Come il pellegrino che nel lontano Medioevo sostava al riparo di antiche cappelle e ammirando con devozione i preziosi affreschi in esse contenute trovava il giusto conforto spirituale per proseguire il suo cammino, così oggi il viandante che percorre la valle Maira non può che godere dello splendore figurativo e della ricchezza iconografica che questi luoghi di fede sanno ancora trasmettere.
La storia e la cultura religiosa di una fiorente ed aggregata comunità alpina distribuita in piccoli borghi lungo un antico itinerario romeo, rivivono, infatti, nelle immagini affrescate da artisti locali ed itineranti ispirate, nei secoli del Basso Medioevo, a modelli stilistici in evoluzione dal Romanico al Gotico. Così se in San Costanzo al Monte, a Villar San Costanzo, sopravvivono i frammenti della Genesi della metà dell’XI secolo, in San Salvatore a Macra, la Tentazione di Adamo ed Eva, l’offerta di Caino e Abele e la Danza di Salomè, del XII secolo, costituiscono l’ultima testimonianza di un ciclo romanico, in origine esteso a tutta la zona absidale ma, dalla metà del Quattrocento, celato sotto una nuova campagna figurativa ispirata a stilemi ormai gotici.
Partecipe della ricchezza culturale che animava il Marchesato di Saluzzo sullo scadere del Medioevo, la valle Maira fa da sfondo, nel corso del Quattrocento, ad un prezioso alternarsi di maniere e di culture figurative stimolate iconograficamente dall’amplificarsi del culto mariano e dalla devozione verso santi e martiri protettori venerati localmente.
Storie tratte dalla vita di Maria e sviluppate intorno ai temi della Natività di Gesù e del Transito della Vergine si ritrovano così in San Peyre a Stroppo e in San Giacomo a Paglieres, affrescate, entro il secondo decennio del Quattrocento, da botteghe di ascendenza ligure. La Natività, l’Adorazione dei Magi e la Circoncisione fanno invece da riscontro alle Storie di San Martino nella cappella di San Pietro a Macra, affrescate da Tommaso Biasacci di Busca in anni prossimi al 1460, mentre a Marmora, nella cappella dei Santi Sebastiano e Fabiano, Giovanni Baleison di Demonte, tra il settimo e l’ottavo decennio del secolo, completa il ciclo dell’Infanzia con la Fuga in Egitto e il Miracolo del grano con il Martirio di San Sebastiano.
Celebrata in ogni suo momento la Vita di Maria appare in valle solo nel primo Cinquecento rievocata da Hans Clemer lungo le pareti del presbiterio della parrocchiale di Elva e intercalata dalla maestosa Crocifissione concepita sul modello nordico. Allievo di Jossè Lieferinxe, Clemer è il nuovo personaggio emergente nell’ambito figurativo della valle, cui si deve anche lo splendido polittico della parrocchiale di San Giovanni Battista a Celle Macra, commissionatogli nel 1496. La sua maniera dotta e raffinata segna, infatti, un punto di rottura rispetto alla tradizione figurativa locale, fino ad allora legata ad episodi lombardi di primo Trecento e ad una cultura mediterranea filtrata attraverso la Liguria ed il Nizzardo.
Ad essa aveva attinto non solo il Baleison, che vediamo ancora attivo nel 1484 in San Sebastiano a Celle Macra, ma lo stesso Biasacci che, fin dalla sua prima opera nota all’esterno della parrocchiale dei Santi Giorgio e Massimo a Marmora, datata 1459, si dimostra un raffinato conoscitore della tradizione locale scandita allora, più a valle, dall’opera di Pietro da Saluzzo. A questo artista guardava, infatti, con reverenza l’aulica committenza saluzzese, affidandogli l’esecuzione del ciclo nella parrocchiale di San Pietro in Vincoli di Villar San Costanzo, dedicato alla Vita di San Giorgio e datato 1469, in cui l’eleganza della linea morbida e fluente si accosta ad una ricerca espressiva a tratti orrida e grottesca.
E’, infatti, la tendenza al visionario ed al macabro che va a completare il quadro iconografico del tardo Medioevo in valle Maira, non solo attraverso le fantasie tratte dai bestiari medioevali che alimentavano il repertorio degli Zabreri di Pagliero, come di altri maestri scalpellini del tempo, ma anche con la suggestiva interpretazione della Danza degli scheletri in San Pietro a Macra in cui l’anonimo artista sullo scorcio del Quattrocento faceva riecheggiare in versi ed in immagini la fugacità dei piaceri terreni di fronte al pensiero di una morte che allora come oggi appariva a tutti ineluttabile.
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