Ricordo ancora quando Enzo Vayr, entrando al Ce.S.Do.Me.O. di Giaglione nell’ottobre del 2013, mi annunciò la prima edizione di un dizionario dell’area di Pratobotrile e di Laietto, nel comune di Condove. L’interesse fu tale che non esitammo nemmeno un istante a metterci in contatto con l’autore così come ad avere un esemplare di quel volume. Nel giro di pochi giorni organizzammo un incontro con Francesco Pautasso (Tchiquìn d Felicina come si firma nella premessa) il quale si presentò con il suo “Spalufrì, m’ign, soufràm. Divagazioni sul patois di Laietto” (settembre 2013). Per noi fu una vera scoperta. Pautasso è un uomo di poche parole, pragmatico, avvezzo all’approfondimento ma al contempo sobrio e contenuto. La nostra conversazione si è presto tramutata in uno scambio di mail. Ci siamo trasmessi consigli e suggestioni, il nostro dialogo è sempre stato aperto e franco. Un’ulteriore sorpresa è stata l’edizione de “Il francoprovenzale di Mocchie e Laietto” (giugno 2014), ove Francesco Pautasso compie una selezione ragionata di quanto già proposto nel libro precedente e arricchisce il suo lavoro con i disegni di Giorgio Cinato.
Si tratta di un volume in cui la memoria si lega indissolubilmente alla lingua. La ricerca linguistica non si slega mai dalle narrazioni della sua mente, quelle legate all’infanzia trascorsa sulle montagne di Condove, attorniato da una famiglia numerosa e unita. Pare di risentire le voci di quelle persone che un tempo affollavano i versanti. La scelta di tornare alla propria terra d’origine dopo aver trascorso molti anni all’estero, è per Pautasso un segno di profondo rispetto verso un mondo che ha lasciato da giovane e che non ha più trovato al suo ritorno nell’età della pensione. Dopo un’analisi del francoprovenzale e dei suoi aspetti storici e percezionali, è assai interessante la riflessione che egli compie intorno al sistema grafico, vero cruccio di chi chiunque si appresti a scrivere una lingua prettamente orale. Non è qui il caso di dilungarsi sulle scelte fatte, più importante è scorrere l’indice dell’opera nel quale già si manifestano le preferenze di metodo messe in atto per la trattazione. La raccolta di parole per temi o gruppi semantici, i lunghi elenchi corredati di traduzione in italiano, la fitta presenza di testi in lingua e un significativo apparato di spiegazioni grammaticali, fanno di questo dizionario uno strumento fondamentale per la conoscenza del francoprovenzale di quell’area, attualmente privo di pubblicazioni come quella corposa di Pautasso. Alcune centinaia di lemmi, riuniti nell’ambito di una raccolta lessicografica, dal francoprovenzale all’italiano e viceversa, concludono l’opera che conta 400 pagine. L’autore ci trasmette una lingua che ha conservato molto della sua originalità e che ha saputo preservarsi dall’inesorabile risalita del piemontese, colonizzatore di tutta la bassa Valle di Susa. Ad una lettura approfondita emerge la presenza di fenomeni fonetici che si ritrovano solo in quest’area. Basti pensare all’evoluzione dei nessi consonantici GL e CL in -d- e in -t- ex. lat. glacies “ghiaccio” diah e lat. clavus “chiodo” è tió. Molto diffusa è la fricativa laringale -h-, anche in sede finale di parola, vedasi appunto diah “ghiaccio”. La progressione dell’accento avvicina molto questa varietà a quelle della Val Cenischia, si pensi a parole come luneù “luna” e èipieù “spiga”, mentre però nei paesi ai piedi del Moncenisio essa si estende anche ai nomi maschili, qui si riscontra solo in quelli femminili. Come detto sopra, uno dei meriti di Pautasso è stato quello di raccogliere dei testi nei quali la lingua viene presentata a tutto tondo, nei suoi aspetti fonetici, morfologici e grammaticali. Da essi emergono una profusione di espressioni idiomatiche e un grande bagaglio di saperi e di conoscenze che richiamano incessantemente il sostrato culturale dell’autore, fatto di ricordi di un mondo che lo ha segnato e che lo ha condotto a quest’opera assai estesa. Sicuro che il lavoro di Francesco Pautasso non si esaurisce con la pubblicazione “Il francoprovenzale di Mocchie e di Laietto” ma che prosegue nella quotidianità di uno studio fatto di scavi nella memoria e di ricerca sul campo, così come fa ciascuno di noi, non mi resta che invitare tutti ad appassionarsi alla lingua come il nostro autore e, perché no, a possedere una copia di questo libro.
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