Chambra d'Òc    Catalogo d'oc

Catalogo d'oc

MAL DI LINGUA

MAL DI LINGUA

Chambra d'Òc

Autore: Larreula Enric
Edizioni: Chambra d'òc
Libro pp.381 anno 2008
Libro tradotto dal catalano da Alessandra Gondolo, racconta il terribile dolore del popolo che sente la perdita della propria lingua.


EUR 16.00


Presentazione di Alessandra Gondolo
Andai a Barcellona nel 2003 per il Progetto Erasmus di scambio fra le università europee. Scelsi la Spagna perché lo spagnolo era l'unica lingua che pensavo avrei potuto imparare; scelsi Barcellona perché era una grande città, ed avevo voglia di una grande città. Quando seppi che avevo vinto la borsa di studio iniziai a studiare lo spagnolo. Comprai il vocabolarietto, la grammatica in piccolo formato e cominciai a studiare, in modo sistematico, partendo dalle cose principali. Dopo una settimana mi annoiai, mollai tutto pensando che avrei studiato in Spagna, che il miglior modo per affrontare una lingua fosse impararla nel luogo in cui viene parlata. 
Così partii. Non mi ricordo il primo periodo in cui stetti là, mi ricordo solo che cercai casa, la trovai molto in centro, costosissima e con luci al neon in ogni stanza. Vivevo con un inglese, un americano, un italiano e due colombiani, i padroni di casa. Mi piaceva stare lì; si parlava spagnolo e a poco a poco si imparava ad usare in modo corretto questa lingua, ed io ero contenta di imparare finalmente qualcosa che sarebbe stato utile: una lingua straniera molto parlata che avrebbe scalzato l'inglese, così mi si diceva.
All'università, le lezioni erano in spagnolo, io le capivo abbastanza bene e non mi ponevo alcuna domanda. Solo ogni tanto, quando vedevo parole come dimarts e divendres (martedì e venerdì in catalano), spesso contratte in dm e dv, non capivo cosa volessero dire e quando mi dissero che indicavano i giorni delle lezioni mi stupii, visto che in spagnolo martedì e venerdì si dicono martes e viernes. Ma non è che mi creasse così tanti problemi. Per imparare in modo più approfondito la lingua, per poi magari anche dare l'esame all'Istituto Cervantes e poterlo quindi mettere sul curriculum, affissi un biglietto all'Università: cercasi ragazzo/ragazza per tandem di spagnolo-italiano. Nel frattempo, la mia vita da Erasmus andava avanti, si usciva per le strade di Barcellona, si andava in molti posti frequentati da stranieri, ci si divertiva. E si parlava spagnolo, a parte gli irlandesi e gli inglesi, "che tanto l'inglese si parla dappertutto e quindi che senso ha imparare lo spagnolo". Così, ero costretta a cercare di parlare inglese, io italiana a Barcellona.
Un po' perché mi sembrava un'assurdità, un po' perché avevo voglia di conoscere la parte della città più autentica, un po' perché non riuscivo ad esprimermi in una lingua anglosassone decisi di lasciar perdere tutta una cerchia di persone. La fortuna o il destino mi aiutò notevolmente perché un giorno ricevetti una telefonata: era un ragazzo che mi chiedeva di fare uno scambio di italiano-spagnolo. Accettai immediatamente e andai, il giorno dopo, a casa sua. Quando entrai, Sergi mi accolse con un bel sorriso, mi fece sedere al tavolo e mi chiese, in spagnolo: "Sei sicura di voler imparare il castigliano e non il catalano?". Io lo guardai un po' stranita e poi ridendo dissi: "Sì, voglio imparare il castigliano!" e pensai "ma che vuole questo e che è ‘sto catalano e a che mi serve?". Non è che non sapessi cosa fosse il catalano, sapevo, così per sentito dire, che a Barcellona si parlava il catalano e per di più davano anche delle lezioni gratis per stranieri che avessero voluto impararlo. Io mi ero pure iscritta, ma forse più per conoscere gente che per altro. Ed era talmente noioso e insignificante che lasciai immediatamente il corso. Facemmo tandem, dunque, Sergi ed io. Io gli parlavo in italiano, lui in spagnolo, anche se cercava in tutti i modi di introdurre termini catalani; diceva: "Questo in spagnolo si dice così, in catalano cosà". Ma a me continuava a non importare, nessuno lo parlava, poteva essere interessante, certo, ma prima avrei voluto imparare il castigliano, la lingua utile e poi il dialetto, come lo definivo io. Non voglio dilungarmi troppo e i ricordi cominciano ad essere confusi e leggermente idealizzati. Incominciai a frequentare sempre più assiduamente Sergi e i suoi coinquilini, Paco, il "teorico del catalano" e molti altri. Andai a vivere da loro con la regola che Sergi e Paco mi avrebbero parlato in catalano ed io in castigliano, ognuno come era abituato a fare. Fu così che, a poco a poco, imparai il catalano, lasciai perdere sempre più il castigliano, non diedi l'esame all'Istituto Cervantes ed incominciai a capire molte cose riguardo alla realtà catalana e alla difficoltà del parlare questa lingua (e non usai mai più il termine dialetto!). Così conobbi Enric Larreula, all'Università, alla presentazione di questo suo libro, Dolor de llengua (Mal di lingua), una presentazione divertente e amara, infarcita di aneddoti che testimoniavano semplicemente la difficoltà e l'incapacità di parlare la propria lingua e di comprendere l'importanza di continuare a farlo.
A Paco e Sergi brillavano gli occhi quando uscivamo; parlavo con i loro amici in catalano e questi mi dicevano: "Ma come, sei italiana e parli catalano?"; ed erano orgogliosi, Paco e Sergi. Mi parlavano dei loro paesi di origine (in realtà erano valensiani) indicandomeli su una carta geografica dei Paisos Catalans: Finestrat, paese di Sergi, e Agres, paese di Paco. Non c'era volta che non si parlasse delle loro tradizioni, del loro modo di esprimersi, del loro modo di pensare; la loro storia sempre presente nelle loro teste. Una volta mi domandarono: "E tu che ci dici delle tue zone, delle tue parlate?". Non seppi cosa rispondere; mi trovai in grande difficoltà. Balbettai che in Italia, vicino a Cuneo, si parlava ancora occitano, che mio nonno era occitano, era di Elva ma niente di più. Loro sorrisero, come se avessero trovato in me e nelle mie parole una comunanza mai sentita. Ma io pensavo a tutt'altro, pensavo a tutto quello che non sapevo, a tutte quelle radici così forti in Catalunya, in Sergi e in Paco e così deboli in me. Avevo un nonno occitano, un nonno di Elva. Questo mi rendeva fiera. Ma sapevo realmente che cosa volesse dire essere occitano o essere catalano? Per quanto riguarda il catalano, lo stavo imparando. E lo vedevo nelle espressioni di Paco e di Sergi, nel loro parlare continuamente di lingua, del problema della lingua, lo vedevo nel loro agitarsi ad ogni decisione politica che portasse sempre più all'annientamento della loro lingua, lo vedevo nel loro studiare Lingua e letteratura catalana, lo vedevo nell'incredulità delle persone quando mi sentivano parlare catalano. Il catalano: le radici, le tradizioni, una maniera di esprimersi, una maniera di essere, non una chiusura nei confronti dell'esterno ma un modo di autoconservarsi. Capivo la loro ansia quando entravo nei negozi o andavo a fare il biglietto alla stazione e il negoziante o il bigliettaio, pur sentendomi parlare in catalano, mi rispondeva in castigliano, ed io, che ormai facevo più fatica a parlare castigliano che catalano, continuavo a parlare nella loro lingua, senza ottenere alcuna risposta.
Furono Sergi e Paco a farmi capire l'importanza di ciò che significa avere determinate origini, una particolare cultura e una lingua per esprimerle. Questo è il catalano e questo è l'occitano: una maniera di dire come si è, una maniera di esprimere il proprio essere, qui ed ora, tra le montagne che tagliano l'aria e cadono a precipizio, forti e dure, senza sfumature.
Conobbi, così, le mie origini in un paese straniero, conobbi la necessità del plurilinguismo che elimina il pensiero unico e unilaterale e mi portai tutto a casa. Ed ecco il perché della traduzione.
Alessandra Gondolo
[1] Il termine tandem viene usato come "scambio vicendevole di due lingue"

occitan Presentacion de Alessandra Gondolo
Anero a Barcelona dins lo 2003 per lo Projèct Erasmus d'eschambi entre las universitats euopèas. Cernero l'Espanha perque l'espanhòl era la soleta lenga que pensavo auriu polgut aprene; cernero Barcelona perque era una granda vila, e aviu vuelha d'una granda vila. Quora saubero qu'aviu ganhaa la borsa d'estudi comencero a estudiar l'espanhòl. Chatero un vocabulariet, la gramàtica en pichòt format e comencero a estudiar, en maniera sistemàtica, partent da las causa principalas. Après una setmana n'auguero enuei e quitero tot en pensant qu'auriu estudiat ailen, que la maniera melhora d'afrontar una lenga era de l'aprene dins la lueia ente ven parlaa.
Com aquò partero. M'enaviso pas lo premier temp que restero ailen, m'enaviso masque que cerchero maison, la trobero ben en centre, chara coma lo fuec e abo de lutz al neon en chasque estància. Viviu abo un anglés, un american, un italian e dui colombian, lhi patrons de maison. Me plasia istar aquí; se parlava espanhòl e un pauc per bòt s'emparava a adobrar en maniera justa aquela lenga, e mi ero contenta d'emparar finalament qualquaren que seria estat útil: una lenga estrangiera ben parlaa qu'auria parat via l'angles, aquò me dision.
A l'universitat las leiçons eron en espanhòl, aviu pas de mal a comprene e me pausavo pas de demandas. Solament de bòts, quora veïu de paraulas coma dimarts e divendres (dimars e divendre en catalan), sovent contrachas en dm e dv, compreniu pas çò que volesson dir e quora me diseron qu'indicavon lhi jorns de las leiçons foguero estonaa, daus que en espanhòl dimars e divendres se dison martes e vienres. Mas aquò m'empachava pas mai que tant. Per aprene en maniera mai aprofondia la lenga, e magara puei poler donar decò l'examèn a l'Institut Cervantes e lo butar sus lo curriculum, afichero un bilhet a l'universitat: se cèrcha filh/filha per tandem d'espanhòl-italian. Entrementier, ma vita d'Erasmus anava anant, se salhia per las vias de Barcelona, s'anava dins un baron de pòsts frequentats da estrangiers, én s'amusava. E se parlava espanhòl, gavat lhi irlandés e lhi anglés, "qu'entant l'anglés se parla d'en pertot e donc que sens a aprene l'espanhòl". Com aquò ero constrecha a cerchar de parlar anglés, mi, italiana a Bacelona.
Un pauc perque me semelhava un'absurditat, un pauc perque aviu vuelha de conóisser la partia mai auténtica de la vila, un pauc perque arribavo pas a m'exprímer dins una lenga anglo-sàxona, decidero de quitar tota una cercla de personas. La fortuna o lo destin m'ajuet ben perque un jorn m'arribet una telefonaa: era un filh que me demandava de far un eschambi italian-espanhòl. Aceptero d'abòrd e lo jorn seguent anero dins cò siu. Quora intrero, Sergi m'aculhet abo un bèl sorrís, m'acomodet a la taula e me demandet, en espnhòl: "Sies segura de voler aprene lo castilhan e pas lo catalan?". Lo gachero un pauc estrania, puei respondero en rient: "Sí, vuelh aprene lo castilhan!" e pensero "mas çò que vòl aqueste e çò qu'es aquel catalan e a çò que me sèrv?" Es pas que saubesse ren çò que foguesse lo catalan, saubiu, com aquò, per sentut dir, que a Barcelona se parlava lo catalan e que donavon decò de leiçons gratis per estrangiers qu'auguesson volgut l'aprene. M'ero fins enscricha, mas benlèu mai per conóisser de gent que per d'autre. E era talament enuiós e insinhificant que quitero súbit lo cors. Donc fasérem lo tandem, Sergi e mi. Mi lhi parlavo en italian, el en espanhòl, ben s'en totas manieras cerchava d'introduire de tèrmes catalans; disia: "Aquò en espanhòl se ditz parelh, en catalan parelh". Mas a mi continuava a pas m'emportar, degun lo parlava pas. Segur polia èsser interessant, mas derant auriu volgut aprene lo castilhan, la lenga útila e puei lo dialèct, coma lo definiu. Vuelh pas me delonjar tròp e lhi recòrds començon a se far confús e un pauc idealizats. De mai en mai comencero a frequentar Sergi e si colocataris, Paco, lo "teòric dal catalan" e un baron d'autres. Me meirero dins çò lor abo la regla que Sergi e Paco m'aurion parlat en catalan e mi en castilhan, chascun coma era acostumat. Parelh, gaire per bòt, aprenero lo catalan, laissero pérder sempre mai lo castilhan, donero pas l'examèn a l'Institut Cervantes e comencero a comprene ben de causas regard a la realitat catalana e a la dificultat de parlar aquela lenga (e jamai pus adobrero lo tèrme "dialèct"). Es parelh que conoissero Enric Larreula, a l'Universitat, a la presentacion d'aqueste siu libre, Dolor de llengua (Mal de lenga), una presentacion divertenta e amara, enfarcia d'anecdòts que testimoniavon simplament la dificultat e l'incapacitat de parlar la pròpria lenga e de comprene l'importança de lo continuar a far.
Mentre sahiem a Paco e Sergi lusion lhi uelhs; devisavo abo lors amís en catalan e lor me dision: "Mas coma, sies italiana e parles catalan?"; e Paco e Sergi eron orgulhós. Me contiavon di lors país d'origina (a dir lo ver eron valencian) me lhi mostrant sus la carta geogràfica di Paisos Catalans: Finestrat, d'ente venia Sergi, e Agres, país de Paco. Lhi avia pas bòt que se devisesse pas de lors tradicions, de lor maniera de s'exprímer, de pensar; lor istòria sempre presenta dins lor tèsta. Un bòt me demanderon: "E tu qué dises de ton caire, di tiei parlars?" Foguero pas bòna de respónder; me trobero en gròssa dificultat. Balbuciero qu'en Itàlia, a l'aviron de Coni, se parlava encara occitan, que mon petè era occitan, era d'Elva, mas ren de mai. Lor sorïeron, coma auguesson trobat en mi e dins mas paraulas una comunança jamai sentua. Mas mi pensavo a tot autre, pensavo a tot aquò que saubiu pas, a totas aquelas raïtz tant fòrtas en Catalonha, en Sergi e Paco e tant feblas en mi. Aviu un petè occitan, un petè d'Elva. Aquò me donava fieressa. Mas saubiu realament çò que volguesse dir èsser occitan o èsser catalan? Regard al catalan, ero mentre a l'aprene. E lo veïu dins las expressions de Paco e Sergi, dins lor contunh devisar de lenga, dal problema de la lenga, lo veïu dins lor s'agitar a chasque decision política que portesse sempre mai a l'anienament de lor lenga, lo veïu dins lor estudiar Lenga e literatura catalana, e dins las persona quora m'auvion parlar catalan. Lo catalan: las raïtz, las tradicions, una maniera de s'exprímer, una maniera d'èsser pas una clausura enti confronts de l'exterior, mas una maniera de s'autoconservar. Compreniu lor ànsia quora intravo dins lhi comercis o anavo far lho bilhet a l'estacion e lo negoiant o lo bilhetier, ben me sentent parlar en catalan, me respondia en castilhan, e mi, que desenant trebulavo de mai a parlar castilhan que catalan, continuavo a parlar dins lor lenga, sens pas aver de responsa.
Fogueron Sergi e Paco a me far comprene l'importança de çò qu'es aver d'originas, una cultura e una lenga per las exprímer. Aquò es lo catalan e parier es l'occitan: una maniera de dir coma én es, una maniera d'exprímer son èsser, aicí e aüra, entre las montanhas que fendon l'aire e cheion a precipici, fòrtas e duras, sensa nuanças.
Conoissero parelh mas originas dins un país estrangier, conoissero la necessitat dal plurilinguisme que bandís lo pensier únic e unilateral e me portero tot a maison. E vaicí lo perque d'aquela revirada.
Alessandra Gondolo

[1] L'expression tandem es utilizaa coma "eschambi a dui per doas lengas"



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