È andato via in maniera repentina. Da vivo, con la mente piena di nuovi progetti.
Quelli che i suoi orecchi da pipistrello catturavano come radar capaci di esplorare idee e mondi che agli umani non è dato intercettare.
La morte ha bussato in una mattina dell’anno appena iniziato e sul quale aveva gettato le sue prospettive.
Quando la morte bussa trova porte sempre aperte. E l’unica certezza della nostra vita si avvera chiudendo lo scenario sulle possibilità che vorremmo ci fossero date a oltranza proprio per continuare a sfidarla.
Tullio le ha colte tutte, o forse il più possibile, di quelle che avrebbe voluto.
La sua esplorazione della vita ebbe il trauma di un fratello, animato dalla stessa curiosità e dal medesimo bisogno di giustizia, cui non potè dare sepoltura.
È stato detto che da qual giorno Tullio ha continuato a sorridere con le labbra, ma i suoi occhi cessarono ogni sorriso, rimasti sbarrati da una domanda senza risposte.
Ne conoscevo da tempo la fama di studioso severo e rigoroso, che ne ha determinato un’invidiabile carriera, quando lo ritrovai schierato senza tentennamenti nella difesa delle lingue minoritarie giunte alla soglia del definitivo riconoscimento legislativo nel 1991.
Libero dai pregiudizi che guidarono le contrarietà di esponenti di destra come di sinistra, affermò con autorevolezza la ricchezza che viene dalla diversità culturale contro tentativi di standardizzazione che vorrebbero ridurre il pensiero a omogeneità finendo con il distruggere ogni prospettiva di crescita che viene solo dal confronto che le differenze alimentano.
Poi ci consegnò il regalo del suo archivio sulle lingue e sui dialetti d’Italia.
Un patrimonio di inestimabile valore per il quale scelse, a custode, la Rete Italiana di Cultura Popolare.
Con Antonio Damasco l’avevamo tenuta a battesimo - sfidando diffuse diffidenze, innumerevoli ilarità, facili quanto ignoranti ironie - anni prima. Sino a farla diventare un progetto culturale caratterizzante dell’allora Provincia di Torino.
Ci guardarono, e in tanti continuano a guardarci, con sufficienza.
Lui comprese non solo la bontà, ma le potenzialità di un’azione culturale che riprendeva illustri esperienze con la capacità di declinarle al presente, di riconneterle, in stretta sintonia, con l’oggi.
La cultura popolare, come lingue, sono sì tradizione e memoria, ma rappresentano, prima di tutto la linfa vitale che può nutrire il futuro
Anche questo ha insegnato Tullio De Mauro che per alcuni anni abbiamo sperato di portare a Ostana per un più che meritato Premio Ostana/scritture in lingua madre “alla carriera”.
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