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SAPERI E SAPORI DELLA VALLE GRANA - Un libro di Andrea Fantino, a cura di Gaia Cottino.

SAPERI E SAPORI DELLA VAL GRANA - Un libre de Andrea Fantino, a cura de Gaia Cottino

Pubblicato da Ecomuseo Terra del Castelmagno / Edizioni La Cevitou.

italiano

Intervista ad Andrea Fantino, a cura della Chambra d’òc

Andrea Fantino, qui sul territorio ti conosciamo come regista e documentarista, allievo della Scuola di cinema di Ostana, operatore e collaboratore di Fredo Valla al film “Bogre – La grande eresia europea”, di recente Menzione Speciale al Potenza Film Festival con “La voce di chi non ha voce”. È per questa ragione che molti di noi si sono sorpresi quando hanno incontrato le recensioni su La Guida o La Stampa di un libro che portava la tua firma.

La scrittura è sempre stata una mia grande passione, una forma di espressione e di creatività che negli ultimi anni ho coltivato sempre più, curando testi di diverso tipo, specie relativi alla comunicazione di eventi o progetti culturali. Ma in fondo devo dire che il mio scrivere finora è molto legato al mio essere antropologo culturale: il mio primo vero libro non è “Saperi e Sapori della Valle Grana”, ma la mia tesi di antropologia culturale “Invisibili e indesiderabili. Un’etnografia politica della condizione dei rifugiati a Torino”. Non avrei mai pubblicato un libro sui prodotti tipici senza prima aver avuto l’esperienza della tesi. Oggi l’esperienza della tesi è spesso sottovalutata o poco considerata, in molti casi gli studenti la producono senza grande passione, per concludere un ciclo di studi al più presto. La mia tesi è stata invece il prodotto di tanti anni di ricerche e di elaborazione di quelle ricerche. Buona parte di quell’esperienza l’ho poi per così dire trasferita nel progetto con l’Ecomuseo Terra del Castelmagno.

5 prodotti tipici, 5 realtà sociali, 5 video documentari. Com’è nato il progetto e come è nato il libro?

Collaboravo con Barbara Barberis e Claudio Luciano della Cevitou e dell’Ecomuseo Terra del Castelmagno da alcuni anni, come videomaker avevo realizzato alcuni video su e giù per la valle, erano video che dovevano promuovere degli eventi EXPA, una rassegna di eventi sul territorio di diverso genere. Era stata “Noau – Officina Culturale” – e in particolare Manuele Berardo – ad avermi avvicinato alla Valle Grana e al lavoro di Claudio e Barbara. Quando mi hanno proposto il progetto “Saperi e Sapori della Valle Grana” non potevo dire no, anche perché nel frattempo ero rimasto incuriosito dalla ricchezza e dalla varietà di esperienze agricole e gastronomiche che avevo incontrato… il progetto “Saperi e Sapori” era una porta sulla valle, che mi permetteva di approfondire ogni prodotto non solo dal punto di vista strettamente alimentare, ma soprattutto da un punto di vista sociale e culturale. Che cosa c’è dietro il Castelmagno, l’Aglio di Caraglio, il Tartufo Nero della Valle Grana, lo Zafferano di Caraglio e della Valle Grana, la Patata Piatlina e Ciarda? Grazie alla ricerca ho potuto rispondere a questa domanda. Ho incontrato i produttori e i promotori dei prodotti, sono andato a trovarli a casa, li ho conosciuti, ho fatto loro delle lunghe interviste audio, dove andavo a togliermi ogni curiosità. Poi sono tornato, li ho ripresi mentre erano intenti nelle loro attività, agricole, commerciali, artigianali, a volte nella loro semplice quotidianità. Quando mi sentivo pronto, quando avevo bene in mente quali erano i temi importanti, prendevo la camera e li intervistavo. A volte durante le interviste video uscivano nuovi temi, ed era bello prendersi la libertà di esplorarli, con calma e partecipazione. Devo dire che sono stato ben accolto in Valle Grana, è uno di quei luoghi dove sono cresciuto professionalmente e in cui torno volentieri. A Bernezzo, quando il 3 dicembre abbiamo presentato il libro, ho rivisto gli amici che a partire dal 2018 ho seguito e in qualche caso “stalkerizzato”. Sono molto contento che abbiano partecipato e che la pubblicazione sia stata apprezzata. È uno di quei casi in cui si può parlare di “restituzione alla comunità”. I documentari prima e il libro poi sono stata la mia personale forma di restituzione. Il libro non potevo non scriverlo: quando ho finito di montare i documentari mi sono ritrovato tra le mani tantissime interviste già trascritte. Dovevano solo essere cucite, mettendo insieme voci ed idee, in una cornice anche teorica. Il testo era già interessante, ma sentivo che poteva essere impreziosito ancora di più, e qui è entrata in gioco Gaia Cottino. Gaia è una amica ed una vera antropologa del cibo, una che vive di ricerca (ora lavora presso l’Università di Genova), è stata lei a curare la pubblicazione, a scrivere una bellissima premessa, a fare da “editor”, ad inserire alcuni spunti teorici che hanno reso il libro un prodotto decisamente più maturo. Sono grato a Gaia per il lavoro che ha fatto, ed è divertente pensare che entrambi non sappiamo più se alcuni passaggi sono stati scritti da me o da lei: credo che ogni testo ad un certo punto abbia anche una sua vita, e questo succede non solo per i testi narrativi, ma anche per quelli saggistici. 

Ma che cosa si legge in questo libro? Quali sono i temi affrontati?

Il libro racconta innanzitutto la storia della valorizzazione di ogni singolo prodotto. Oggi, come afferma Fabrizio Ellena, la Valle Grana ha un vero e proprio “paniere di prodotti”. Ma tempo fa non era così. È stata l’iniziativa e l’audacia di singoli produttori e l’iniziativa e l’audacia di gruppi di produttori (riuniti generalmente in associazioni consorzi) a rendere possibile la crescita di ogni prodotto, il suo riconoscimento a livello locale, nazionale e spesso internazionale. Il Castelmagno non sarebbe stato quello di oggi senza l’opera di Gianni De Matteis, giornalista della stampa e figura di rilievo delle nostre valli occitane. L’Aglio di Caraglio e la Patata Piatlina e Ciarda probabilmente riposerebbero nell’anonimato se Lucio Alciati non avesse avuto una sua personale passione per antiche varietà agricole in disuso. Ma l’Aglio di Caraglio ha ricevuto poi una bella spinta da parte di Debora Garino e Sandra Arneodo della Fattoria dell’Aglio, che hanno creduto fin da subito nella sua valorizzazione. Lo Zafferano della Valle Grana non avrebbe il riconoscimento che oggi ha se Mauro Rosso non ne fosse stato ghiotto e se il nipote Manfredi Rosso non avesse fondato un consorzio capace di riunire chi voleva vedere i prati fioriti di viola anche solo una volta all’anno. Il Tartufo nero della Valle Grana non sarebbe nei menù dei ristoranti di Montemale se Fabrizio Lerda (emigrato in Francia e poi ritornato nei luoghi natii) non avesse iniziato a vedere tartufi neri laddove gli altri vedevano strane patate. Ma il Tartufo nero era pressochè scomparso in natura e non si sarebbe più visto da quelle parti se non ci fosse stato Franco Viano che un giorno ha deciso di provare a coltivarli per poi, sette anni dopo, contro tutti i pronostici, fare il primo raccolto. 

Cosa c’è dietro ogni prodotto? Ci sono persone che si fanno in quattro, che credono in quello che fanno e non solo per ragioni strettamente commerciali, ma perché amano il territorio che abitano, e amano vederlo coltivato, curato, vissuto. Creano reti di prodotti e produttori, creano connessioni tra i paesi, con le valli vicine, creano condizioni economiche che favoriscono la loro azienda ma che si estendono alla loro intera valle, ricadendo sulle attività turistiche e culturali in generale. Lo spiega bene Gaia Cottino quando nella premessa dice che “i processi di valorizzazione dei prodotti della valle sono stati in realtà processi di “rigenerazione” soggiacenti alla “costruzione di abitabilità”.”. La mia domanda è: cosa c’è di più bello del “costruire l’abitabile”? Costruire una casa è dare un futuro, avere un progetto, guardare avanti. Quel che sta capitando in Valle Grana è proprio questo: si rende sempre più abitabile una valle che è tra quelle che ha subito maggiormente lo spopolamento del dopoguerra. Basti guardare ai dati dei neo-residenti di un comune come quello di Monterosso Grana, su cui ho lavorato per il mio lavoro “Monterosso Grana. Una comunità allo specchio”, oppure basta guardare il mio documentario dedicato allo Zafferano: Luca Barraco è un torinese che si trasferisce da Torino a Bernezzo per aprire un’azienda agricola, Sofia Gaviglio decide di abitare a San Matteo (Valgrana) in una borgata praticamente deserta, dove diventa l’unica residente e si prende la libertà di coltivare lo zafferano. 

Sembra che in Valle Grana ci sia un fermento particolare, che altrove fatica ad esserci o forse prende altre forme, che ne pensi?

Non conosco benissimo quel che capita in tutte le nostre vallate, ma posso sicuramente affermare che in Valle Grana sono riusciti a valorizzare quel che avevano. Nel libro, nell’ultimo capitolo, quando tento di tirare un po’ le fila, sostengo che da Caraglio in su si siano formati dei “saperi della valorizzazione locale”. È vero che dietro ad ogni prodotto ci sono saperi agricoli e artigianali e via dicendo. Ma quel che più mi ha colpito è la formazione di un sapere, gli anglosassoni direbbero un “know how”, che permette di custodire, difendere, proteggere e promuovere un territorio, senza rimanere troppo ancorati a parole come tradizione o identità, senza perdersi in speculazioni teoriche, ma rimboccandosi le maniche e facendo comunità. Il libro è impreziosito da un contributo di Silvia de Paulis di Slow Food e da una introduzione di Silvano Valsasia, presidente Rete Ecomusei del Piemonte. Mi hanno colpito molto alcune righe di Valsasia, quando riprende il nome dei protagonisti della valorizzazione dei prodotti che ho elencato prima, e scrive: “Altro elemento che emerge potente è il ruolo giocato dagli uomini, dai singoli. […] Sono “intellettuali organici” tanto visionari quanto concreti; autorevoli, carismatici […] Ogni tanto capita. Le storie prendono il verso giusto. I “marziani” diventano un movimento che cresce, coinvolge, appassiona e finisce per innervare tutto. Anche ridefinire i luoghi, riplasmare le comunità.  […] Le aree marginali della chiusura divengono quelle di sperimentazione delle alternative più avanzate”.

Ecco, credo che la Valle Grana sia veramente una sorta di laboratorio, in cui si sperimenta e si cresce insieme, dove le riunioni in cerchio dei consorzi diventano simbolo di altro, che spesso si fatica a vedere. Lavorare in gruppo, certo, ma dare spazio alle individualità, a chi dimostra passione, a chi ha una vera visione, a chi sa essere lungimirante e guardare ben al di là del proprio naso: credo che le nostre valli abbiano esattamente bisogno di questo. Perché, ne sono sicuro, si può essere pensatori ed intellettuali anche quando si ha una zappa in mano, o una mammella tra le dita. Le due cose non si escludono l’un l’altra.

occitan

Entrevista a Andrea Fantino, a cura de Chambra d’òc

Andrea Fantino, aicí sal territòri te conoissem coma regista e documentarista, escolan de la Scuola di Cinema d’Ostana, operator e collaborator de Fredo Valla al film “Bogre – La granda eresia europea”, de recenta Mencion Especiala al Potenza Film Festival abo “La voce di chi non ha voce”. Es per aquesta rason que un baron de nosautri se son sorprés quora an encontrat las recensions sus La Guida o La Stampa de un libre que portava ta firma.

L’escritura es sempre istaa una mia granda passion, una forma d’expression e de creativitat qu’enti darriers ans ai cultivat de mai en mai, en curant de tèxts de tipes diferents, sustot relatius a la comunicacion d’eveniments o projècts culturals. Mas en fons devo dir que mon escriure fins aüra es ben liat a mon èsser antropòlog cultural: mon premier ver libre es pas “Saperi e Sapori della Valle Grana”, mas la tèsi d’antropologia culturala “Invisibles e indesirables. Un’etnografia política de la condicion di refugiats a Turin”. Auriu jamai publicat un libre sus lhi produchs típics sensa derant aver agut l’experiença de la tèsi. Encuei l’experiença de la tèsi es sovent sosestimaa e pauc consideraa, dins ben de cas lhi estudents la produon sensa granda passion, per sarrar un cicle d’estudis al pus lèst. Mas ma tèsi al contrari es istaa lo produch de tanti ans de recèrchas e d’elaboracion d’aquelas recèrchas. Una bòna part d’aquela experiença l’ai per dir parelh meiraa ental projèct abo l’Ecomuseo Terra del Castelmagno.

5 produchs típics, 5 realitats socialas, 5 video documentaris. Coma es naissut lo projèct e coma es naissut lo libre?

Collaboravo abo Barbara Barberis e Claudio Luciano de la Cevitou e de l’Ecomuseo Terra del Castelmagno da qualqui ans, coma videomaker avio realizat qualqui video amont a aval per la valada, eron de video que devion promòure d’eveniments EXPA, una seleccion d’eveniments sal territòri de genre diferent. Era istaa “Noau – Officina Culturale” – e en particular Manuele Berardo – a m’aver avesinat a la Val Grana e al trabalh de Claudio e Barbara. Quora m’an propausat lo projèct “Saperi e Sapori della Valle Grana” poliu pas dir de no, decò perqué entrementier ero restat encuriosit da la richessa e la la varietat d’experienças agrícolas e gastronòmicas que aviu encontrat... lo projèct “Saperi e Sapori” era una pòrta sus la valada, que me permetia d’aprofondir chasque produch ren masque dal ponch de vista estrechament alimentar, mas sobretot da un ponch de vista social e cultural. Çò que lhi a darreire lo Chastelmanh, l’Alh de Caralh, la Trufa Niera de la Val Grana, lo Safran de Caralh e de la Val Grana, la Trífola Piatlina e Ciarda? Gràcias a la recèrcha ai polgut respònder an aquesta demanda. Ai encontrat lhi productors e lhi promotors di produchs, siu anat a trobar-lhi a maison, lhi ai conoissuts, lhi ai fach de lònjas entrevistas audio, ente anavo a gavar-me tota curiositat. Puei siu tornat, lhi ai repilhats mentre eron ocupats dins lors activitats, agrícolas, comercialas, artisanalas, de bòts dins lor simpla quotidianitat. Quora me sentiu prèst, quora aviu ben en ment quali eron lhi tèmas importants, pilhavo la càmera e lhi entrevistavo. De bòts durant mas entrevistas video salhion de nòus tèmas, e era bèl se pilhar la libertat de lhi explorar abo calma e partecipacion. Me chal dir que siu istat ben aculhit en Val Grana, es un d’aquilhi luecs ente siu creissut professionalament e ente torno volentier. A Bernés, quora lo 3 de desembre avem presentat lo libre, ai revist lhi amís que a partir dal 2018 ai seguit e dins qualque cas “persecutat”. Siu ben content quer aien partecipat e que aquesta publicacion sie istaa apreciaa. Es un d’aquilhi cas ente un pòl parlar de “restitucion a la comunitat”. Lhi documentaris derant e lo libre puei son istaa ma personala forma de restitucion. Lo libre poliu pas ren l’escriure: quora ai finit de montar lhi documentaris me siu retrobat dins las mans un baron d’entrevistas já transcrichas. Devion masque èsser cosuas, en butant ensem las vòutz e las ideas, dins una cornitz decò teòrica. Lo tèxt era já interessant, mas sentiu que polia èsser empreciosit encara de mai, e aicí es intraa en juec Gaia Cottino. Gaia es un’amisa e una vera antropòloga dal minjar, una que viu de recèrcha (aüra trabalha a l’Universitat de Genova), es istaa nilhi a curar la publicacion, a escriure una belíssima premessa, a far da “editor”, a inserir d’ideas teòricas que an rendut lo libre un produch decisament pus maür. Siu reconoissent a Gaia per lo trabalh que a fach, e es divertent pensar que tuchi dui sabem pas pus se d’uns passatges son istats escrich da mi o da nilhi: creo que chasque tèxt a una cèrta mira aie bèla una sia vita, e aquò arriba ren masque per lhi tèxts narratius, mas decò per aquilhi d’ensag. 

Mas çò que un les dins aqueste libre? Quali sons lhi tèmas afrontats?

Lo libre còntia derant tot l’estòria de la valorizacion de chasque produch. Encuei, coma afèrma Fabrizio Ellena, la Val Grana a un ver e pròpri “panier de produchs”. Mas la fai un pauc de temp era pas parelh. Es istaa l’iniciativa e l’audàcia de chasque productor e l’iniciativa e l’audàcia de grops de productors (reünits generalament dins d’associacions consòrcis) a rénder possibla la creissua de chasque produch, son reconoissiment a livèl local, nacional e sovent internacional. Lo Chastelmanh seria pas istat aquel d’encuei sensa l’òbra de Gianni De Matteis, jornalista de l’estampa e figura importanta dins nòstras valadas occitanas. L’Alh de Caralh e la Trífola Piatlina e Ciarda benlèu repausarion dins l’anonimat se Lucio Alciati auguesse pas agut una sia personala passion per de vielhas varietats passaas d’usatge. Mas l’Alh de Caralh a recebut puei una bèla possaa da part de Debora Garino e Sandra Arneodo de la Fattoria dell’Aglio, que an cregut fins da súbit dins sa valorizacion. Lo Safran de la Val Grana auria pas lo reconoissiment que a encuei se Mauro Rosso ne’n foguesse pas istat galup e se lo nebot Manfredi Rosso auguesse pas fondat un consòrci capable de reünir qui volia veire lhi prats florits de viòla bèla masque un bòt a l’an. La Trufa niera de la Val Grana seria pas enti menú di restaurants de Montemal se Fabrizio Lerda (emigrat en França) e puei retornat enti luecs natius) auguesse pas començat a veire de trufas nieras ailai ente lhi autri veïon d’estranjas trífolas. Mas la trufa niera era esquasi despareissua dins la natura e se seria pus vista d’aquilhi cants se lhi auguesse pas agut Franco Viano que un jorn a decidat de provar a cultuvar-lhi per puei, sèt ans après, còntra tuchi lhi pronòstics, far una premiera culhia. Çò que lhi a darreire chasque produch? Lhi a de personas que se fan en quatre, que creon dins çò que fan e ren masque per de rasons estrechament comercialas, mas perqué amon lo territòri que abiton, e amon lo veire cultivat, soanhat, viscut. Creon de rets de produchs e de productors, creon de connexions entre lhi país, abo las valadas vesinas, creon de condicions econòmicas que favorisson lor empresa mas que s’estendon a lor entiera valada, en retombant sus las activitats torísticas e culturalas en general. L’explica ben Gaia Cottino quora dins la premessa ditz que “lhi procès de valorizacion di produchs de la valada en realitat son istat de procès de ‘regeneracion’ somes a la construccion d’abitabilitats’”. Ma demanda es: çòque lhi a de pus bèl de “construïr l’abitable”? Bastir una maison e donar un futur, aver un projèct, beicar anant. Çò que s’ista passant en Val Grana es pròpi aquò: se rend sempre pus abitabla una valada que es entre aquelas que a subit de mai lo despoplament de l’après-guèrra. Basta beicar las donaas di neo-residents de una comuna coma aquel de Montrós, sal qual ai trabalhat per mon trabalh “Monterosso Grana. Una Comunità allo specchio”, o beicar mon documentari dedicat a lo Safran: Luca Barraco es un turinés que se meira da Turin a Bernés per durbir un’empresa agrícola, Sofia Gaviglio decida de istar a Sant Matiu (Val Grana) dins una ruaa practicament desèrta, ente deven la soleta residenta e se pren la libertat de cultivar lo safran.

Semelha que en Val Grana lhi aie un ferment particular, que d’autri cants fatiga a lhi èsser o benlèu pren d’autras formas, çò que ne’n penses?

Conoisson pas tant ben çò que se passa dins totas nòstras valadas, mas puei segurament afermar que en Val Grana son arribats a valorizar çò que avion. Ental libre, dins lo darrier capítol, quora tempto de tirar un pauc lhi fils, sosteno que da Caralh en amont se sien formats de “sabers de la valorizacion locala”. Es ver que darreire a chasque produch lhi a de sabers agrícols e artisanals e via disent. Mas çò que m’a pus colpit es la formacion de un saber, lhi anglosàxons diserion un “know how”, que permet de gardar, defénder, parar e promòure un territòri, sensa restar tròp ancorats a de paraulas coma tradicion o identitat, sensa se pèrder dins d’especulacions teòricas, mas en se reverteant las mànias e en fasent comunitat. Lo libre es empreciosit da un apòrt de Silvia de Paulis de Slow Food e da un’introduccion de Silvano Valsasia, president Rete Ecomusei del Piemonte. M’an colpit un baron d’unas rigas de Valsasia, quora repren lo nom di protagonistas de la valorizacion di produchs que ai enumerat derant e escriu, “Un autre element que emèrg potent es lo ròtle juat da lhi òmes, da chascun (...) Son de “intellectuals orgànics” tan visionaris coma coma concrets: influents, carismàtics (...) Mincatant arriba. Las estòrias pihon lo vèrs just. Lhi “marcians” devenon un moviment que creis, ímplica, apassiona e finís per ennervar tot. Bèla definir lhi luecs, tornar plasmar las comunitats (...) La àreas marginalas de la barraüra devenon aquelas d’experimentacion de las alternativas pus avaçaas”.

Vaquí, creo que la Val Grana sie da bòn una sòrta de laboratòri, ente un experimenta e un creis ensem, ente las reünions en cèrcle di consòrcis devenon un símbol d’autre, que sovent un fai fatiga a veire. Trabalhar en grop, certament, mas donar espaci a las individualitats, a qui demostra de passion, a qui a una vera vision, a qui sa èsser lungimirant e beicar ben al delai de son nas: creo que nòstras valadas aien exactament da manca d’aquò. Perqué, ne’n siu segur, se pòl èsser de pensaires e d’intellectuals bèla quora un a una sapa en man, o una mamèla al metz di dèts. Las doas causas s’excludon pas una abo l’autra.