A peste, fame et bello, libera-nos, Domine! (Da peste, fame e guerra, liberaci, Signore!) si canta nelle litanie dei Santi. E il quattordicesimo secolo fu il secolo della guerra dei cent’anni e quello della morte nera, la peste, che nel 1348 devastò tutta l’Europa, che passò da ottantacinque milioni di abitanti a quarantacinque. Sembrava essere la morte a menare la danza. Nel 1376, nel poema Respit de la Mort s’impiega, per la prima volta, quell’immagine:
“Je fis de Macabré la dance
“Feci di Macabré la danza
qui toutes gens maine à sa tresche
che ogni persona mena nella sua tresca
et a la fosse les adresche
e alla fossa invia
qui leur est derraine maison”
ch’è sua ultima magione”
“Macabro”: oggi, forse, nessuno si domanda piú da dove proviene questa parola, divenuta un’aggettivo corrente. L’etimologia è oscura: si pensa all’Arabo mqbara, cimitero. D’ogni modo, vi è almeno stata un’attrazione verso il nome degli eroi biblici di quella guerra d’indipendenza fatta dai fratelli Maccabei, narrata nel Liber Macchabeorum. Un tempo, nella Messa dei defunti, si leggeva l’episodio dell’offerta di denaro che costoro avevano fatto perché si offrissero dei sacrifici all’intenzione di quelli che erano morti nella guerra in stato di peccato.
Fatta, infine, una colletta, mandò a Gerusalemme circa 2000 dracme d’argento, affinché si offrisse un sacrificio espiatorio per quel peccato, opera degna e nobile, suggerita dalla fede nella resurrezione. 2 Mc 12, 43 – Pregare perché i morti siano liberati dai loro peccati, è, dunque, santo e salvifico termina la versione latina al v. 46.
“Nell’anno 1424, è stata fatta la danza macabra nella chiesa degli Innocenti di Parigi, ed è stata cominciata, pressapoco, verso il mese di agosto e terminata per la Quaresima dell’anno successivo” nota il Giornale di un Borghese di Parigi. Si tratta della chiesa dei Santi Innocenti, in cui, su di una parete del cimitero, che, sfortunatamente, fu demolita nel 1554, si trovava quell’affresco.
Il cimitero, che era un luogo ideale per i predicatori che volevano portare la gente a convertirsi pensando alla morte ventura, è stato abolito nel 1786. Era un luogo di grande passaggio, dove non mancavano clienti ai mercanti di moda e in cui i “segretari dei Santi Innocenti” facevano gli scrivani pubblici. Il duca Jean de Berry vi aveva fatto scolpire, nel 1408, la fiaba orientale dell’Incontro tra i tre vivi e i tre morti. E il Giornale di un Borghese di Parigi narra che fra’ Richard, un francescano, vi aveva predicato per una decina di giorni, di spalle alla danza macabra e rivolto alle botteghe dei venditori.
Sulla parete ora demolita del cimitero degli Innocenti, a Parigi, i morti –i “Maccabei”, come si dice ancor oggi in argot per parlare dei morti– avevano ancora, a giudicare dai ventitré schizzi incisi dell’edizione che ci ha lasciato Guyot Marchand nel 1485, il ventre nero della terribile malattia. Sono rappresentati nel momento di prendere per mano i rappresentanti delle differenti classi sociali. Degli storici, fidandosi di racconti folcloristici –massimamente tedeschi– su scheletri che danzano al cimitero, pensano che l’immaginazione popolare, smossa dal vedere che né ricchezza, né potere potevano salvare dall’epidemia, aveva finito per vestirli dei costumi caratteristici dei differenti strati sociali.
Due manoscritti di San Vittore (Ms BN lat. 14904 e fr. 25550) riportavano “i versi della Danza Macabra, tali e quali come sono nel cimitero degli Innocenti”, ed è quel testo, più affidabile delle sue incisioni, che riproduce l’edizione di Guyot Marchand, attribuito generalmente a Jean Gerson.
Questo pittore aveva dei modelli letterari: nell’Incontro tra i tre vivi e i tre morti, i tre cadaveri dicono a un duca, a un conte e ad un figlio di re “Tels serez vous comme nous sommes” (“Sarete così come siamo noi”). I tre morti non sono scheletri, ma cadaveri in decomposizione come la sola donna rappresentata nella cappella di Macra.
Nondimeno, non si può dire che quei morti danzino letteralmente, come nell’affresco di Macra, dove menano la farandola, a volte con la schiena piegata fino a toccar terra con la testa, a volte lanciati in avanti o saltando sui piedi.
Ma le danze macabre spagnole amano mostrar la morte che invita i vivi:
“A la danza mortal venid los nacidos!”
(“Alla danza mortale, venite, viventi!”),
“Vos, rei poderoso, venid a danzar!”
(“Voi, re potente, venite a danzare!”).
E il predicatore, facendo fretta:
“Haced lo que os digo, no os retraséis que ya la muerte comienza su terrible danza!”
(“Fate quello che vi dico, non ritraetevi che già la morte comincia la sua terribile danza!”).
Doveva essere cosí anche nella rappresentazione che il Duca di Borgogna aveva fatto fare in una danza macabra a Bruges nel 1449, prova, se non di un’origine teatrale, almeno di una riproposizione teatrale del tema. Nell’edizione di Guyot Marchand, una stampa mostra l’orchestra dei morti composta da un quatuor: arpa, tamburo, cornamusa, organo portativo.
Questa edizione parigina conosce una trentina di copie. La danza macabra della Chaise-Dieu rappresenta, forse, la sequenza di personaggi piú vicina a quella che abbiamo qui: il numero dei personaggi è forse legato allo spazio disponibile, ma la serie della cappella di Macra, probabilmente, corrisponde ad una serie corta più antica. La tendenza era, infatti, piuttosto di aggiungerne: cosí, ad esempio, in Guyot Marchand, con i mestieri, nel 1486. Alla Chaise-Dieu (1480), questo capita con le donne –secondo il manoscritto BN fr. 25434, sembra che una prima danza di donne sia apparsa con Marziale di Alvernia–. La civiltá cortese d’Occitania deve per forza aver esercitato una certa influenza. Guyot Marchand nel 1491 aggiunge 36 personaggi femminili (“la danza macabra delle donne”) ai 40 personaggi maschili della sua edizione del 1486.
La scelta dei personaggi potrebbe essere rivelatrice degli interessi del comandatario dell’opera. Si vede che, a differenza della Chaise-Dieu, non è stata aggiunta alla “danza macabra degli uomini” una serie femminile, e che la cultura laica (il Signore, la dama e il trovatore, il monaco filosofo e il poeta) non è stata qui tenuta in alcun conto. Ma se ci ricordiamo i temi degli affreschi del registro superiore, ci accorgiamo che l’artista, forse di un livello minore di quello che ha dipinto la danza macabra, l’ha messa al servizio del messaggio di Tommaso Biazaci: sono coloro che hanno poteri e fortuna che sono chiamati a lasciare l’orgoglio e l’amore per il denaro –tanto i principi della Chiesa che i padroni del mondo–. E il paesano, che, alla fine, resta spaiato, rappresenta, forse, solo la gente del luogo, i contadini vittime dell’arroganza o beneficiari della generosità dei grandi della Terra.
commenta