“Lăcustă, dă-mi pofta ta, pofta popii, a preotesei, a diacului, a diacesei!”
(Cavalletta, dammi il tuo appetito, quello del sacerdote, della sacerdotessa, del diacono e della diaconessa!)
Non avrei mai immaginato che l’incontro con la Filologia romanza mi portasse a compiere un viaggio nella memoria dell’infanzia, quando mia nonna si prendeva cura di me e delle mie sorelle e, in caso di qualche malessere, ci curava con alcuni rimedi popolari.
Infatti, la ricerca della mia tesi triennale «“Din poala i Sîntă Mărie, leacu acuma să-i fie!”: fitoterapia, magia e credenze popolari nella cultura rumena.», diretta dalla prof.ssa Longobardi, mi ha permesso di scoprire significati profondi e la tradizione di rimedi e credenze popolari con cui ero venuta in contatto, inconsapevolmente, da bambina.
Una ricerca incentrata sul mondo rurale rumeno, in gran parte perso oggigiorno, ma che fino ad almeno 20 anni fa era presente nella vita quotidiana. Proprio in questo mondo ho conosciuto alcuni dei temi trattati nella mia tesi.
La fitoterapia era molto più presente dei medicinali chimici e moltissime persone ne facevano uso. Molte delle piante utilizzate per fini terapeutici crescevano spontaneamente e perciò erano considerate medicine naturali a portata di mano. Ad esempio, piante come l’assenzio (pelin) era impiegato per curare il mal di stomaco o malattie degli occhi, la cicoria (cicoare) veniva utilizzata per le sue proprietà depurative oppure la valeriana (odolean) era consigliata in caso di depressione, esaurimento nervoso, insonnia e per alleviare i dolori sciatici e reumatici. Mia nonna, per esempio, usava l’aceto (oţet) per far passare la febbre o l’aglio (usturoi) per il mal d’orecchio. Per raccogliere alcune di queste piante, affinché conservassero le loro proprietà benefiche, bisognava seguire dei rituali ben precisi, come nel caso della mandragola, che lo storico Mircea Eliade ci spiega.
Spesso, insieme ai rimedi fitoterapeutici, venivano usati anche gli scongiuri perché, secondo le credenze, essi erano in grado di aumentare l’efficacia di tali rimedi. Alcuni di essi prevedevano, inoltre, l’uso di gesti simbolici, come lo sputo, o di rituali eseguiti nella maggior parte dei casi da donne anziane chiamate babe. Questi rituali dovevano essere eseguiti secondo regole ben precise che la guaritrice seguiva attentamente. Gli scongiuri nella cultura rumena venivano impiegati per vari motivi, come curare malattie, prevenire la morte, per la buona riuscita in casi di controversie o per attirare l’amore dell’amato/a; il più comune tra tutti è lo scongiuro contro il malocchio, come ad esempio “Cum spală ploaia şi ninsoarea parul, aşa să se spele deochiul de la (cutare)” / Come la pioggia e la neve lavano il palo, così sia lavato il malocchio da (nome).
Il folclore rumeno però è caratterizzato anche dalla credenza in alcune creature soprannaturali, o figure mitologiche, capaci di portare malattie o di fare danni ambientali, ad esempio Ciuma e Holera (Peste e Colera), Vărsat (Varicella), Frigurile (le Febbri), Sânziana (dea agraria identificata con Diana), Baba Dochia (altra divinità agraria), Oparlia o Foca (dea del Fuoco), strigoi (una sorta di vampiri), Iele (creature soprannaturali imparentate con la dea Diana e identificate, in alcune zone della Romania, anche come Rusalii), Muma-pădurii (o Baba Cloanţa; figura mitologica, ossia la madre del bosco). Baba Cloanţa la incontriamo anche nella letteratura rumena, così come incontriamo anche la tradizione narrativa orale nella scrittura letteraria dello storico ed antropologo Mircea Eliade.
Questo viaggio attraverso il folclore della mia cultura di origine mi ha riportato indietro nel tempo a rivivere dei momenti importanti della mia vita e a dare maggiore importanza a una cultura poco studiata e, forse, sottovalutata. Ringrazio, pertanto, la professoressa Monica Longobardi, per avermi dato la possibilità di valorizzare un bagaglio culturale che mi appartiene per nascita, e Ines Cavalcanti, per l’opportunità di rendere nota la mia ricerca attraverso la pubblicazione sul suo sito, consacrato alle minoranze linguistiche ed alle loro culture popolari.
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