Il mantello - Dino Buzzati
LO MANTÈL - Dino Buzzati
di Peyre Anghilante

Egli comparve improvvisamente sulla soglia e la mamma gridò: «Ah benedetto!» correndo ad abbracciarlo. Anche Anna e Pietro, i due fratellini molto più giovani, si misero a gridare di gioia. Ecco il momento aspettato per mesi e mesi, così spesso balenato nei dolci sogni dell'alba, che doveva riportare la felicità.
Egli non disse quasi parola, troppa fatica costandogli trattenere il pianto. Aveva subito deposto la pesante sciabola su una sedia, in testa portava ancora il berretto di pelo. «Lasciati vedere» diceva tra le lacrime la madre, tirandosi un po' indietro «lascia vedere quanto sei bello. Però sei pallido, sei.»
Era alquanto pallido infatti e come sfinito. Si tolse il berretto, avanzò in mezzo alla stanza, si sedette. Che stanco, che stanco, perfino a sorridere sembrava facesse fatica.
«Ma togliti il mantello, creatura» disse la mamma, e lo guardava come un prodigio, sul punto d'esserne intimidita; com'era diventato alto, bello, fiero (anche se un po' troppo pallido). «Togliti il mantello, dammelo qui, non senti che caldo?»
«No, no lasciami» rispose evasivo «preferisco di no, tanto, tra poco devo uscire...»
«Devi uscire? Torni dopo due anni e vuoi subito uscire?» fece lei desolata, vedendo subito ricominciare, dopo tanta gioia, l'eterna pena delle madri. «Devi uscire subito? E non mangi qualcosa?»
«Ho già mangiato, mamma» rispose il figliolo con un sorriso buono, e si guardava attorno assaporando le amate penombre. «Ci siamo fermati a un'osteria, qualche chilometro da qui...»
«Ah, non sei venuto solo? E chi c'era con te? Un tuo compagno di reggimento? Il figliolo della Mena forse?»
«No, no, era uno incontrato per via. È fuori che aspetta, adesso.»
«È lì che aspetta? E perché non l'hai fatto entrare? L'hai lasciato in mezzo alla strada?»
Andò alla finestra e attraverso l'orto, di là del cancelletto di legno, scorse sulla via una figura che camminava su e giù lentamente; era tutta intabarrata e dava sensazione di nero. Allora nell'animo di lei nacque, incomprensibile, in mezzo ai turbini della grandissima gioia, una pena misteriosa ed acuta.
«È meglio di no» rispose lui, reciso. «Per lui sarebbe una seccatura, è un tipo così»
«Ma un bicchiere di vino? glielo possiamo portare, no, un bicchiere di vino?»
«Meglio di no, mamma. È un tipo curioso, è capace di andar sulle furie»
«Ma chi è allora? Perché ti ci sei messo insieme? Che cosa vuole da te?»
«Bene non lo conosco» disse lui lentamente e assai grave. «L'ho incontrato durante il viaggio. È venuto con me, ecco».
Sembrava preferisse altro argomento, sembrava se ne vergognasse. E la mamma, per non contrariarlo, cambiò immediatamente discorso, ma già si spegneva nel suo volto amabile la luce di prima.
«Senti» disse «ti figuri la Marietta quando saprà che sei tornato? Te l'immagini che salti di gioia? È per lei che volevi uscire?»
Egli sorrise soltanto, sempre con quell'espressione di chi vorrebbe essere lieto eppure non può, per qualche segreto peso.
La mamma non riusciva a capire: perché se ne stava seduto, quasi triste, come il giorno lontano della partenza? Ormai era tornato, una vita nuova davanti, un'infinità di giorni disponibili senza pensieri, tante belle serate insieme, una fila inesauribile che si perdeva di là delle montagne, nelle immensità degli anni futuri. Non più le notti d'angoscia quando all'orizzonte spuntavano bagliori di fuoco e si poteva pensare che anche lui fosse là in mezzo, disteso immobile a terra, il petto trapassato, tra le sanguinose rovine. Era tornato, finalmente, più grande, più bello, e che gioia per la Marietta. Tra poco cominciava la primavera, si sarebbero sposati in chiesa, una domenica mattina, tra suono di campane e fiori. Perché dunque se ne stava smorto e distratto, non rideva più, perché non raccontava le battaglie? E il mantello? Perché se lo teneva stretto addosso, col caldo che faceva in casa? Forse perché, sotto, l'uniforme era rotta e infangata? Ma con la mamma, come poteva vergognarsi di fronte alla mamma? Le pene sembravano finite, ecco invece subito una nuova inquietudine.
Il dolce viso piegato un po' da una parte, lo fissava con ansia, attenta a non contrariarlo, a capire subito tutti i suoi desideri. O era forse ammalato? O semplicemente sfinito dai troppi strapazzi? Perché non parlava, perché non la guardava nemmeno?
In realtà il figlio non la guardava, egli pareva anzi evitasse di incontrare i suoi sguardi come se ne temesse qualcosa. E intanto i due piccoli fratelli lo contemplavano muti, con un curioso imbarazzo.
«Giovanni» mormorò lei non trattenendosi più. «Sei qui finalmente, sei qui finalmente! Aspetta adesso che ti faccio il caffè.»
si affrettò alla cucina. E Giovanni rimase coi due fratelli tanto più giovani di lui. Non si sarebbero neppure riconosciuti se si fossero incontrati per la strada, che cambiamento nello spazio di due anni. Ora si guardavano a vicenda in silenzio, senza trovare le parole, ma ogni tanto sorridevano insieme tutti e tre, quasi per un antico patto non dimenticato.
Ed ecco tornare la mamma, ecco il caffè fumante con una bella fetta di torta. Lui vuotò d'un fiato la tazza, masticò la torta con fatica. "Perché? Non ti piace più? Una volta era la tua passione!" avrebbe voluto domandargli la mamma, ma tacque per non importunarlo.
«Giovanni» gli propose invece «e non vuoi rivedere la tua camera? C'è il letto nuovo, sai? ho fatto imbiancare i muri, una lampada nuova, vieni a vedere... ma il mantello, non te lo levi dunque?... non senti che caldo?»
Il soldato non le rispose ma si alzò dalla sedia muovendo alla stanza vicina. I suoi gesti avevano una specie di pesante lentezza, come s'egli non avesse vent'anni. La mamma era corsa avanti a spalancare le imposte (ma entrò soltanto una luce grigia, priva di qualsiasi allegrezza).
«Che bello!» fece lui con fioco entusiasmo, come fu sulla soglia, alla vista dei mobili nuovi, delle tendine immacolate, dei muri bianchi, tutto quanto fresco e pulito. Ma, chinandosi la mamma ad aggiustare la coperta del letto, anch'essa nuova fiammante, egli posò lo sguardo sulle sue gracili spalle, sguardo di inesprimibile tristezza e che nessuno poteva vedere. Anna e Pietro infatti stavano dietro di lui, i faccini raggianti, aspettandosi una grande scena di letizia e sorpresa.
Invece niente. «Com'è bello! Grazie, sai? mamma» ripetè lui, e fu tutto. Muoveva gli occhi con inquietudine, come chi ha desiderio di conchiudere un colloquio penoso. Ma soprattutto, ogni tanto, guardava, con evidente preoccupazione, attraverso la finestra, il cancelletto di legno verde dietro il quale una figura andava su e giù lentamente.
«Sei contento, Giovanni? sei contento?» chiese lei impaziente di vederlo felice. «Oh, sì, è proprio bello» rispose il figlio (ma perché si ostinava a non levarsi il mantello?)e continuava a sorridere con grandissimo sforzo.
«Giovanni» supplicò lei. «che cos'hai? che cos'hai, Giovanni? Tu mi tieni nascosta una cosa, perché non vuoi dire?»
Egli si morse un labbro, sembrava che qualcosa gli ingorgasse la gola. «Mamma» rispose dopo un po' con voce opaca «mamma, adesso io devo andare.»
«Devi andare? Ma torni subito, no? Vai dalla Marietta, vero? dimmi la verità, vai dalla Marietta?» e cercava di scherzare, pur sentendo la pena.
«Non so, mamma» rispose lui sempre con quel tono contenuto ed amaro; si avviava intanto alla porta, aveva già ripreso il berretto di pelo «non so, ma adesso devo andare, c'è quello là che mi aspetta.»
«Ma torni più tardi? torni? Tra due ore sei qui, vero? Farò venire anche zio Giulio e la zia, figurati che festa anche per loro, cerca di arrivare un po' prima di pranzo...»
«Mamma» ripetè il figlio, come se la scongiurasse di non dire di più, di tacere, per carità, di non aumentare la pena. «Devo andare, adesso, c'è quello là che mi aspetta, è stato fin troppo paziente.» Poi la fissò con sguardo da cavar l'anima.
Si avvicinò alla porta, i fratellini, ancora festosi, gli si strinsero addosso e Pietro sollevò un lembo del mantello per sapere come il fratello fosse vestito di sotto. «Pietro, Pietro! su, che cosa fai? lascia stare, Pietro!» gridò la mamma, temendo che Giovanni si arrabbiasse.
«No, no!» esclamò pure il soldato, accortosi del gesto del ragazzo. Ma ormai troppo tardi. I due lembi di panno azzurro si erano dischiusi un istante.
«Oh, Giovanni, creatura mia, che cosa ti han fatto?» balbettò la madre, prendendosi il volto tra le mani. «Giovanni ma questo è sangue!»
«Devo andare, mamma» ripetè lui per la seconda volta, con disperata fermezza. «L'ho già fatto aspettare abbastanza. Ciao Anna, ciao Pietro, addio mamma.»
Era già alla porta. Uscì come portato dal vento. Attraversò l'orto quasi di corsa, aprì il cancelletto, due cavalli partirono al galoppo, sotto il cielo grigio, non già verso il paese, no, ma attraverso le praterie, su verso il nord, in direzione delle montagne. Galoppavano, galoppavano.
E allora la mamma finalmente capì, un vuoto immenso, che mai e poi mai i secoli sarebbero bastati a colmare, si aprì nel suo cuore. Capì la storia del mantello, la tristezza del figlio e soprattutto chi fosse il misterioso individuo che passeggiava su e giù per la strada, in attesa, chi fosse quel sinistro personaggio fin troppo paziente. Così misericordioso e paziente da accompagnare Giovanni alla vecchia casa (prima di condurselo via per sempre), affinché potesse salutare la madre; da aspettare parecchi minuti fuori del cancello, in piedi, lui signore del mondo, in mezzo alla polvere, come pezzente affamato.
Après un penós aténder, quora l’esperança començava já a murir, Joan tornet a sa maison. Avia pas encà batut dui bòts, sa maire era darreire a desbarassar la taula, era una grisa jornaa de març e volavon de chàuvias.
D’un crèp el pareisset sal lindal e la maire criet: «Ah benesit!», en corrent l’embraçar. Decò Ana e Peire, si dui pichòts fraires, ben pus joves d’el, se buteron a criar de jai. Vaquí lo moment esperat per de mes, tan sovent desirat dins lhi dòuç sumis de l’alba, que devia portar mai lo bonaür.
El diset esquasi pas mot, era tròpa la fatiga de retenir lo plor. Avia pausat d’abòrd lo sabre pesant sus una carea, portava encara en tèsta la casqueta de borra. «Laisse-te veire», disia la maire al metz des grimas, en se tirant un pauc arreire, «Laisse-te veire coma sies bèl. Mas sies... sies palle».
En efèct era pro palle e coma esquintat. Se levet la casqueta, avancet al metz de l’estància, s’assetet. Que las, que las, mesme a sorire pareissia far fatiga.
«Mas gave-te lo mantèl, mon filhet», diset la maire, en l’agachant coma un prodigi, sal ponch de n’èsser espauria; coma era vengut aut, bèl, fier (bèla se un pauc espalli). «Gave-te lo mantèl, done-m’o aicí, sentes pas que chaud?».
En se sarrant a còl lo matèl, coma per se defénder, el se retraiet, coma auguesse crenta que lhi l’eschanquesson.
«No, no laisse-me», respondet evasiu, «preferisso de no, tantotun d’aicí a gaire me chal salhir....»
«Te chal salhir? Tornes après dui ans e d’abòrd vòs salhir?», diset ilhe desconsolaa, en veient tot d’un crèp començar mai, après tant de jai, l’etèrna pena de las maires. «Te chal salhir d’abòrd? E manges pas qualquaren?»
«Ai já minjat, mama» respondet lo filh embe un sorís bòn, e se guinchava a l’entorn en saborant las penombras aimaas. «Nos sem fermats dins un òste, pas ben luenh d’aicí....»
«Ah, sies pas vengut solet? E qui lhi avia embe tu? Un companh de regiment? Lo filh de la Mena, benlèu?»
«No, no, es un rescontrat per charriera. Es defòra qu’atend.»
«Es aquí que t’atend? E perqué l’as pas fach intrar? L’as laissat al metz de la via?»
Anet a la fenèstra e a travèrs l’òrt, delai dal cancelet de bòsc, apercebet una figura que chaminava amont e aval lentament; era tota enfardaa e donava una sensacion de nier. Alora dins son còr naisset, incomprensibla, al metz di torbilhums de la jòi granda, una pena misteriosa e ponhenta.
«Mielh de no», respondet el, sec. «Aquò l’embestiaria, es un tipe coma aquò».
«Mas un bichèl de vin? Lhi lo polem portar, no, un bichelet de vin?»
«Mielh de no, mama. Es un tipe dròlle, es bòn de montar sal caval gris»
«Mas qui es alora? Perqué te sies butat embe el? Çò que vòl da tu?»
«Lo conoisso pas ben», diset el lentament e embe un ton ombrench. «L’ai rescontrat al lòng dal viatge. Es vengut embe mi, aquò es tot.»
Semelhava que preferesse un autre argument, semelhava n’aver onta. E la maire, per pas lo genar, chambiet súbit argument, mas já s’estenhia dins son morre grinós la lutz de derant.
«Sent», diset, «te figures Marieta quora sauberè que sies tornat? As present que sauts de jai? Es per ilhe que volies sortir?»
El soriet solament, totjorn embe aquela expression de qui voleria èsser jaiós e pòl pas, per qualque secret magon.
La maire arribava pas a comprene: perqué se’n restava aquí setat, tristós, coma lo jorn luenh de la partença? Aüra era tornat, avia una nòva vita derant el, un’infinitat de jorns sensa susts, tantas bèlas seradas ensem, una fila sens fin que se perdia delai des montanhas, dins las immensitats de lhi ans a venir. Pas pus las nuechs d’angoissa, quora a l’orizont esponchavon lusors de fuec e én polia pensar que decò el foguesse ailai ental metz, jasut immòbil al sòl, lo còr trapassat, al metz des ruïnas sanhantas. Era tornat, finalament, pus grand, pus bèl, e que jai per Marieta. D’aquí a un pauc començava la prima, se serion mariats en gleisa, una diamenja matin, entre lo sòn de campanas e de flors. Perqué donc se’n restava espalufrit e destrach, riïa pas pus, perqué contiava pas las batalhas? E lo mantèl? Perqué se lo tenia sarrat a còl, embe la chaud que fasia dins la maison? Benlèu perqué, dessot, l’unifòrm era eslandraa e empautaa? Mas embe sa maire, coma polia se crenhe derant sa maire? Las penas semelhavon finias, mas te aquí d’abòrd una nòva inquietuda.
Lo morre dòuç clinat un pauc d’un cant, lo gachava sagrinaa, se prenent garda de pas lo contrariar, en cerchant de comprene sal colp tuchi si desirs. Benlèu era malate? O simplament esquintat da las tròpas fatigas? Perqué parlava pas, perqué l’agachava nimanc?
En efèct lo filh l’agachava pas, e mai pareissia evitar d’encontrar lhi siei esgards, coma se ne’n crenhesse qualquaren. Lhi dui frairets entrementier l’agachavon quiets, embe un curiós embarràs.
«Joan» mormolhet ilhe en se tenent pas mai. «Sies aicí, sies aicí finalament! Atend, aüra te fau un cafè.»
Se desgatget a la cusina. E Joan restet embe lhi dui frairets tant pus joves d’el. Se se foguesson rescontrats per la via se serion nimanc reconeissuts, que chambiament en aquilhi dui ans. Aüra s’agachavon l’un l’autre en silenci, sensa trobar las paraulas, mas de bòts soriïon ensem tuchi tres, coma per un vielh pact ren desmentiat.
E vaquí tornar la maire, vaquí lo cafè fumant e una bèla trancha de torta. El bevet la taça d’un flat, masteet la torta a pro pena. «Çò que lhi a? T’agrada pas pus? Un bòt era ta passion!», auria volgut lhi demandar la maire, mas taset per pas lo desranjar.
«Joan», lhi prepauset alora, «e vòs pas tornar veire ta chambra? Lhi a lo liech nòu, sas? Ai fach emblanchir lhi murs, t’ai butat un lume nòu, ven veire... e lo mantèl, te lo gaves pas?... sentes pas que chaud?»
Lo soldat lhi respondet pas, mas s’aucet da la carea en anant vèrs l’estància da pè. Lhi siei gèsts avion una sòrta de grèva lentessa, coma se auguesse pas vint ans. La maire era corrua anant a esbalasar lhi escurs (mas intret ren qu’una lutz grisa, sensa deguna alegressa).
«Que bèl!», diset el embe un feble entosiasme, coma foguet sal suelh, en veient lhi armaris nòus, las tendinas immaculaas, lhi murs blancs, tot fresc e polit. Mas, dal temp que la maire se clinava arranjar la cubèrta dal liech, decò ela nòva novissa, el pauset l’esgard sus sas espatlas mingras, esgard d’una tristessa inexprimibla e que degun polia veire; de fach Ana e Peire eron darreire el, embe lors morrets jaiós, en s’atendent una granda scèna de jòi e de sorpresa.
Mas ren. «Coma es bèl! Gràcias, sas? Mama» diset mai, e foguet tot. Bojava lhi uelhs inquiets, coma qui vòle fito sarrar un devís penible. Mas sobretot, chasque tant, regardava, embe un’evidenta preocupacion, a travèrs la fenèstra aquela figura que se promenava lentament darreire lo vèrd cancelet de bòsc.
«Sies content, Joan? Sies content?» demandet ilhe empacienta de lo veire jaiós. «Òh, sí, es pròpi bèl» respondet lo filh (mas perqué s’obstinava a pas se gavar lo mantèl?) e continuava a sorire d’un rire forçat.
«Joan» supliquet ilhe. «Qu’as-tu? Qu’as-tu, mon filhet? Tu m’estremes qualquaren, perqué vòs ren dir?»
El se mordet una bocha, semelhava que qualquaren lhi engorgesse la gola. «Mama», diset après un pauc embe una vòutz estofaa, «Mama, aüra me chal anar.»
«Te chal anar? Mas tornes súbit, no? Vas da Marieta, ver? Ditz-me la veritat, vas da Marieta?» E cerchava d’èsser legiera, belà en sentent la pena.
«Sai pas, mama» respondet el totjorn embe aquel ton contengut e amar; entrementier s’enchaminava a la pòrta, avia já pilhat lo berret de borra. «Sai pas, mas aüra me chal anar, lhi a aquel ailai que m’atend.»
«Mas tornes pus tard? Tornes? D’aicí a doas oras sies aicí, ver? Farei decò venir barba Júlio e la danda, figure-te que fèsta decò per ilhs, cèrcha d’arribar un pauc derant dinar...»
«Mama» repetet lo filh, coma se l’esconjuresse de pas dir de mai, de tàser, per caritat, de ren afortir la pena. «Me chal anar aüra, lhi a quel ailai que m’atend, es estat fins tròp pacient.» Puei la fixet embe un esgard da chavar l’anma.
S’aprochet a l’uis. Lhi frairets, encara festós, s’embrinqueron a son còl e Peire descostet una fauda dal mantèl per veire coma lo fraire foguesse vestit dessot. «Peire, Peire! Çò que fas? laissa estar, Peire!» criet la maire, en crenhent que Joan s’enrabiesse.
«No, no!» exclamet decò lo soldat, en s’apercebent dal gèst dal filh. Mas desenant era tròp tard. Las doas faudas de drap bloiet s’eron entredubèrts un instant.
«Oh, Joan, ma creatura, çò que t’an fach?» borbotet la maire, en se prenent lo mòrre dins las mans. «Joan, mas aquò es de sang!»
«Me chal anar, mama» repetet el per lo segond bòt, embe una fermessa desperaa. «L’ai já fach aténder pro. Adiu Ana, adiu Peire, adiu mama».
Era já sus l’uis. Salhet coma menat da l’aura. Traverset l’òrt esquasi en corrent, durbet lo cancèl, dui cavals parteron al galòp dessot lo cèl borre, non pas vèrs lo país, no, mas a travèrs las praterias, amont vèrs lo nòrd, vèrs las montanhas. Galopavon, galopavon.
E alora la maire finalament comprenguet; un vueit immens, que jamai lhi sècles serion bastats a emplenir, se durbet dins son còr. Comprenguet l’estòria dal mantèl, la tristessa dal filh e sustot qui foguesse lo misteriós individu que se promenava ençai e enlai per la via en l’atendent, qui foguesse aquel sinistre personatge fins tròp pacient. Tan pacient e misericordiós d’acompanhar Joan a sa vielha maison (derant de se lo menar via per sempre), per que polguesse salutar la maire; d’aténder un baron de minutas defòra dal cancèl, en pè, el senhor dal mond, al metz de la possiera, coma un pauràs afamat.
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