionale per proseguire il viaggio. La strada passava tra ulivi e piante di fico, sparpagliati senza alcun ordine sulle colline tra le rocce, le cui teste grigie sole sovrastavano i rovi secchi. Pioppi alti e sottili crescevano qua e là. Una sola scintilla, pensavo, basterebbe una sola scintilla.
All’incrocio di Beït Naballah5 vedemmo alcuni eucalipti bruciati. Tutto quel che era rimasto del loro fogliame era di colore grigio e giallo. Rami bruciati erano cresciuti dai tronchi carbonizzati. Non lontano di lì, vicino ad un segnale di STOP c’era un ragazzino con una carrozzina, un tempo verde. In essa un grande mucchio di keakhim6. Un camion militare marron passò di lì, si fermò per due secondi, ma solo in rispetto del segnale stradale. La strada era deserta. Una polvere chiara e fine si levò alta dai pneumatici doppi posteriori.
Ci fermammo accanto al bambino. Ella rimase seduta nella Subaru. Scesi solo io. Il cambio rimase in folle. Il motore continuava a ronzare. L’aria era fresca e piacevole. Una brezza leggera ce l’aveva portata dall’ovest.
“Uno shekel e mezzo la piccola, due shekel la grande”, disse il ragazzino.
Era un ragazzino arabo dai capelli gialli e con grandi occhi blu; blu come il cielo che avvolge questo Paese tutto intero. Sulla sua ampia fronte la polvere si era mescolata al sudore ed insieme colavano lentamente dietro i lobi delle orecchie.
“Due grandi”, dissi. Una per me ed una per Ella, pensai.
Una fragranza di impasto cotto al forno e di grani di sesamo bruciati colpì le mie ghiandole salivali. Il ragazzino mise due grandi ciambelle in un sacchetto di nylon nero trasparente e poi vi aggiunse un po’ di za’atar7, avvolto in un foglio di carta, strappato da un vecchio elenco telefonico.
Tornai all’automobile e quando aprii la portiera sentii nuovamente Ella. Le ciambelle erano calde e il loro profumo leggero riempì lo spazio angusto. Mangiammo, viaggiando tra campi di cotone e vigne. Un vecchio Boeing 707 si alzò lentamente con grande fragore verso ovest, mentre il sole gli bruciava la coda. Rimasi in silenzio e così potei sentire Ella molto meglio.
In effetti, prima della curva a sinistra, non segnalata, verso Kfar Truman8, mi disse: “So che vivrò/ il resto della mia vita/ con una canzone sulle labbra/ per te.”
Non ero sicuro - e neanche ora ricordo esattamente - se avesse detto “con una canzone sulle labbra” o “con una canzone nel cuore”, ma non aveva importanza, almeno in quel momento. La grande orchestra che l’accompagnava, lottava contro il ronzio continuo del motore e tutti e due insieme ebbero la meglio nel mio timpano. Forse per questo non udii esattamente le parole ricamate dalla sua voce grande e calda.

Ella Fitzgerald non arrivò con me fino a Gerusalemme. La lasciai a Sha’ar Ha’gaï9. Forse è passata con un altro autista, in un’altra stazione. Ho continuato da solo tra pini e cipressi sottili. I blindati dipinti con l’antiruggine stavano lì, come sempre, coperti di corone di fiori appassiti da una cerimonia passata. Il cielo era blu come i grandi occhi del ragazzino all’incrocio di Beït Naballah. Il profumo delle ciambelle persisteva dentro l’automobile. Qualcosa mi soffocò da dentro. Pensavo che dopo Motza10 l’aria sarebbe stata più fresca e più facile da respirare. Invece era diventata sempre più calda e pesante e si era posata nel profondo del mio petto.
Azionai il climatizzatore. Una sferzata di vento fresco invase l’automobile e mi spalancò i polmoni. Guidai lentamente, nello specchietto retrovisore vidi un camion che cominciava a sorpassarmi, esitante. Aveva una targa blu dei Territori Occupati. Era carico di bottiglie di Coca Cola vuote. Dopo aver ultimato il sorpasso, scomparve dietro una curva. Ancora una volta rimasi solo.
Improvvisamente ricordai.
“Nel cuore”, diceva.
Adesso ne ero certo.
Nel cuore.



Note del traduttore

1    città fondata nel 1903 dai pionieri nella zona di Sharon,
    nella parte centrale dello Stato di Israele
2    il nome significa luogo in cui inizia la sorgente;
    piccola città ad est di Tel Aviv
3    antico nome ebraico di una cittadina ad est di Tel Aviv,
    ribattezzata Mirabel dai Crociati
4    Palestina in lingua araba
5    nome arabo di un villaggio palestinese abbandonato
    nel corso della guerra del ’48, in cui si trova oggi una grande base
    per i trasporti dell’esercito israeliano, abbandonato dai britannici
6    ciambelle
7    zattar o zahtar è una miscela di spezie originaria del Medio Oriente.
    Il termine arabo za’atar si riferisce ad alcune piante locali della famiglia delle Lamiaceae, tra le quali maggiorana, origano e timo.
8    villaggio
9    il nome significa “la porta della valle”. Si tratta del luogo
    in cui inizia la scalinata tutta curve per Gerusalemme.
10     vecchia local???ità ebraica ad ovest di Gerusalemme.