Il convegno intende esplorare le finalità e le modalità della valutazione delle politiche linguistiche in Italia, Europa e oltre. La tematica è di notevole attualità e urgenza, e dà luogo a un'ampia gamma d'interpretazioni e articolazioni.
Una prima articolazione è di natura prevalentemente economica e politica. Proprio in questa fase di austerità di bilancio e di ristrettezze economiche diventa indispensabile valutare ogni politica di investimento pubblico, fra cui evidentemente le politiche linguistiche. E questo non solo per dare conto delle risorse pubbliche investite, ma soprattutto per accertare se la politica ha portato ai risultati programmati e sperati o se magari la sua brusca interruzione prima dell’arrivo dei risultati a medio termine non abbia provocato il suo fallimento e dunque uno spreco di pubblico denaro. Senza questa verifica, rischia di venir meno il sostegno del cittadino e del contribuente alla politica linguistica stessa. In diverse regioni europee nelle quali si parlano lingue minoritarie emerge con sempre maggiore evidenza il bisogno, da parte delle autorità di politica linguistica, di predisporre regolari esercizi valutativi. Ed emerge altresì il bisogno di valutare l’efficacia delle politiche di insegnamento delle lingue nei sistemi pubblici di istruzione. Questo vale non solo per l’insegnamento delle lingue straniere, la cui conoscenza è generalmente associata a vantaggi di natura economica per l’individuo e la società, ma anche per le lingue nazionali che sono uno strumento molto importante per favorire l’integrazione sociale e nel mondo del lavoro di masse crescenti di immigrati (e congiunti).
Una seconda articolazione è di natura più culturale e sociale. Accostarsi e lavorare sulla valutazione delle politiche linguistiche significa dichiarare di prenderle sul serio, integrandole pienamente nel novero delle politiche pubbliche. In effetti, nel mondo contemporaneo, se la cultura della valutazione ha riguardato e riguarda, a volte anche in modo eccessivamente pervasivo, numerose attività umane, non è stato così ‒ non più di tanto ‒ per la sfera linguistica.
La mancata o spuria, insoddisfacente valutazione delle politiche linguistiche ha prodotto e produce diverse conseguenze negative (e forse alcune positive), che si riassumono nella parziale oscurità del rapporto tra economia, soggetto, lingua e governo della comunità.
Tale rapporto va quindi sondato, distinguendo in particolare tra:
- politiche relative alle lingue di grande diffusione e alle lingue ufficiali. La posta in gioco è molto alta, perché la valutazione di tali politiche potrebbe chiarire la portata (positiva e/o negativa) di specifiche scelte, come ad esempio l'adozione dell'inglese come lingua della scienza e della formazione anche nei paesi non anglofoni e, più ampiamente, come «lingua franca [sic] internazionale». Rientra in questa categoria anche la promozione dell’italiano all’estero, oggetto di rinnovato interesse dal 2014 da parte del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale;
- politiche relative alle lingue patrimoniali ‒ regionali, locali o minoritarie storiche ‒, sempre più delegittimate in quanto, proprio in ragione della loro mancata o interruzione valutazione, tali politiche sono diffusamente percepite come un onere per la collettività. La scomparsa o la sopravvivenza di tali «patrimoni linguistici» è tuttavia una posta in gioco altrettanto alta;
- politiche relative alle lingue delle «nuove minoranze», la cui presa in considerazione sembra essere strategica per favorire un'integrazione delle comunità di recente immigrazione che sia più orientata al dialogo e all'interculturalità che all'assimilazione. Anche in questo caso la posta in gioco, in termini di conflittualità o di pacificazione sociale, è notevole.
Occorre quindi fare chiarezza in materia sapendo che, da una parte, questi tre livelli di politica linguistica possono interagire (la valorizzazione delle lingue locali storiche, che sono spesso vere e proprie cerniere tra Stati diversi e che in ogni caso sono funzionali a una comunicazione di prossimità, può ad esempio essere utilmente indirizzata verso una più rapida ed efficace integrazione di alcune comunità di nuova immigrazione). D'altra parte è necessario interrogarsi a fondo e anche in modo creativo circa i metodi, i criteri e gli indicatori da adottare per poter valutare opportunamente le politiche linguistiche, proprio in ragione della natura eminentemente antropologica e sociale delle lingue naturali. Gli indicatori da investigare non devono essere solo di tipo economico, beninteso, ma anche legati alla salute, ai beni relazionali, alla qualità della vita, alla coesione sociale e intergenerazionale, alla disalienazione culturale, alla sostenibilità ambientale e così via.
Queste riflessioni sono necessarie. Sebbene l’importanza della valutazione (nel senso di policy analysis) fosse già chiara agli esperti di politica linguistica negli anni ’70, in particolare in Nord America, è solo a partire dagli anni ’90, e in misura crescente nell’ultimo decennio, che si sono sviluppati strumenti valutativi generali nel campo della pianificazione linguistica. Va quindi fatto un punto sullo stato dell’arte e sulle linee di sviluppo di ricerca e insegnamento per il futuro in un’ottica interdisciplinare, anche perché, oltre alla relativa scarsità di pratiche di campo, va segnalata la mancanza di percorsi formativi adeguati che possano rispondere all'esigenza di preparare professionisti in pianificazione linguistica e valutazione delle politiche linguistiche. La ricerca, l'insegnamento delle politiche linguistiche e la formazione devono trovare il posto che spetta loro nella scuola e nell'università.
La complessità della tematica del convegno merita una discussione approfondita e interdisciplinare, la quale punti a restituire valore, legittimità ed efficacia alle politiche linguistiche di oggi e di domani.
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